Cultura e Società

The Eddy – Commento di P. Ferri

30/08/23
The Eddy - Commento di P. Ferri

Parole chiave: Musica e Psicoanalisi, Esistenzialismo, Lutto.

Autore: Paola Ferri

Titolo: The Eddy

Dati sulla Serie tv: creato da Jack Thorne. Regia di Damien Chazelle, Netflix, 2020, 1 stagione, 8 episodi.

Genere: musicale, drammatico

E’ la storia di una band jazz, o per meglio dire jazz-blues, capitanata da Eddy, Elliot, musicista americano di jazz trapiantato a Parigi, che ha  avuto un passato glorioso, ma che non suona più in pubblico dalla morte del figlio, di cui non sappiamo niente di più preciso durante tutta la durata della fiction.

Gli attori che compongono la band sono autentici musicisti, e non potrebbe essere diversamente, perché suonano per buona parte del tempo, visibilmente loro, e visibilmente coinvolti.

E’ apparsa su Netflix durante il Covid, e potrebbe essere passata inosservata proprio per questo, ma forse neppure tanto, perché il regista, che è anche uno dei creatori della serie, Damien Chazelle, è lo stesso di “Lalaland” (2016) e “Whiplash” (2014): quindi una garanzia che qualche emozione quindi te la trasmette di sicuro.

Io ne sono stata da subito colpita perchè amo la musica moderna – più il blues/rock che il jazz, ma non ha importanza, poiché la matrice è la stessa – come una parte di colleghi Spi con cui ho creato un gruppo di lavoro per tentare di esplorare psicoanaliticamente tale passione.

L’ambientazione è una Parigi non turistica, cupa, sommessa, che rimanda a delle atmosfere esistenziali – e qui mi riferisco proprio all’Esistenzialismo di Jean Paul Sartre – che sono state al centro di un periodo storico ante e post Seconda Guerra Mondiale, nella metà del secolo scorso. Qui però non sono protagoniste né la letteratura né la politica, ma la musica: la politica certo, come sempre indirettamente, attraverso la multietnicità e il soul condiviso tra musicisti bianchi neri, slavi, arabi, e meticci.

La batterista è di origine slava (L.Hobradovic), il  sax è Haitiano  (J.Omicil), il trombettista nero francese (L. Louis), il contrabbasso cubano (D. Nueva), la cantante polacca (J.Kulig, già attrice conosciuta e premiata), il tastierista americano (R. Kerber), compositore di buona parte dei pezzi, il giovane cantante algerino (A. Dehbi), e lui Eddy, Elliot Uno, l’attore Andrè Holland, americano nero.

A rappresentare fratello e cognata di Elliot due attori franco magrebini ( Rahim e Behkti) già molto noti al cinema francese, e infine A. Stenberg la giovane figlia, nera, americana. Di contorno la madre bianca della ragazza ed ex moglie, e la nonna di Sim, il ragazzo algerino, a cui lui dedica affetto e devozione. La poliziotta è L. Simaga, altra nota attrice marsigliese di origini magrebine.

Sono tutti musicisti noti nella realtà, ma nella maggior parte dei casi, non avevano mai partecipato a un film o fiction commerciali.

Abbiamo otto episodi, ognuno dei quali si concentra su un componente della band, compresi i due giovani Sim e Julie, per entrare nelle loro vite e nei loro drammi, che si intrecciano in maniera spesso violenta e caotica, ma sempre romantica e a ritmo di jazz. Vediamo quindi in successione Maja,cantante amore tormentato di Eddy, Farid, fratello che sparisce subito di scena, Katarina (batteria), Amira ( moglie di Farid), Jude (contrabbasso), Sim (vocalist tuttofare), Julie (figlia) e naturalmente Eddy. La band c’è sempre, in tutti gli episodi, con tutti gli strumenti. Manca la chitarra, lo so, ma ce ne faremo una ragione, nel jazz può anche scomparire.

La fiction è ambientata in un inesistente locale che si chiama appunto “The Eddy”, girata nel 12° arrondisment di Parigi, all’interno di un’anonima struttura, e vede il protagonista impegnato nel tentativo di tenere in piedi il locale, nonostante i  fondi scarsi e soprattutto la compromissione, forse ingenua, del fratello Farid con la malavita locale.

Eddy ha già subito un grave lutto, presumibilmente quello di un figlio adolescente, e ne dovrà affrontare un altro, oltre al tentativo di fronteggiare la malavita: infine accetterà la collaborazione con la polizia, anzi con una poliziotta, e di occuparsi di sua figlia Julie, che è stata mandata in Francia dall’ansiosissima madre americana.

Naturalmente Julie è fonte di guai, si invaghisce del povero Sim, che è costretto a occuparsi di lei, ed è in perenne conflitto col padre, per cui si fa ospitare dalla zia Amira e da Maja, la cantante, a sua volta tristemente legata a Eddy, che scopre di amarla solo quando lei se ne sta per andare. Con tanto di romantica scena all’aeroporto, lei rimarrà e lo aiuterà a rimettere insieme i pezzi della band che rischia di rimanere senza una sede…anche se ci sono sempre le vie parigine per poter cantare e suonare, naturalmente, senza bisogno di un permesso.

Sono presenti parecchi stereotipi come già detto: la magia bohémienne di Parigi, gli artisti maledetti, le vite tormentate e al limite del baratro, l’adolescenza molesta, l’impossibilità di creare perché  intrisi di auto distruttività e senso di inutilità, l’incapacità di gestire gli affetti, il narcisismo delle persone geniali e così via; ma nell’insieme il prodotto è gradevole, la musica ottima, Parigi interessante e non stereotipata, una grande città cosmopolita più che attrattiva turistica, gli artisti molto dotati, e il tormento che si traduce in creatività sempre seducente.

La musica come forma di riscatto, come panacea creativa, come stimolo assoluto, e fonte di rinascita, questi mi sembrano i messaggi forti di una serie cupa, misteriosa, un po’ ovvia ma molto sexy.

Conosciamo Chazelle da “Whiplash(“Colpo di frusta”) soprattutto, che io personalmente ho amato molto più di “Lalaland”, dove già compariva il tema del sacrificio e della dedizione necessari per combinare qualcosa. Il sacrificio è al limite della sopportabilità, ma è l’unica forza che dobbiamo avere se vogliamo arrivare ad alcunché di creativo nella vita, oltre a uno spazio per pensare ed esistere.

La musica è una forma di riscatto per i protagonisti, e potrebbe esserlo anche per noi, anche se non siamo musicisti; comunque lo sarà una qualsiasi passione, a cui dedicare la vita: una sorta di ossessione controllabile (ma non sempre), una ritmica compensatoria e perseverante rispetto ai dolori dell’esistenza, alle perdite, alla malattia, agli anni che passano e alla mancanza d’amore. Che comunque va in qualche modo cercato, o tutto sarà privo di senso.

Speravo in una seconda stagione ma non credo ci sarà. Da vedere

Riferimenti filmografici:

All that Jazz-film, (1979) regia di Bob Fosse

Whiplash, (2014) regia di Damien Chazelle

Agosto 2023

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