
Galileo Chini – L’Amore – 1919
Parole chiave: Caducità, Fiori, Tempo, Bellezza
L’ARTE DEI FIORI: RAFFINATEZZA E TEMPORALITÀ
Flora, l‘incanto dei fiori nell’arte italiana dal Novecento a oggi
Fondazione Magnani – Rocca, Mamiano di Traversetolo (PR), 15 marzo – 29 giugno 2025.
di Pierluigi Moressa
“Se un fiore fiorisce una sola notte, non per questo la sua fioritura ci appare meno splendida” (Freud, Caducità, 1915). Con questo pensiero, mi sono accinto a visitare la mostra dedicata ai fiori nell’arte presso la Fondazione Magnani Rocca, esibizione allestita per la cura di Daniela Ferrari e Stefano Roffi. In realtà, non di caducità si è trattato, ma di vitalità; i fiori nel panorama artistico italiano contemporaneo compongono un quadro esauriente tanto da far considerare come il modello raffigurativo vada oltre le semplici esigenze estetiche o decorative. Fiori, dunque, in ogni declinazione: dal paesaggio agli interni, dal liberty al decorativismo, dal simbolismo al realismo. Se, di fatto, la valenza realistica dell’immagine floreale riempie lo sguardo con una tela di Plinio Nomellini, le suggestioni rarefatte di De Pisis e il viaggio verso le rappresentazioni simboliche giovano a declinare la poetica del fiore attraverso le epoche.
Le tele delicate eseguite da Galileo Chini e da Felice Casorati, sorta di scenografie per un teatro della mente, offrono il contatto con un tempo sognante come di favola in cui la figura umana è pienamente inserita nel contesto ambientale, mentre, con un rapido passaggio, si resta sorpresi dinanzi a Pier Paolo Pasolini, protagonista di un Autoritratto col fiore in bocca (1947). Non poteva mancare Giorgio Morandi, presente in gran copia nel patrimonio permanente della Fondazione, le cui rose, dipinte con intento meditativo, vengono trasposte in ceramica da Bertozzi e Casoni, che riescono a dar loro una forma concreta, esaltando i volumi di un disegno umbratile capace di colpire per l’intensità della forma.
L’excursus sarebbe lungo. Mi piace soffermarmi su due opere: una che apre, l’altra che chiude il percorso espositivo. La scenografia floreale realizzata da Fortunato Depero nel 1916 per “Le Chant du Rossignol” di Igor Strawinski (non impiegata) evoca, per la quantità e l’armonia dei materiali utilizzati, il segno di un tempo disposto ad andare oltre le sperimentazioni futuriste per riallacciarsi all’intensità luminosa del Déco. Chiude la mostra la georgiana Sophie Ko (1981), con l’opera realizzata al culmine di una ricerca in cui l’impiego di materiali come terra e pigmenti dà luogo a una continua evoluzione della rappresentazione e a una mutevolezza dell’impianto artistico che segna la sequenza di tempi naturali. Se il tempo è, dunque, un protagonista della creazione di Sophie Ko, il concetto di caducità si rende ancora più indicativo delle valenze trasformative del fiore e della sua consistenza naturale, destinato com’è non solo a saturare la percezione di un istante o a costituirsi come segno e simbolo della bellezza, ma a comporre i caratteri e i contenuti capaci di accompagnare la progressione del pensiero verso una continua, insatura evoluzione
Pierluigi Moressa






