Cultura e Società

Contro la semplificazione. S. Natoli in dialogo con A. Migliozzi

12/01/23
Contro la semplificazione. Salvatore Natoli in dialogo con Anna Migliozzi

V. VAN GOGH, 1890

parole chiave: carcere, Beccaria, psicoanalisi

CONTRO LA SEMPLIFICAZIONE

Salvatore Natoli in dialogo con Anna Migliozzi

Il 25 Dicembre dal carcere minorile, Cesare Beccaria di Milano, evadono 7 detenuti. Hanno un’età compresa tra i 17 e 19 anni. I ragazzi, tutti ormai rientrati in carcere, alcuni anche spontaneamente, non stavano scontando una condanna definitiva. Provengono per lo più da background degradati e hanno alle spalle lunghe storie di sofferenza psichica e disagio profondo, dovuti anche all’espulsione da quegli ambiti che avrebbero dovuto educarli a quei valori umani e civili che li avrebbero resi cittadini. Sono stati abbandonati alla distruttività, ad un crescendo di puro arbitrio e violenza. 

La vicenda ha evidenziato, ancora una volta, la crisi profonda in cui versano le Istituzioni, in particolare quelle di formazione e cura. L’Italia sembra avere meno anticorpi in quanto ha una storia recente e un ridotto senso della cittadinanza. Lo Stato, infatti, viene vissuto provvidente o coercitivo che esita in,“…  un’Italia frammentata che ha sviluppato una dimensione per un verso di sudditanza e per l’altro di ribellione ma senza un ordinato senso della cittadinanza (Natoli, 2014).”  Come ci ricorda S.Thanopulos, presidente della Società Psicoanalitica Italiana, la cura degli individui si dovrebbe fare nella comunità e dovrebbe essere tesa al pieno reinserimento in essa, da parte anche di chi sbaglia. Quando la cura perde di umanità, si torna alla logica della reclusione delle persone sofferenti e disagiate. Umanizzare e comprendere il disagio non è utopia ma una scelta civile in quanto la sofferenza, a cui siamo tutti esposti, può essere alleviata, elaborata e trasformata in desiderio di vivere.  

Abbiamo voluto chiedere a prof. S. Natoli, professore di Filosofia teoretica, docente Universitario, di aiutarci a capire quale ruolo ha il disagio, ovvero come potremmo leggere questi accadimenti e quale occasione ci offrono per avviare una riflessione costruttiva.

Migliozzi A. Prof. Natoli l’episodio del Beccaria di Milano sembra aver mostrato una certa difficoltà da parte delle Istituzioni tutte ad utilizzare quanto accaduto per avviare una riflessione più generale da parte degli ‘adulti’ sul disagio e come rispondere. Quale visione queste Istituzione hanno trasmesso? 

Prof. Natoli. A mio avviso, in un tempo di profonda crisi dei processi formativi, si ripropongono ancora una volta due registri entrambi stereotipati e semplificatori. 

Il primo repressivo-carcerario che accentua il versante della repressione e che fa dell’agire il suo fulcro. E’ un pensiero che nasce dalla destra, che nel suo fondo è selettiva, e si traduce nel considerare tutto ciò che eccede come disturbo della quiete e fonte di destabilizzazione. Pertanto va represso, magari con misure ancora più repressive. Risponde al bisogno di avere risposte immediate, apparentemente risolutive ma che invece tendono a posticipare il problema, a rimandarlo, creando effetti a lungo termine ancora più inadeguati. Bisogna dire che questo tipo di reazione, ha un effetto calmante e seda la paura dell’opinione pubblica. 

L’altro registro, altrettanto inefficace, lo definirei lassista. Produce risposte disadeguate e lascia un vuoto di senso. E’ una non-risposta, non stimola una riflessione e non aiuta ad aprire un dibattito, utile a chi soprattutto in queste realtà ci vive quotidianamente. Penso agli specialisti, li definirei così coloro che lavorano in queste realtà, che si accorgono dell’inadeguatezza delle risposte che mettono in luce una mancanza di connessione tra le varie Istituzioni – famiglia, scuola, carcere, comunità, servizi di Salute Mentale. Queste realtà si aspettano invece che questi episodi possano aprire uno spazio di confronto tra gli attori in gioco, confronto di cui si sente, purtroppo, la mancanza. 

Migliozzi A. Come possiamo considerare questo atto ‘deviante’ da parte dei giovani detenuti? 

Prof. Natoli. Siamo nello spazio mondo ed lì che dobbiamo scegliere se essere attori del bene o vittime del male. Ora se vogliamo dare una distinzione a questa definizione antica che appartiene a tutte le civiltà tra il bene e il male, la dimensione del bene è la fecunditas, il bene genera, fa fiorire, il male distrugge, uccide. 
E’ la differenza tra la vita e la morte. Vita e morte appartengono all’ordine della natura, è un dato. C’è però un bene e un male imputabile ai soggetti, ovvero l’intenzionale distruzione degli esseri, con una voglia di appropriazione e prevaricazione. Questo male si chiama violenza e non fa parte della naturale circolarità di vita e morte. Qui si lega alla responsabilità, ovvero non tutti hanno quello stesso livello di coscienza in cui la distruzione può definirsi intenzionale. C’è sempre una componente di oscuramento, di perdita di ragione o perché vittima delle proprie personali pulsioni oppure perché quel gioco di forze in cui gli uomini si trovano, fa perdere lucidità. La responsabilità può essere una chiara intenzione di male, un puro arbitrio, una vera presunzione di onnipotenza dove tutto è possibile. 

Vedo il male come una patologia del desiderio, una dinamica predatoria del desiderio. Gli aspetti pulsionali e desideranti tendono all’onnipotenza e hanno per definizione una dimensione trasgressiva. 
Il soggetto non formato, senza Edipo, non ha capacità di regolarsi, di considerare adeguatamente la realtà. Per questo, iscriverei la pulsione di morte nella patologia del desiderio nel senso che se non siamo in gradi di accettare la morte, la fine, quale condizione naturale di ogni divenire, non sappiamo fare i conti con l’onnipotenza, la fine dell’onnipotenza. La maturità è l’accettazione del finire. Il desiderio è espansivo e dimentico della finitezza; uccide con l’illusione del poter vivere o come rimozione dell’ostacolo. Il male dice no alla realtà per vincere. La maturità, invece, è poter scegliere e dare un senso al limite.
I processi di formazione, infatti, devono educare i ragazzi a modulare la loro potenza, al sano realismo che sa riconoscere che non si è padroni di tutto e perciò non si può avere tutto. Ma in ciò non c’è rinuncia; caso mai capacità di scelta: si può scegliere ciò che è meglio per noi. Questo è possibile solo se si diviene consapevoli delle proprie capacità; uno dei rischi maggiori per i ragazzi è l’indolenza ove ogni cosa perde di valore. Ma se nulla si sa fare, tanto per far qualcosa si distrugge. E’ elementare. 

Al contrario, per costruire bisogna sapere ideare e tocca alle istituzioni – ai loro diversi livelli – offrire possibilità ove i giovani trovino le loro vie di realizzazione, in breve d’essere capaci di aprire orizzonti. In fondo é cosa di buon senso: a perdersi è chi non trova la strada.

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