Cultura e Società

Soggettività e transiti migratori 1, di Virginia De Micco

17/03/15

Analizzare la dimensione della soggettività nei transiti migratori richiede di trovare strumenti per pensare il transito, il passaggio, e contemporaneamente, per ri-pensare la formazione della soggettività, che tale costitutiva dimensione del ‘transito’ comporta.

Quando lo sguardo psicoanalitico si volge alla nozione di identità non può che cominciare a de-costruirla: il sapere dell’inconscio per sua natura ‘erode’ dall’interno le certezze identitarie, restituendoci un’idea di identità costitutivamente ‘imperfetta’ (Lombardozzi). Le declinazioni dell’identità ‘nomadi’ e ‘diasporiche’ (Appadurai), che le scienze sociali descrivono nell’attualità costituiscono per la psicoanalisi una ‘vecchia conoscenza’ per così dire. Paradossalmente è proprio a partire dalla sua ‘inattualità’ che la psicoanalisi può aiutare a intendere in profondità quelle componenti strutturalmente imperfette dell’identità che le scienze sociali sembrano scoprire nella contemporaneità.

In questa cornice di discorso, appena delineata, vorrei provare ad indicare alcuni nodi di riflessione. L’idea di base è esplorare da un lato i contributi che lo specifico sapere psicoanalitico può apportare alla conoscenza intima del fenomeno migratorio -inteso come dislocazione di soggettività o come formazione di soggettività distopiche- dall’altro ciò che l’incontro con i migranti obbliga a ‘rimettere al lavoro’, secondo la nota indicazione laplanchiana, nella teoria e nella clinica psicoanalitica. Cimentarsi con i transiti migratori ci consente da un lato di ‘pensare fino in fondo’ alcuni assunti analitici, dall’altro di saggiare le possibilità di un sapere analitico che tiene conto strutturalmente, nelle sue modalità di pensiero e di intervento, delle variabili culturali.

Il nesso strutturale tra psiche e cultura viene ripensato a partire da quella ‘condizione antropologica fondamentale’ in cui nasce il soggetto umano, di cui parla Laplanche. L’esposizione all’altro-adulto, il quale è portatore non solo di un inconscio ma anche di una cultura, e la sua radicale ‘asimmetria’ rispetto all’infans viene parzialmente riattualizzata proprio nell’esperienza migratoria, non a caso assimilata da Leon e Rebeca Grinberg ad una esperienza di ‘ri-nascita’. Lo spaesamento rispetto alla lingua ‘straniera’, o meglio rispetto alla ‘lingua dell’altro’ che detiene un vero e proprio ‘potere’ di significazione rispetto al mondo, fa rivivere ‘in presa diretta’ la necessità, e la relativa impossibilità, di tradurre  un significante enigmatico. Significanti in cui si fondono messaggi linguistici ed extralinguistici, tonalità affettive difficilmente decifrabili, habitus corporei, per di più continuamente infiltrati da emergenze inconsce che, non a caso, vengono particolarmente sollecitate dall’incontro coi migranti. L’incontro transculturale dunque diventa uno dei luoghi in cui il sessuale infantile riemerge con particolare intensità, soprattutto quando si ‘presenta’ privo della sua abituale ‘forma’ simbolico-culturale.

Inoltre il tema classico dei rapporti tra psicoanalisi e antropologia, ovverosia come declinare le differenze culturali tenendo comunque conto dell’universalità della psiche, viene nel nostro caso in parte ribaltato dal momento che si tratta invece di comprendere come diversi ancoraggi simbolici e culturali possano confluire nella costruzione del senso di identità individuale. In particolare la costruzione di queste identità ‘nomadi’ tra diversi ancoraggi simbolici e culturali si manifesta nelle ‘seconde generazioni’ di migranti.

Nei transiti migratori si attiva, dunque, una profonda precarietà e trasformazione di quei referenti metapsichici e metasociali (Kaes) che ‘stabilizzano’ istanze rimoventi, strutture narcisistiche e catene genealogiche, costruttrici di legami e di senso. La relazione primaria risente profondamente di tali effetti destabilizzanti  ed è qui che si annidano le fratture più profonde e nascoste del fenomeno migratorio. Ripensare la funzione materna porta-parola alla luce dei transiti migratori, così come le cruciali questioni dell’originario, della trasmissione transgenerazionale e della funzione paterna contesa tra rappresentanti dell’ordine simbolico originario e di quello adottivo, costituiscono allora aree di fondamentale interesse, mentre diventa centrale la nozione di ‘confine’ e di ‘lavoro sui confini’, sia psichici che relazionali che culturali.

In questa generale labilità degli strumenti simbolici che consentono di costruire la propria identità, si aprono quei drammatici processi storici che comportano, secondo Fethi Benslama (2012), una vera e propria revoca soggettiva, una revoca dello statuto di soggetto per interi gruppi umani, con la conseguenza di autentiche ‘patologie’ del legame sociale e delle costruzioni identitarie.

Appare dunque necessario ripensare tutta la questione dell’appartenenza culturale alla luce di questi veri e propri ‘fondamenti’ della costituzione soggettiva  cui il sapere psicoanalitico dà accesso, mentre i transiti migratori comportano soprattutto la necessità di analizzare i processi di accelerato cambiamento e  ibridazione culturale che ne conseguono.

Le configurazioni culturali tradizionali,  ‘originarie’, dei migranti, sono esposte a profondi processi di desimbolizzazione e risimbolizzazione in cui non si può dare per scontato che il loro significato resti immutato. Esse pertanto vanno costantemente rilette alla luce dell’attualità psichica e relazionale in cui vengono incessantemente risignificate e delle emergenze inconsce da cui vengono inesorabilmente designificate.

Da questo punto di vista le problematiche poste dalla necessità di risignificazione della propria esperienza psichica da parte dei  migranti, non trovano risoluzione nè in un presunto repertorio dei significati tradizionali di ogni singola cultura esotica di provenienza,  né tantomeno in una traduzione nei significati e nelle interpretazioni di quella di accoglienza, quanto piuttosto in un processo aperto, in un  lavoro psicoculturale -omologo del lavoro onirico- capace di trasformare “materiale fantasmatico in sostanza culturale”, con la bella espressione di Obeysekere.

Le esperienze etnopsicoanalitiche classiche (Devereux), formatesi sullo studio di culture extraoccidentali esaminate nel loro ‘ambiente naturale’ possono rivelarsi piuttosto fuorvianti, a mio avviso, rispetto allo studio dei fenomeni migratori. In corso di migrazione le stesse configurazioni culturali tradizionali possono diventare ‘altro’ da ciò che rappresentavano tradizionalmente.

Nelle situazioni di transculturazione è come se una cultura cominciasse a ‘premere’ sulle pieghe di contraddizione dell’altra e le portasse alla luce costringendo a vivere un drammatico conflitto di appartenenze. E’ quella che Sayad chiama la ‘funzione-specchio’ dell’immigrazione, che coinvolge sia i migranti che gli autoctoni.

Dunque piuttosto che di una psicoanalisi ‘applicata’, si tratta di delineare le coordinate di una psicoanalisi profondamente ‘implicata’ nelle trasformazioni antropologiche del nostro tempo, capace di ‘pensarle’ fino in fondo proprio a partire dal suo ‘fondo inattuale’ . E’ proprio a partire dalla sua costitutiva ‘inattualità’ che la psicoanalisi consente di pensare in profondità i cambiamenti ‘attuali’ della soggettività connessi all’esperienza migratoria. Innanzi tutto perché il sapere psicoanalitico è in grado di svelare quel ‘rovescio inconscio’ dei fenomeni sociali , di cui parla Assoun, che ne costituisce sempre la verità più profonda e ‘occultata’. In secondo luogo perché è proprio la costitutiva condizione di Hilflosigkeit dell’umano a segnarne la fondamentale ‘storicità’, ovverosia la dipendenza assoluta dalle ‘forme storiche’ e, quindi, dalle trasformazioni culturali.

Il transito migratorio impone del resto di situarsi in una dimensione di passaggio, in una vera e propria dimensione ‘transizionale’: per i migranti che si ritrovano “a mezza parete” (Risso) non si può pensare, in maniera meccanicamente restaurativa, ad una reintegrazione del sistema simbolico ‘originario’ quanto piuttosto ad una continua ‘negoziazione’ interna tra dimensioni multiple dell’ origine e dell’appartenenza.

 

Marzo 2015

Vedi anche della stessa autrice:

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Vai all’intervista con Virginia De Micco

 

 

 

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