Cultura e Società

Gustav Mahler, Sigmund Freud e la psicoanalisi. F. Barale

20/10/23
Gustav Mahler, Sigmund Freud e la psicoanalisi. F. Barale

Parole chiave: Mahler, Psicoanalisi, Freud, Transfert, Alma Mahler  

Gustav Mahler, Sigmund Freud e la psicoanalisi. F. Barale

(musica da un altro mondo)

 di Francesco Barale

“…fino a quando posso riassumere le mie esperienze con le parole, non ho bisogno della musica. Quel bisogno inizia là dove dominano le sensazioni oscure, alla soglia che conduce all’ altro mondo. Quello dove tutte le cose non si scompongono più nel tempo e nello spazio” (G. Mahler, lettera a M. Marschalk, 26 marzo 1896)

Il rapporto tra Mahler, la sua musica e la psicoanalisi ha aspetti, implicazioni e incroci di gran lunga più vasti del singolo episodio, ben noto, dell’incontro tra Mahler e Freud, con l’alone anche un po’ di pettegolezzo e, ancor peggio, con le semplificazioni psico-biografiche che quell’ incontro ha poi alimentato.

Ma cominciamo pure da quello, che ha comunque, almeno, un valore simbolico.

Avvenne a Leida, il 26 o il 27 agosto 1910, durante le vacanze estive di Freud. La consultazione era stata faticosamente concordata per intercessione di uno psicoanalista viennese, il dr. Nepallek, parente di Alma, la giovane moglie di Mahler. Gustav Mahler, con ambivalenza ossessiva, l’aveva ripetutamente fissata e poi subito disdetta; ben tre volte di seguito, prima di accettare l’ultima possibilità che Freud, seccatissimo, gli aveva infine offerto. Mahler, intento allora alla composizione della 10a sinfonia, era in uno stato di grave prostrazione psicologica. Il suo carattere era notoriamente tormentato, difficile  e malinconico (“dunkel ist das Leben, ist der Tod”; “oscura è la vita, è la morte”, viene ripetuto alla fin di ogni strofa del primo dei 6 Lieder del Das Lied von der Erde) e portava la traccia indelebile di una infanzia disgraziata, trascorsa tra un padre brutale e una infelice madre malata, nella quale fin dall’inizio si erano mescolati vita, morte, malattia, stenti e dolore: dei 9 fratelli effettivamente nati, 5 erano morti precocemente, uno era morto a 13 anni, un altro a 22 suicida, uno era”folle”. Su questo carattere si erano poi recentemente abbattuti i “3 colpi di scure del destino (1)”, come li chiamò Alma Mahler nelle sue Erinnerungen und Briefe (ricordi e lettere): il lutto straziante, interminabile e interminato per Putzli, l’adorata figlioletta Maria (morta a 5 anni nel 1907 di scarlattina e difterite, dopo una drammatica laringectomia), la notizia del proprio grave vizio cardiaco, l’allontanamento dall’ Opera di Vienna.

Percorso complessivo di sofferenza sulla strada del quale, all’epoca della consultazione con Freud, Mahler aveva già scritto i suoi 2 grandi capolavori della “cognizione del dolore” e “dell’addio”: il Das Lied von der Erde e la 9a sinfonia.

Per la verità, a quei 3 colpi di scure indicati da Alma, ce ne sarebbe stato da aggiungere un quarto, non propriamente irrilevante: la casuale scoperta da parte di Gustav, in quell’estate del 1910, della liaison di Alma (2) con un allora ignoto architetto 27enne, Walter Gropius, che Alma aveva conosciuto ai bagni di Tobelbad (Graz) dove era andata “per curarsi i nervi” (in realtà per fuggire da Mahler, immerso maniacalmente a Toblach nella scrittura della 10a), che continuerà segretamente a vedere anche dopo il “chiarimento” a tre, richiesto da Gustav, e che sposerà dopo la sua morte.

La scoperta del tradimento gettò Mahler nella disperazione totale, che presto diventò terrore di perdere definitivamente Alma, di non essere in grado, per la sua età (50 anni compiuti proprio quel luglio) e per i suoi problemi nevrotici di potenza sessuale, di tenere una donna così giovane e così bella. Cominciò allora freneticamente a cercare di riconquistarla nei modi più goffi e puerili; la inondava di bigliettini amorosi, improvvisamente cambiò idea sulla qualità dei suoi Lieder (Alma da sempre si lamentava che Gustav  non avesse mai apprezzato la sua attività di compositrice)  ….si faceva trovare a suonarli quando Alma tornava dalle passeggiate…gliene fece pubblicare 5…Ma lo stato di angoscia e di prostrazione cresceva progressivamente, insieme a sentimenti profondi di colpa e di insufficienza come marito…Ebbe alcune gravi crisi cardiache, che nascose a Alma. Fu chiesto infine il consulto a Freud, che si tenne, appunto, tra il 26 e il 27 agosto.

Il telegramma con cui Gustav, con toni di grande soddisfazione, comunica ad Alma l’esito della consultazione con Freud porta la data del 27 agosto, sabato, ma l’incontro era probabilmente già avvenuto il pomeriggio precedente.

Il telegramma recita: “bin frölich unterredung interessant aus strohhalm balken geworden” (“sono felice, colloquio interessante, la paglia è diventata una trave”). In una comunicazione più estesa, il 6 settembre: “in proposito ho fatto una strana scoperta: vedi, che sedessi alla mia scrivania o pensassi solo a te mentre ero lontano, era sempre lo stesso struggente desiderio nostalgico (Mahler usa qui una parola tipica della cultura romantica tedesca: Sehnsucht). Era sempre latente in me questa dipendenza da te -Freud ha proprio ragione (Freud hat ganz recht)- tu eri costantemente per me la luce e il punto centrale!”.

Questa, di Mahler stesso, è la prima testimonianza che abbiamo di quell’incontro (ne disponiamo di altre tre). Da esso Mahler sembrò comunque uscire sollevato e rinforzato (anche se con evidenza aveva recepito solo in minima parte il velato suggerimento presente in filigrana nell’osservazione di Freud su quante difficoltà inevitabilmente avrebbe dovuto ancora incontrare se si fosse ostinato a trattenere presso di sé, come una specie di ancella, una donna più giovane di 20 anni e dal vivace temperamento di Alma). C’è perfino (potenza del transfert!) una involontaria allusione alla fiducia in una ritrovata vigoria virile in quell’espressione “la paglia è diventata trave”, che Gustav, puritano e riservato, consciamente intendeva di certo solo in senso metaforico (probabilmente alludendo al fatto che, come nell’apologo evangelico, la pagliuzza della colpa di Alma era diventata, nell’occhio di Gustav, la trave della consapevolezza delle sue mancanze come marito).

La seconda testimonianza, la più nota, è quella di Ernst Jones, il biografo di Freud, forse un poco inficiata da tono e intenti agiografici. Jones non data esattamente l’incontro (comunque collocato nella fine agosto 1910) e sottolinea il successo terapeutico, quasi miracoloso, di questa atipica seduta (una passeggiata di 4 ore per la città). Mahler avrebbe niente meno che recuperato la sua potenza sessuale; si sarebbe reso conto delle conseguenze che la “fissazione materna”, indicatagli da Freud, aveva comportato nella sua relazione con la giovane Alma, mortificata in un ruolo devozionale (anche se amatissima e idealizzata), costretta a una condizione di sofferenza che finiva involontariamente col replicare quella che il padre di Gustav, tirannico e brutale, aveva inflitto alla madre, debole e malata. Solo che Alma non era né debole, né malata…e per giunta era bella e affascinante. A sollievo di Gustav, la rassicurazione di Freud che nella relazione con Alma certamente non avrebbe giocato a suo sfavore l’età molto più avanzata e la fama, dato che Anna tendeva a scelte amorose improntate alla ricerca del sostituto “edipico” di un padre idealizzato e potente (figlia dell’allora celebre pittore Schindler, Alma in effetti, sia prima che dopo il suo matrimonio con Mahler, intrecciò amori con diversi tra i più importanti artisti e scrittori del mondo viennese).

Jones riporta che alla fine della atipica seduta Mahler avrebbe spontaneamente stabilito un collegamento tra la traccia rimasta in lui del conflitto brutale e violento tra il padre e la madre (incompatibili, disse, “come l’acqua e il fuoco”) e alcuni tratti della sua musica. La difficoltà a mantenere le altezze che si proponeva di raggiungere, ma anche i tipici contrasti, talvolta stridenti o la irruzione in sublimi melodie di motivi popolareschi, perfino volgari; come le marcette militari che da bambino irrompevano nel suo udito, probabilmente mescolati ai rumori dell’accoppiamento, nel capanno dove la fantesca cui era affidato lo portava, per intrattenersi con qualche soldato.

Difficile non pensare (come anche Quirino Principe  nella sua ricchissima monografia suggerisce) che questo “spontaneo collegamento” (ammesso che ci sia stato) non fosse espressione di una certa condiscendenza, da parte di Mahler, verso le congetture ricostruttive di Freud; di una sorta di desiderio transferale di assecondarle (come ha tutta l’aria di essere stata anche  la cosiddetta “ammissione” da parte di Mahler -riferita sempre da Jones- che sì, incredibile!, Freud aveva proprio indovinato… egli spesso chiamava in effetti “Alma” col nome “Maria”, il suo secondo nome ma anche quello della madre di Gustav; altro particolare su cui più di un dubbio è lecito avanzare…). Ma la cosa più importante è che, qualunque fosse stata la loro provenienza, queste interpretazioni non hanno aiutato a comprendere non solo l’ alternarsi nella musica di Mahler di “alto” e “basso”, ma la funzione che in essa ha quell’elemento dell’irruzione imprevista, quasi “extra-territoriale” di materiali eterogenei sulla quale ha così insistito Adorno; irruzione certo anche (ma non solo) di motivi cosiddetti “banali”, peraltro talvolta belli, come “vocaboli di un altro mondo -ebbe a scrivere Fedele D’Amico- oggetti di nostalgia, simboli di una innocenza perduta e vagheggiata” (altre volte invece no: proprio brutti, come li ha definiti Quirino Principe). Funzione dell’irruzione che scompagina comunque il tessuto prevedibile della musica, sulla quale torneremo, anche perché (essa sì!) avrebbe potuto gettare qualche luce sull’affinità profonda tra la musica di Mahler e certi aspetti della psicoanalisi.

Anche la terza testimonianza, quella di  Alma nelle sue memorie, forse non è del tutto attendibile, inficiata come sembra da forti personali motivazioni, anche se diverse da quelle di Jones: Alma sembra soprattutto preoccupata di tramandare di sé una immagine di brava moglie, fedele e devota al genio di Mahler, fino al limite della sopportazione: Mahler le avrebbe ingiunto di non comporre, di non suonare…le avrebbe negato ogni dimensione di autonomia, relegandola al ruolo di devota trascrittrice della sua musica. L’aveva certo posta su un piedistallo di idealizzazione “materna”, ma non si era mai veramente occupato del suo personale sentire…Anche l’incontro con Freud è raccontato da Alma tutto alla luce della “fissazione materna” di Gustav. Su di essa Alma concorda: Freud had ganz recht! (Freud ha proprio ragione!). A poco sarebbero valsi i tentativi successivi, piccoli contentini, da parte di Gustav, di interessarsi (o far finta di farlo) alla musica e al canto di Alma…come a poco era valso svegliarla nel cuore della notte per comunicarle che aveva avuto una illuminazione: dedicare a lei (e non più alla “Nazione”) la  8a sinfonia…..Troppo tardi. Di lì a poco, del resto, il 18 maggio 1911, un giovedì, a Vienna, Gustav Mahler si sarebbe spento.

Un’ultima testimonianza dell’incontro, più sobria, è quella di Freud stesso, che ne parla in una lettera del gennaio del 1935 a Theodor Reik; non a caso uno dei pochi psicoanalisti a quel tempo veramente interessato alla dimensione musicale della vita psichica e che aveva cercato (allora scarsamente ascoltato) di introdurre gli aspetti sonoro-musicali delle relazionalità umana anche nella tecnica analitica e nella comprensione di ciò che accade in analisi (3).

Freud peraltro sembra averne un ricordo piuttosto impreciso: sbaglia perfino data (non ricorda più bene l’anno, che sposta addirittura a dopo la morte di Mahler: “1912 o 1913…”), ma ricorda il “Mariencomplex” (fissazione materna) di Mahler e il suo totale “ritiro della libido” dalla relazione coniugale. La musica come strumento, in sostanza, per tentare di ricomporre un oggetto idealizzato materno. Chissà come si sarebbe sentito confermato Freud nella sua ipotesi clinica, se avesse conosciuto la estatica glorificazione mariana con cui si chiude l’ottava sinfonia (quella che Mahler, svegliandola di notte, aveva comunicato ad Alma che le avrebbe dedicato), il Chorus Mysticus del finale del Faust: “Tutto ciò che passa, è soltanto un simbolo/ l’insufficiente, ha qui compimento/l’ indescrivibile, qui ha già esistenza/in alto ci attira, l’eterna femminea essenza “ (trad. di Quirino Principe). Alma al posto di Margherita?

La notazione più interessante nella lettera di Freud a Reik è che, malgrado ovviamente un singolo incontro non avesse potuto “scalfire la nevrosi ossessiva”, con ammirazione aveva riconosciuto “in quell’uomo di genio” una sorprendente “capacità di comprensione psicologica”: è come se “un singolo raggio di luce fosse trapelato da un misterioso edificio”, scrive. Marie Bonaparte, amica, confidente e infine protettrice di Freud racconterà nel suo libro di memorie della stessa stupita ammirazione di Freud, malgrado tutto, verso Mahler.

Per entrambi un incontro particolare, dunque.

Ma su che basi potevano essere entrati in così forte risonanza tra loro, questi due uomini davvero così diversi?

Mahler non sapeva nulla di psicoanalisi e Freud non conosceva la musica di Mahler (anche se qualche anno prima aveva curato Bruno Walter). Anzi, si interessava poco di musica in generale (o almeno diceva di non interessarsene).  La dimensione del “sonoro musicale” era, allora, la grande esclusa dall’edificio teorico in costruzione della psicoanalisi (malgrado le premesse fossero già presenti nell’estetica di lingua tedesca dell’epoca: basti pensare a quel Theodor Lipps che Freud pure aveva studiato e più volte citato). Il sonoro-musicale non trovava allora collocazione nel modello di mente che Freud stava elaborando; e nemmeno nell’idea di cura che a quei modelli si connetteva. Di conseguenza, è rimasto a lungo in una dimensione sostanzialmente marginale (4).

I motivi di questa assenza sono in genere riferiti a due aspetti.

In primo luogo la dimensione del sonoro-musicale avrebbe ai tempi di Freud posto importanti problemi di integrazione con le scoperte che egli stava facendo e distratto troppo la ricerca dalle vicissitudini della sessualità infantile e dall’ inconscio rappresentativo, indirizzandola verso una dimensione ampiamente pre-rappresentativa “dissonante”, in quel periodo, con le esigenze dello sviluppo della psicoanalisi.

In secondo luogo con la asserita “atrofia della sensibilità musicale” di Freud, sulla quale peraltro molti di coloro che hanno studiato la questione hanno più di un dubbio (difficile del resto pensare che un Freud davvero privo di “orecchio musicale” al discorso dei suoi pazienti avrebbe potuto lasciarci ciò che di clinico ci ha lasciato). In questa insensibilità così ripetutamente e quasi ostentatamente proclamata giocava probabilmente un qualche ruolo un aspetto difensivo rispetto a quella dimensione di sentimento “oceanico” (per usare una celebre espressione di Romain Rolland, in dialogo con Freud) verso cui Freud, uomo dell’Aufklarung, erigeva barriere razionalistiche, come verso ogni irrazionalismo o misticismo,  ambiti in cui collocava peraltro gran parte dell’arte sua contemporanea e quasi tutte le avanguardie (Gombrich 1966).

Nel celebre incipit del Mosè di Michelangelo (1914). Freud descrive con esemplare chiarezza il suo rapporto con l’esperienza estetica in generale e con quella musicale in particolare: per godere di un’opera d’arte, scrive Freud, “devo riuscire ad intendere per quale via l’opera produca i suoi effetti”. Con “per quale via”, si badi, Freud intende attraverso “quale contenuto”, quale rappresentazione, magari inconscia. “Nel caso in cui ciò non mi riesce, come per esempio per la musica –continua Freud- sono quasi incapace di godimento. Una disposizione razionalistica o forse analitica si oppone in me a ch’io mi lasci commuovere senza sapere da perché e da che cosa”.

I tempi e le sensibilità sono molto cambiate da allora. Grazie anche a Freud e a tutto il cammino che ci ha consentito. Ora gli aspetti sonoro-musicali (centrali peraltro nei fondamenti stessi della intersoggettività e della relazionalità umana) sono entrati nella riflessione di molti psicoanalisti contemporanei (e anche, indirettamente, nell’ attenzione alla “musica” di ciò che accade nella stanza di analisi). Per la complessa storia e anche per la faticosa ripresa di questa “sinfonia incompiuta” che è il rapporto tra psicoanalisi e musica, rimando a F. Barale e V. Minazzi (2008) Off the beaten tracken: Freud, sound and music, Int. Journal Psycho-analysis, 89, 937-957.

Se quello era comunque l’atteggiamento di Freud verso la musica, particolarmente ostica avrebbe dovuto risultargli (se conosciuta) proprio la musica di Mahler, così aperta, così estensiva…

Eppure…

Quali possiamo immaginate possano essere state allora le basi di un incontro che entrambi i partecipanti descrivono così intenso?

Un ruolo possono averlo giocato certo, nella diversità, alcune affinità personali. Entrambi ebrei moravi e boemo-moravi; entrambi con forti ma ambivalenti legami con Vienna; entrambi stranieri in patria; entrambi largamente osteggiati da accademie e ambienti ufficiali e entrambi consapevoli della grandezza e della innovatività della loro opera; entrambi portatori di tratti profondi dello spirito dell’epoca e delle sue inquietudini: il disfarsi dell’idea di un soggetto unitario, e anche della fiducia nella stabilità dell’armonia classica del mondo…

Ma, al di là di questi aspetti biografici e di contesto, chi, da psicoanalista, si immerge nella musica di Mahler viene subito colpito da alcune sue consonanze profonde con la psicoanalisi.

Ne elenco solo alcune (evitando qualsiasi tentativo di analisi musicologica, che non è né nel mio compito né soprattutto nelle mie competenze).

  1. Il tema dell’irruzione di ciò che non è atteso è l’intromissione imprevista dell’estraneo, che si fa breccia, talvolta in maniera deflagrante, nel sistema di attese precostituite. Questa epifania di un “altro” inaspettato, trattata in chiave filosofica da T. Adorno (1960 Mahler. Una fisiognomica musicale) come capostipite di altre caratteristiche della forma mahleriana (sospensione del tempo, adempimento…), è qualcosa che sconvolge l’atteso ordine estetico. In Mahler non è affatto la ricerca dell’inconsueto, dell’originale, tanto meno del “caratteristico”. Spesso anzi è la riemersione (con effetto di familiarità un po’ “perturbante”) di elementi che appartengono a un fondo comune, che magari si ha l’impressione di conoscere da sempre…che provengono da un mondo rifiutato o seppellito nel ricordo…Ma che altro è, in psicoanalisi, la tematica del lapsus, dell’atto mancato, dell’associazione incongrua che irrompono nei pensieri vigilati dalla coscienza, segnalando i flussi di Acheronte che ci percorrono?
  2. Mahler procede spesso alterando il gioco tradizionale tra esposizione di un tema, sviluppi, variazioni, ripresa, coda, altro tema, altre variazioni, echi che si intrecciano ecc., indugiando tra dilatazioni, rilassamenti, rarefazioni estreme, fino a sospensioni del tempo quasi mimetiche della “durata” della vita e del fluire del flusso della memoria involontaria: Caratteristiche che più volte hanno chiamato in causa i nomi di Joyce con il suo stream of consciousness e di Proust.  Se proprio una analogia letteraria è da fare (con tutte le precauzioni del caso…), a me pare forse ancor di più Proust che Joyce, non solo per la memoria involontaria e il suo flusso, che sembrano non chiudersi mai, o per il riapparire improvviso, sotto nuove spoglie o in scenari imprevisti, di personaggi dimenticati, “le epifanie, le impennate, i trasalimenti, le rivelazioni” (Napolitano 2022 e 2005)…ma, insieme, la completa signoria “tecnica” su questo monologue intérieur, il governo magistrale di questo dilatarsi di nuove apparizioni, periodi, articolazioni, sfumature, …

In Mahler, da quel movimento temporale sospeso e dilatato si affaccia “una caotica complessità di ‘voci-caratteri’ provenienti da un mondo eterogeneo“, scarti, frammenti di temi, con l’aria del ricordo, che arrivano come ospiti inattesi, personaggi di una narrazione in continuo divenire, dal carattere spesso inizialmente enigmatico. Talvolta (non sempre) proprio gli inserti di musica “volgare” sono il veicolo di queste emergenze. Ma questo, non è in definitiva il procedere delle libere associazioni e, ancor prima, proprio del sogno?

  • La rarefazione temporale, il tempo sospeso, la dilatazione estrema si alternano sovente in Mahler a momenti caotici, frenetici, di “mondano frastuono” (come dicono i versi del Lied che il soprano intona alla fine della 4a, Das himmlichen Leben, tratto da Des Knaben Wunderhorn…). Freud, nel 1923, verso lla fine de l’ Io e l’ Es, parla del “rumore della vita”, dentro il quale Eros tenta incessantemente di legare Thanatos…Sono momenti, questi, di significato di volta in volta anche assai diverso: può essere il tumulto vitale di passioni e di forza della cavalcata di giovani in Von der Schönheit (Della Bellezza), il 4° dei Lieder di Das Lied von der Erde (a proposito di Eros…), ma anche l’allegria sfrenata su cui già incombono sinistre le ombre della morte del 2° movimento della 4a,  o invece la macabra, grottesca inanità complessiva della vita e degli umani sforzi  del 3° movimento della 9a, nel quale il  vano tumulto è già intriso inesorabilmente da Thanatos (il Rondo-Burleske, che, con agghiacciante parodismo  dell’ affaccendarsi anche più sofisticato, è organizzato con raffinata tecnica contrappuntistica…).  Mahler ci rappresenta in definitiva un sentire radicalmente conflittuale della vita umana, attraversata da forze in perenne, inesorabile, contrasto e che la ragione (e persino la rappresentatività!) solo in minima parte riesce a governare. Ė una visione molto in sintonia con quella psicoanalitica.
  • Altrettanta sintonia con lo spirito psicoanalitico c’è nell’attenzione per lo scarto, il frammento, il carattere essenziale che assume proprio ciò che è marginale rispetto allo sguardo identitario immediato, eppure continua a penetrare nel tessuto musicale dalle sue brecce e dalle sue dilatazioni.

Natalie Bauer-Lechner (Mahleriana, Il Saggiatore, 2021), la violista amica e per diversi anni sottile, devota e attenta confidente di Mahler, parlò della sua musica come animata da una “tensione verso uno sviluppo perpetuo (5)”.

Sia Mahler che Freud sono stati accomunati, da una certa vulgata, nella fama di “decostruttori”.. Sappiamo che non è stato proprio così. Per quel che riguarda Freud, (solidamente radicato nella sua tradizione scientifica) non era certo un intento decostruttivo, tanto meno irrazionalistico, quello che lo animava nel suo attraversamento di quanto di oscuro c’è nell’animo umano. Anzi, “wo Es war, soll Ich werden” (dove c’era l’ Es, dovrà essere l’ Io). Per quel che riguarda Mahler, egli porta all’estremo le possibilità del linguaggio musicale della tradizione, ne esplora i confini fino a oltrepassarli, “ma sui frammenti accampa qualcosa di solido, e la costruzione galleggia”(Principe):  la dissoluzione non recide mai le radici in quel linguaggio e incide “solo in piccola parte nella sua techne di musicista, nella materia del suo mestiere: l’armonia, il disegno melodico, la strumentazione, perfino le diffamate proporzioni”…..   Alla fine, in Mahler, malgrado tutte le caratteristiche sopra descritte, c’è una misteriosa sensazione di coerenza, qualcosa che si tiene, un sentimento di profonda unità nel “carattere” di queste sinfonie… se non di compiutezza, almeno una “promessa di compiutezza”…

  • Ma torniamo per un attimo al tema controverso delle “tracce mnestiche della fanciullezza”, che nuovamente accomuna Mahler e la psicoanalisi ed è stato visto in modi contrastanti anche in ambito musicologico. Su esso forse lo psicoanalista ha qualcosa da dire. Adorno ha scritto che “la musica di Mahler persiste nell’ utopia per mezzo delle tracce mnestiche della fanciullezza”. Tracce che riemergono in forme molto diverse e non hanno nulla a che fare col folclore, col “caratteristico” e nemmeno con l’attardarsi nella nostalgia del tempo che fu. Ancor meno col tentativo di recuperare esperienze reali.  L’ evocazione della loro presenza ha esattamente la funzione di quella particolare memoria riparativa delle possibilità perdute del passato che si sviluppa in psicoanalisi: non la ricostruzione “realistica” del passato, ma il recupero delle sue possibilità inevase, del suo futuro mancato. Proprio in ciò, secondo Adorno, consiste il significato di quelle tracce: testimoni di una distanza che interroga il presente immediato, di un “principio speranza”, di una potenziale trasformazione e irruzione (anche “unheimlich”) nel presente di un nucleo “altro”.. Se si riflette, questa tesi non è poi inconciliabile con quella apparentemente opposta, esposta da Quirino Principe: “l’infantile, il militare, il rurale non appartengono né al passato né al presente del musicista, non rievocano alcun evento della sua vita di piccolissimo borghese ebreo nato in un angolo qualsiasi dell’Austria imperial regia….bambini, soldati, contadini non sono per Mahler né tradizione popolare né autobiografia…ma…tradizione possibile, impersonale, fuori dal tempo…. fiaba, materia quasi religiosa…in loro non circola alcuna dottrina del primitivo e della tabula rasa…nessuna celebrazione filosofica dell’innocenza, né critica rousseuiana…nessuna dottrina antimoderna..” , tantomeno anti-capitalistica… Il loro è un significato poetico..il loro limite e la loro forza sta nel loro essere del tutto desuete…figurine che “contraddicendo il mondo serio contraddicono la morte, si fanno tradizione e lasciano il desiderio della grande, indistruttibile tradizione”(Q. Principe, cit, 41-42) .

In ogni caso, che il senso di queste “tracce mnestiche” (ma come diventa inadeguato questo termine…) sia visto come volto verso il nucleo utopico in esse racchiuso (Adorno) o, viceversa,  verso il desiderio di un radicamento forte nella tradizione (Principe), in qualcosa che si opponga per quella via al dissolvimento, è comunque il loro “altrove” rispetto a questo mondo ciò che esse evocano e continuamente richiamano. E il loro valore risiede nel loro carattere “mitico” o “poetico” nel senso letterale della poiesis, di qualcosa che porta all’essere.

Difficile comunque attribuire ad esse un significato univoco. Vale solo la pena, peraltro, di accennare che inserti di questo tipo, ma con significati molto eterogenei (anche assi lontani dalle atmosfere mahleriane) sono molto diffusi nella musica europea del primo novecento. Basti pensare ai “Pini di Roma” di Respighi in cui, in puro godimento musicale, evocativo di gioiosa nostalgia, risuonano le trasfigurazioni di trilli di bambini, filastrocche (“ma quante belle figlie madama Dorè” , “fai un salto, fanne un altro..” ), marcette militari…

  • In fine due parole su Eros e Thanatos. Ė evidente che la loro dialettica, presente nella vita di tutti, come Freud ha indicato a partire dal suo visionario saggio del 1921, sia particolarmente accesa in Mahler, percorra l’intera sua vita e l’intera sua musica. Qui forse è davvero inevitabile una notazione biografica. Difficile pensare che una infanzia come quella di Mahler non abbia gonfiato questo fondo minaccioso, anche se certo ciò non “spiega” nulla né della sua musica né del suo genio. Ancora con Quirino Principe: “è la musica che è risolutrice (del rapporto arte e vita) non la biografia. I fatti non aggiungono significato alla musica di Mahler né ad altra musica, la musica non dà ai fatti un significato che non possono avere”. Tuttavia, fin dall’ opus 1, quel Das klagende Lied  (Il canto del lamento e dell’accusa) scritto a 18 anni, racconto fiabesco di un fratricidio (abbiamo detto dei 7 fratelli di Mahler), l’ombra della morte si staglia su quella musica, imprevedibilmente costante e potente (6).

Nella 1a sinfonia, la celebrazione stessa della natura si intride di simulacri di morte, come quel “frà Martino campanaro” che, volto in modo minore, diventa una specie di marcia funebre. In generale, nel primo periodo, quello della liederistica e delle sinfonie Wundernhorn, non si può dire certo che la musica di Mahler ci racconti di cose felici (necessario citare i Kindertotenlieder o il Um Mitternacht dei Rückert Lieder? O il poema sinfonico Totenfeier, composto già nel 1888, diventato poi il primo movimento della 2a sinfonia?). Ma il dominio sulla morte, esercitato attraverso Eros e la musica da un Mahler saldamente piantato nella tradizione liederistica sembra in qualche modo più forte; la morte, certo è molto “rappresentata”, ma si insinua meno “dentro” il linguaggio musicale stesso di Mahler. Anche in periodi di relativa felicità personale rimane certo un’ombra costante, sia prima che dopo le Wundernhorn sinfonie. Nell’ ultimo Mahler cambia invece qualcosa: questo sforzo incessante e interminabile (cui davvero si addice il termine romantico Streben) di legare Thanatos si fa sentire dentro il linguaggio stesso di Mahler, dove la morte non è solo “rappresentata”, ma più direttamente presente con il suo potere dissolutivo. Fino ai vertici assoluti di quella che è stata chiamata forse non del tutto propriamente la “trilogia della morte” (Das Lied von der Erde, 9a e 10a); forse non del tutto propriamente perchè non si tratta affatto di un macabro “trionfo della morte”. In questa “trilogia”, più opportunamente rinominata “Forme dell’addio” da Ernesto Napolitano (2022), in cui eros e thanatos continuano comunque a intrecciarsi e alternarsi, domina molto di più, rispetto alle opere precedenti la disillusione; ma il tentativo di Mahler, attraverso la musica e il silenzio, è ugualmente ancora  di non lasciare alla morte l’ultima parola (come nella celebre battuta di Paul Ricoeur: “mai lasciare alla morte l’ultima parola!.. tanto se la prenderà lo stesso”). Del resto, nell’estate del 1910, nella casetta di legno vicino a Dobbiaco, malgrado i 3 micidiali colpi del destino si fossero già abbattuti su di lui, Mahler era comunque immerso con “vitale” fervore, almeno fino alla “rivelazione” del tradimento di Alma, nella composizione della 10a sinfonia.

L’ultimo dei Lieder di Das Lied von der Erde, la prima opera di questa “trilogia”, è per l’appunto Abschied (Commiatodie Sonne scheidet hinter dem Gebirge…”). Ė un commiato accompagnato da una rifioritura (7).

L’ ascoltatore, malgrado il transito attraverso la delusione radicale cui è sottoposto nel 5° Lied (der Trunkene im Frühling, l’ ubriaco in primavera), è accompagnato a quel commiato dalla scia di quel “lungo sguardo di struggimento” che nel meraviglioso passaggio del 4° Lied (Von dem Schönheit, Della bellezza) “la più bella delle fanciulle” di nascosto  rivolge a colui che per un attimo ha desiderato (“Und die schönste von den Jungfrau’n sendet/Lange Blicke ihm der Sehnsucht nach”). La traccia dello “scintillio” e della “oscurità ardente” di quel lungo sguardo, entro cui “palpita la dolente esaltazione del cuore”, continua a risuonare dentro gli ascoltatori per tutto l’ Abschied.

La 9a sinfonia è forse il momento più alto della meditazione di Mahler sulla morte; attraversati i tumulti del mondo del secondo e del terzo movimento, nel movimento finale (sehr langsam) la musica sembra a poco a poco sollevarsi da terra, per poi tornare ad essa, in una dimensione sempre più rarefatta e infine svanire nel silenzio, in lunghi attimi emozionanti di totale sospensione di ogni suono. Ma anche qui non c’è affatto solo abbandono alla morte; l’ultima parola, ancora una volta, non è lasciata a lei (“tanto comunque…”): quel lungo silenzio è un vero trampolino di lancio metafisico, che celebra in definitiva, non solo il ricongiungimento con la terra, ma il potere magico della Forma (e con essa di Eros, che ricongiunge) e, insieme, della Musica.

Note

  1. Alma collega questi “3 colpi di scure” del destino ai 3 colpi di martello che si abbattono sul finale “disperato” della 6 Sinfonia. Collegamento di per sé cronologicamente ardito, dato che nel 1903-4, periodo in cui Mahler aveva scritto la 6a, nessuno di quei 3 colpi era in realtà ancora piombato su di lui. Ma Alma giustifica l’incongruenza cronologica parlando di un cupo “sentimento premonitore” che avrebbe dominato Gustav anche quando le cose andavano piuttosto bene; notazione comunque utile ad Alma per far risaltare, di fronte al carattere melanconico del marito, le sue virtù di moglie paziente e devota.
  2. La scoperta della liaison era avvenuta in circostanze particolari. Mahler, profondamente innamorato (a suo modo) di Alma, mal sopportava la sua lontananza “ai bagni”. Andò quindi a Tobelbad a riprendersela, trovandola in splendente rifioritura e particolarmente affascinante. Tornati a Toblach, dove Mahler stava componendo la 10a sinfonia, dopo alcuni giorni di tormenti e di infelicità, all’inizio di agosto, accadde un fatto curioso: arrivò da parte di Gropius (a sua volta disperato per l’improvvisa partenza di Alma da Tobelbad) una lettera di passione infuocata, in cui chiedeva ad Alma di tornare subito da lui; lettera che però “per sbaglio” portava sulla busta l’ indirizzo “Al direttore Mahler”….Mahler l’aprì, distrattamente, mentre era al pianoforte…
  3. In una serie di scritti che si prolungano fino agli anni 50 Reik descrive l’inconscio dell’analista come uno strumento musicale; come una sorta di arpa eoliache cattura e fa risuonare il tessuto musicale della comunicazione del paziente. Regola fondamentale, astinenza, disposizione analitica sono ridefinite in termini musicali: sospendendo il “rumore” della normale interazione e degli schemi del senso già costituito esse consentono la sorpresa e l’apertura alla dimensione più profonda della comunicazione; svolgono una funzione simile a quel silenzio che, da Wagner in avanti, nelle sale da concerto, è necessario all’ascolto. Reik, secondo lo stile dell’epoca, purtroppo è anche il responsabile di una certa tradizione “patobiografica” degli studi psicoanalitici su Mahler, che lo ha poi rappresentato come un nevrotico ossessivo, incapace di godimento, occupato dall’ interminabile tentativo di elaborare attraverso la musica i suoi traumi e i suoi lutti.
  4. Lo psicoanalista non può resistere, a questo proposito, dal citare proprio Freud (premessa a l’ Io e l’ Es, 1923): “Se la psicoanalisi non ha finora dato rilievo a certe cose, ciò non è avvenuto per trascuratezza o perché ha inteso disconoscerne l’ importanza, ma perché ha seguito un proprio cammino, che non era ancora giunto a quel punto. E infine, quando giunge ad occuparsene, quelle cose le appaiono comunque in una luce diversa..”
  5. A proposito. Per ricadere (solo un attimo!) nei vecchi vizi psicobiografici: Natalie avrebbe voluto continuare a occupare nel cuore di Gustav quel posto che fu preso invece da Alma. Le due gelidamente si ignorano, l’un l’altra, nei loro libri di ricordi. Ma viene da chiedersi: se davvero le scelte amorose di Gustav fossero state rigidamente dettate solo da una “fissazione materna”, perché la sua scelta non si è indirizzata verso la pacata, affidabile, costante, protettiva, materna (e anche bella!) Natalie, invece che verso la giovane Alma, incostante, dai marcati tratti narcisistici, perfino un po’ razzista (se almeno diamo credito a Elias Canetti, che ne raccolse, anni dopo, le confidenze: ai bagni di Tobelbad, Gropius, alto e bello, le era apparso finalmente come l’incarnazione del suo ideale virile “ariano”…a lei, infelicemente amata “da piccoli ebrei come Mahler”)?
  6. A questi aspetti psicoanalitici e psicobiografici è dedicato l’ampio e documentato saggio di Robert Still, 1960
  7.  die liebe Erde allüberall/blüht auf im Lenz und grünt/auf Neu! Allüberall un ewig/blauen licht die Fernen!/ Ewig…ewig… La cara terra ovunque/ fiorisce in primavera e verdeggia/sempre di nuovo. Dovunque, eternamente/ d’azzurro si illuminano i lontani orizzonti! /Eternamente…eternamente..trad. di Quirino Principe

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