Cultura e Società

Premio IPA “The analyst as story teller” – “Ice rock” F. Castriota

10/02/21

Premio letterario dell’ IPA

“The analyst as story teller”

 

Lo scorso anno l’IPA ha indetto il concorso letterario internazionale “The analyst as story teller”, aperto ai colleghi di tutte le società psicoanalitiche. Potevano essere presentate solo delle short story. Una giuria internazionale ha selezionato una rosa tra le centinaia di lavori proposti, pubblicati prossimamente dall’IPA.  In questa rosa di vincitori è stato scelto anche il brevissimo racconto di Fabio Castriota “Ice rock” che abbiamo il piacere di allegare nella versione italiana.

 

Fabio Castriota

Ice-rock

                

 Il prigioniero 3H-9201 era rinchiuso nel carcere di Ice-Rock da tempo immemorabile. Egli stesso aveva dimenticato l’inizio della propria detenzione, né aveva più alcuna memoria di quando era un uomo libero, fino al punto di dubitare di esserlo mai stato. Considerava Ice-Rock la propria casa e la propria vita, né pensava mai, né lo desiderava, di tornare un giorno in libertà.

 Anche l’Amministrazione del carcere ormai non era più a conoscenza delle date di ingresso e dell’eventuale rilascio dei prigionieri, dei quali nessuno ricordava più il nome.

 Tutto il carcere viveva in una sorta di isolamento fuori dal tempo, lontano dagli avvenimenti e dalla vita del mondo, immemore di sé e della realtà.

 3H-9201 era rinchiuso in una piccola cella rischiarata da una luce azzurrina che freddamente filtrava dall’unica apertura in alto, oltre il limite dello sguardo dove talvolta l’aria s’insinuava, sibilando in modo incostante, spruzzando cristalli di neve ghiacciata che lentamente scendeva dopo una pausa di sospensione.

 Il prigioniero passava il suo tempo standosene in genere rannicchiato in un angolo, avvolto nelle lacere coperte che un giorno gli erano state assegnate, vivendo in uno stato auto-ipnotico senza sogni.

 3H-9201 non ricordava da quando non avesse più rapporti con altri esseri umani; anche il secondino che quotidianamente gli lasciava sotto la porta di ferro consunta e piena di ruggine gelata, una ciotola piena di una tiepida brodaglia non scambiava con lui alcuna parola, né sentiva alcun bisogno apparente di ascoltare o di parlare con qualcuno.

 Anche il motivo della sua carcerazione gli era ormai oscuro e nello stesso tempo, indifferente, come la sua età, il suo passato e la sua fine.

 

 Quella notte scivolò silenziosa come tutte quelle che l’avevano preceduta; al mattino, quando 3H-9201 allungò meccanicamente il braccio per afferrare la ciotola, senza neppure voltare la testa, la trovò, per la prima volta dall’inizio della sua prigionia, vuota come l’aveva lasciata la sera precedente.

 Così come un evento banale ha il potere, per il semplice fatto di essere inusuale ed inaspettato, di scuotere e creare uno stato di ansiosa aspettativa, così quella ciotola vuota determinò in lui un sobbalzo, un’angoscia sconosciuta.  Tornando a viversi improvvisamente reale 3H-9201 fu inondato da tutte quelle paure lontane che la monotonia della sua vita avevano seppellito, ma mai definitivamente ucciso, dentro i labirinti della sua mente. Dopo il primo attimo di smarrimento, si alzò faticosamente sulle ginocchia, che scricchiolarono sotto il peso pur lieve del fragile corpo e delle pesanti coperte che l’avvolgevano.

 Lentamente avvicinò al viso la ciotola, desolatamente vuota, incrostata degli avanzi rappresi; con la mano ruvida stropicciò gli occhi ancora sonnolenti, scrutando la scodella metallica come se fosse la prima volta che ne scoprisse l’esistenza. Un cigolio inaspettato della porta lo fece rabbrividire.

 Lasciò cadere tremante la ciotola, che rimbalzò metallicamente sul pavimento, per roteare poi sempre più velocemente su sé stessa, fino a schiacciarsi a terra con un suono cupo.

 3H-9210 si bloccò con la schiena contro la parete gelata, sgranando gli  occhi terrorizzati verso la porta che aveva da sempre sbarrato  la cella, isolando e spegnendo nel tempo ogni sua speranza e curiosità.

 La porta, sospinta e risucchiata dal vento, ormai non più serrata, cominciò a sbattere sui cardini con sempre maggiore violenza e con un fragore terrificante che sembrava propagarsi all’infinito, rimbombando tra le pareti della cella.

 Il prigioniero rimase impietrito per istanti eterni, poi, come sospinto da un istinto primordiale, si lanciò sulla porta, afferrò con le mani tremanti la vecchia maniglia e, con violenza, la tirò a sé in un disperato quanto inutile tentativo di richiuderla.

 Subito si rese conto che non avrebbe potuto reggere a lungo quello sforzo, tanto violentemente il turbine che si era creato tra l’apertura in alto e l’esterno, la sospingeva a aprirsi.

 Alla fine, esausto, lasciò la presa. La porta si spalancò del tutto e, con un fragore sordo, sbatté violentemente contro il muro esterno per non chiudersi mai più.

 

 Quando il vento iniziò a calare d’intensità 3H-9201 lentamente si avvicinò all’apertura, con una cautela insensata, come se di là da quella si aprisse una voragine che tutto annullasse in se stessa.

Giunto sul bordo, sporse lentamente il viso di fuori verso quell’ignoto, strizzando gli occhi spaventati, inoltrandosi con lo sguardo in quel aldilà che il tempo e il desiderio avevano da tempo cancellato.

 Vide che il piccolo spazio dove aveva vissuto, dava su un corridoio lunghissimo, anch’ esso con le pareti ghiacciate, immerso in una luce fioca ed azzurrognola, rischiarata solo dai raggi freddi che venivano lateralmente dalle altre celle.

 Il fondo non era visibile, immerso in un’oscurità nebbiosa per la neve che, sospinta dal vento, turbinava nell’aria, spadroneggiando ovunque senza più ostacoli.

 Il prigioniero cominciò lentamente, intirizzito per il freddo e la paura, ad inoltrarsi lungo quello spazio oscuro e senza fondo, guardandosi continuamente alle spalle a mano a mano che si lasciava dietro la sua cella rassicurante. Nella solitudine percorse il lungo corridoio, passando di fronte alle altre celle, tutte vuote, fino a quando si ritrovò in un grande spazio quadrato da cui si dipartivano altri cunicoli: alcuni salivano, altri sprofondavano nelle viscere della prigione.  Il vento riprese di colpo a soffiare lamentosamente e la notte avvolse tutto in un buio totale.

 

 Il mattino dopo 3H-9201 esplorò i corridoi di quel settore della prigione alla ricerca sfiduciata di cibo. La fame aveva cominciato a cancellare ogni altra emozione ed una sorta di coraggio disperato e primitivo prese il sopravvento. Quando, al terzo giorno d’esplorazione, senza incrociare nessuno, trovò del cibo seccato dal gelo, solo allora si rese conto che era probabilmente l’unico individuo che abitasse quel posto dimenticato dalla vita.

 Rendersi conto del suo stato non lo turbò, tanto era ormai abituato a vivere da solo con le proprie fantasticherie, ma dopo qualche giorno questo pensiero cominciò a richiamare su di sé l’attenzione della sua mente, fino a diventare il centro delle sue riflessioni.

 Sulla parete ghiacciata dell’ampio stanzone dove aveva cominciato a dormire, iniziò, con un punteruolo   che aveva trovato per terra, a tracciare delle linee, corrispondenti a quei settori della labirintica prigione, che andava a amano a mano esplorando.

 Quello che scopriva e disegnava era una struttura che, pur nella varietà delle geometrie, era ossessivamente uniforme: ogni posto, ogni angolo era simile a tutti gli altri ed era quindi impossibile, se non si aveva un qualche riferimento, riconoscere in quale zona ci si trovasse dato che tutto era coperto da un solido ed omogeneo strato di neve gelata.

 Trascorse le prime settimane di quella falsa libertà, l’ex-prigioniero, avendo ormai realizzata una mappa approssimativa, ma abbastanza completa, della prigione, cominciò a cercare di capire come poter uscire da quel posto misteriosamente deserto. Dopo aver cercato inutilmente un qualsiasi cunicolo aperto verso l’esterno, di cui intravedeva a tratti il cielo terso spazzato dal vento, si era quasi rassegnato a finire lì dentro i suoi giorni.

 

 Tutto sembrava ormai perso quando, passando un giorno particolarmente freddo lungo un corridoio stretto, pur altre volte percorso, si accorse che la parete gelata aveva, in un certo punto, uno strano chiarore, quasi che una luce illuminasse fiocamente, dal di dentro, quel pezzo di muro.

 Con la mano indurita dal tempo e dal freddo, strofinò la superficie, grattando via gli strati più superficiali del ghiaccio, scoprendo, a mano a mano che procedeva, una luce sempre più intensamente vicina.

 Solo dopo qualche tempo si rese conto che in quel punto la parete separava l’interno della prigione direttamente dall’esterno e che quella luce era dovuta ai raggi del sole che in un certo punto incontravano, nella parete di ghiaccio, un avvallamento profondo da poter filtrare all’interno.

 3H-9201 entrò in una crisi affannosa, il cuore cominciò a pulsare con violenza mentre il respiro ansimante sembrava non rifornirlo più d’aria.

 Ci vollero quasi tre giorni di stressante lavoro, aiutandosi col punteruolo, per permettergli infine una notte di vedere la prima stella al di là del piccolo foro che aprì nel ghiaccio.

 Era troppo stanco per procedere oltre, così, stremato, si abbandonò sul pavimento, pensando di aprirsi il mattino dopo l’apertura liberatrice.

 

Dal giorno lontano in cui aveva trovato la scodella vuota non aveva più sognato, ma quella notte riuscì di nuovo a visitare le stanze dei suoi desideri durante il sonno: si sognò bambino in braccio ad una donna senza volto, poi vide un mare tranquillo bagnare una spiaggia di sabbia bianchissima e sottile. Lasciò l’abbraccio, andò verso l’acqua cristallina. Trovato qualcosa sul bagnasciuga, forse un libro, allungò la mano per afferrarlo quando di colpo si svegliò, era già l’alba.

 Tanto era stato lento e faticoso il lavoro per arrivare ad aprire quel piccolissimo foro nella parete, tanto fu facile e veloce il riuscire ad allargare un varco sufficiente per uscire all’aperto.

 Era una giornata luminosissima, il cielo terso si schiariva là dove il sole era sorto da poco, l’aria era fredda, ma non gelida. 3H-9201 respirava a pieni polmoni con gli occhi chiusi, abbagliati dalla luce di quel sole che non vedeva chissà da quanto tempo. Esausto, più per l’emozione che per la stanchezza, si sdraiò in terra e rimase immobile con lo sguardo perso nell’azzurro pulito del cielo.

 Quando infine si rialzò cominciò a guardarsi intorno, mosse i primi passi incerti in quella terra sconosciuta. Intorno a lui si stendeva una grande distesa bianca riflettente: una superficie di ghiaccio levigata dal vento.

Cercando di non cadere cominciò a muoversi in tutte le direzioni senza una meta precisa. In breve si rese conto che ovunque si spostasse, arrivava inevitabilmente a trovarsi su un precipizio gelato sprofondante nel mare. Capì così di trovarsi su un’isola circondata da acque profonde.

 Rimase pensieroso, a lungo cercando di rispondere ad una serie infinita di domande senza riuscire a darsi una sola risposta.

 Fu ancora più difficile capire dove si trovasse quando si accorse che l’isola si muovesse lasciandosi alle spalle in mare una scia biancastra e continua.

 Un’idea penetrò rapida nella sua mente: non sulla terra ferma si trovava, ma su di un isola galleggiante! Ice-Rock non era stata costruita, come pensava, su uno sperone di roccia battuto dalla neve ghiacciata, ma era stata creata scavando direttamente nel ghiaccio i cunicoli e le celle. La zona prescelta doveva essere prospiciente al mare, ma nessuno aveva pensato che un giorno quel pezzo di montagna, in realtà solo di ghiaccio, potesse distaccarsi dalla madre-terra e, trasformato in un iceberg, vagare verso mari lontani alla deriva, trascinato chissà dove dal gioco delle correnti.

 Il giorno in cui ci si rese conto di quanto stava avvenendo probabilmente fu dato l’allarme per abbandonare in fretta la prigione, ma nessuno quella notte si accorse che un prigioniero era rimasto a bordo di quella che era ora un’isola alla deriva, perso nelle sue fantasticherie.

 Quando tutto fu chiaro, 3H-9201 emise un urlo di disperazione, ma anche di gioia nel risentire per la prima volta la sua voce dopo anni che erano stati per lui come un unico lungo giorno.

 

 Nei mesi che seguirono riprese a rammentare piano piano tutti gli eventi della sua vita: ricordò il suo nome, la sua infanzia , il volto dei genitori, della sua donna e quello di suo figlio, i motivi e gli eventi che lo avevano portato ad essere condannato ed imprigionato ad Ice-Rock.

 Il suo futuro gli appariva del tutto ignoto, anche se una serena rassegnazione regnava ormai nella sua mente non più vuota, qualche nave l’avrebbe forse prima o poi avvistato, oppure il suo iceberg si sarebbe sciolto prima nel mare, in ogni caso la morte lo avrebbe trovato meno angosciato ora che poteva di nuovo darsi un nome ed un passato.

 

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