Cultura e Società

L’Enfant et les sortilèges. Di Maurice Ravel. Recensione di F. Munari

13/09/25
L'Enfant et les sortilèges. Di Maurice Ravel. Recensione di F. Munari

Parole chiave: Opera, Ravel, Klein, super-io sadico

di Franca Munari

Ricorre quest’anno il 150° anniversario della nascita di Maurice Ravel. Molte le rappresentazioni a celebrarlo. In particolare il 51° Festival della Valle d’Itria ha scelto di mettere in scena l’Enfant et les sortilèges. 

Nell’accurata preparazione di questo Festival, gli organizzatori hanno trovato sulla Rivista di Psicoanalisi un mio recente lavoro su quest’opera e mi hanno chiesto un breve testo per il Libro di Sala. Ovviamente ho scelto di andare a vedere l’opera a Martina Franca, occasione rara di una sua messa in scena.

Photo Clarissa Lapolla

L’enfant et les sortilèges è opera concepita da due artisti prestigiosi, Colette e Ravel ed entrambi lo fanno in una dimensione di ritorno all’infanzia: quando gli animali parlavano, le teiere cantavano, le principesse e i pastorelli circolavano per casa, quando anche capitava di sentirsi esclusi e abbandonati perché gli altri erano in coppia; di sentirsi annoiati, arrabbiati, molto arrabbiati e per questo accadeva di voler distruggere tutto, e poi di essere spaventati per averlo fatto, colpevoli, infelici, bisognosi e, infine poi, anche desiderosi di riparare. 

Il bambino dei sortilèges, ridotto a essere un bébé, da una madre severa, perché non ha fatto i compiti e ha versato l’inchiostro sul tappeto, viene punito con “la merenda del bambino cattivo: tè senza zucchero e pane secco”, resterà da solo fino all’ora di cena e dovrà pensare al suo errore, ai suoi doveri e, soprattutto, “al dispiacere della mamma”. 

Photo Clarissa Lapolla

Il bambino si dichiara “cattivo, molto cattivo”, felice di restare da solo, e si abbandona a una vera e propria crisi pantoclastica. 

Photo Clarissa Lapolla

Klein che nel 1929 su quest’opera scrisse un breve, ma assolutamente illuminante lavoro, Situazioni d’angoscia infantile espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo, lavoro che presentò alla Società britannica di psicoanalisi., nota come simbolicamente gli attacchi distruttivi del bambino siano volti al corpo materno, la poltrona ad esempio, e al pene del padre che vi sarebbe contenuto, il pendolo dell’orologio che viene divelto, lo scoiattolo nella gabbia che viene ferito. Ma al tramonto, quando comincia a sentirsi solo e angosciato, il fuoco, gli oggetti prima attaccati, il vecchietto dei numeri, gli animali che ha ferito, tutti si rivoltano contro di lui, lo accusano e lo minacciano. Fino a quando, nel parapiglia che ne consegue, il bambino presta soccorso allo scoiattolo e gli fascia la zampa ferita con la sua sciarpa. Gli animali constatano che il bambino “è buono”, “è un bravo bambino” e raccogliendo la sua invocazione di aiuto: “mamma”, lo accompagnano a casa.

Perché l’interesse di Melanie Klein per questo testo? Perché esso conferma un aspetto importante della sua teoria sul complesso edipico e cioè che esso inizi nel momento in cui il sadismo del bambino è al suo culmine e le conseguenze di questa contiguità temporale impattano sulla formazione del Super-io, che ne sarà sempre condizionato.

“I risultati del mio lavoro mi hanno indotta a concludere che la fase in cui il sadismo è al suo culmine in tutte le zone erogene da cui trae origine, precede il primissimo stadio anale, e che essa assume un’importanza speciale per il fatto di coincidere con lo stadio di sviluppo nel quale compaiono per la prima volta le tendenze edipiche. Ciò vuol dire che il conflitto edipico esordisce sotto il dominio assoluto del sadismo. La mia tesi che la formazione del Super-io si conforma strettamente fin dal principio alle tendenze edipiche e che pertanto l’Io cade sotto il potere del Super-io già in età molto precoce spiega, a mio parere, perché questo potere ha una forza tanto tremenda da far sì che, quando gli oggetti sono introiettati, gli attacchi sferrati contro di essi con tutte le armi del sadismo suscitino nel soggetto la paura di subire attacchi dello stesso tipo da parte degli oggetti esterni e di quelli interiorizzati.”[1]

Il mio interesse di psicoanalista per questa opera, in senso clinico è relativo al fatto che essa costituisce un esempio perspicuo di quadri che mi capita di incontrare, ovviamente con modalità di espressione molto differenti, con pazienti di qualunque età e all’interno di qualunque organizzazione psicopatologica, fino a quella “nevrotica normalità” che contraddistingue chiunque di noi. [2]

La sequenza è sempre la medesima: frustrazione, distruttività, angoscia, riparazione. Si tratta sempre di ‘ripetizioni’ importanti e trasformative.

Il complesso edipico, si rivela essere, non solamente un fondamentale passaggio evolutivo del bambino, ma sempre, nel corso dell’intera esistenza, uno straordinario organizzatore soggettivo, relazionale e anche sociale, che ci accompagna e ci informa nel corso di tutta la nostra esistenza, permettendoci di rilanciare, riorganizzare ed elaborare la conflittualità.

Il mio interesse in senso teorico è, ancora una volta, di ritrovare nelle più differenti produzioni artistiche, la straordinaria competenza della creatività nel conoscere, “inconsapevolmente”, l’inconscio. 

Questo è ciò che accade in questa “favola”, dove Colette “si fa letteralmente psicoanalista di bambini”, come scrive Julia Kristeva nel volume a lei consacrato di Il genio femminile (2002).

Questa realizzazione di L’Enfant et les sortilèges si avvale di cantanti bravissimi e mantiene costantemente il ritmo incalzante di quella persecutorietà che caratterizza il tema centrale dell’opera. 

Photo Clarissa Lapolla

Come spesso accade con le favole, finisce troppo presto…


[1] Klein M. (1929) Situazioni d’angoscia infantile espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo. p. 341. In Scritti 1921-1958, Boringlieri, Torino.

[2] Munari F. (2024) L’Enfant et les sortilèges. Le trame dell’Edipo. Rivista di Psicoanalisi 2024/1

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