Cultura e Società

Sulle origini e sugli  sviluppi del pensiero psicoanalitico in Italia: un breve cenno in occasione del Centenario della SPI  2025. S. Pandolfo

25/09/25
Sulle origini e sugli  sviluppi del pensiero psicoanalitico in Italia: un breve cenno in occasione del Centenario della SPI  2025. S. Pandolfo

Raffaello 1509-1511 La scuola di Atene

Parole chiave: Freud, Storia Psicoanalisi, pionieri, Società Psicoanalitica Italiana

Sulle origini e sugli  sviluppi del pensiero psicoanalitico in Italia: un breve cenno in occasione del Centenario della SPI  2025

di Stefania Pandolfo

In occasione del festeggiamento del Centenario della Società Psicoanalitica Italiana, tenterò di  evidenziare alcuni aspetti del pensiero psicoanalitico che si è sviluppato, in Italia, a partire dal pionieristico lavoro di Edoardo Weiss e dei suoi successori e che si è affermato, in questi cento anni di vita, dispiegandosi in un percorso via via sempre più originale, anche in parte scostandosi progressivamente da quella impostazione rigorosamente ortodossa che caratterizzava il lavoro dei primi pionieri e che si configura oggi in una linea di pensiero autonoma che rappresenta la continuità con la tradizione psicoanalitica e, al tempo stesso, la peculiarità dello “stile psicoanalitico italiano” (Borgogno, 1995). In queste note mi occuperò di tratteggiare soltanto gli sviluppi del pensiero psicoanalitico italiano, i filoni di ricerca e le linee teoriche che si sono via via affermati, rimandando il lettore, per gli approfondimenti, a ben più ampi lavori storiografici (si vedano ad esempio i preziosi contributi di Rita Corsa, il bel volume curato da Fabio Castriota, e il lavoro collettaneo a cura di Musella, Migliozzi e Ramacciotti, pubblicato su Spiweb, citati in bibliografia).  

Allo scopo di evidenziare il sorgere e lo svilupparsi di alcune delle linee di ricerca che caratterizzano l’attività degli psicoanalisti italiani, farò riferimento, in queste brevi note, ad un articolo di G. Di Chiara (1985) presentato al convegno dedicato alla cultura psicoanalitica tenutosi nel dicembre del 1985, non a caso, a Trieste considerata la “culla” della psicoanalisi italiana poiché fu proprio in questa città, patria di Edoardo Weiss, che si svolsero, in Italia, le prime psicoanalisi e fu proprio questa città che, in un certo senso, diede l’avvio alla ricerca psicoanalitica nel nostro Paese; in verità,  com’è noto, il primo atto fondativo “formale” della Spi, risaliva ad alcuni anni prima (Teramo, 1925) ad opera di Marco Levi Bianchini, ma fu con Edoardo Weiss che ebbe inizio l’attività scientifica e istituzionale vera e propria della Società (Castriota, 2020).

Nato a Trieste il 21 settembre del 1889, da un imprenditore di origine ebraico-boema, Edoardo Weiss si era recato a Vienna per avvicinare Freud “con la precisa intenzione di dedicarsi alla psicoanalisi” (Accerboni, 1985) e su suo consiglio, aveva iniziato un trattamento psicoanalitico con uno dei suoi più stretti e fidati collaboratori, P. Federn. Conclusa la propria formazione e ritornato a Trieste, passata ormai all’Italia, Weiss iniziò a praticare la psicoanalisi destando grande interesse negli ambienti culturali e cittadini. Voghera (1985) fa notare che ci dovevano essere dei precisi motivi per l’attenzione prestata alle teorie freudiane da alcuni ambienti di quella città.

Come rileva Carloni (1985, p.16), pare che alcuni scrittori triestini abbiano preceduto in questo senso i loro colleghi del resto d’Italia leggendo e orecchiando Freud con notevole anticipo rispetto agli altri, “favoriti in questa precoce scoperta di Freud dalle stesse ragioni che avevano permesso a Weiss di avvicinare concretamente il maestro viennese : cioè dal singolare humus umano e culturale che si era venuto a formare a Trieste, terra di frontiera, trivio italo-svevo-austriaco condito di ebraicità”.

Nel 1931, Edoardo Weiss aveva lasciato la sua città per trasferirsi a Roma dove, affiancato da pochi seguaci, diede vita alla Società Psicoanalitica Italiana.

Tra i suoi primi collaboratori figuravano gli illustri nomi di Nicola Perrotti ed Emilio Servadio, ai quali si aggiunsero poco dopo anche quello di Cesare Musatti e di Alessandra Tomasi di Palma. La prima attività di ricerca in Italia portava l’impronta di questi pionieri che, pur costretti dalla primaria preoccupazione di testimoniare la validità della cura psicoanalitica e di fronteggiare contemporaneamente l’ostilità che l’ambiente culturale italiano di quel tempo opponeva ad un approccio sperimentale e pragmatico alla psiche umana, si riunivano insieme a leggere e studiare Freud.

Tra gli interessi principali di Weiss, un posto di assoluto rilievo era assegnato alla comprensione delle psicosi. Non bisogna dimenticare infatti che l’essersi formato con Paul Federn, l’aveva reso sensibile ai problemi teorico-clinici posti dalle psicosi, la cui corprensione psicodinamica, secondo Federn, passava attraverso un approfondimento della natura, struttura e funzionamento dell’Io.

Il bagaglio di esperienze che Weiss aveva accumulato durante i dieci anni di attività svolta nell’istituzione psichiatrica triestina, gli aveva permesso di venire a contatto di una vasta casistica sulla quale maturare le sue riflessioni, che utilizzò per elaborare alcune originali ipotesi psicodinamiche sulle psicosi, e di fatto, il tema più caratteristico della ricerca di Weiss e dei suoi discepoli, sarà sulla scia di Federn, l’Io e le sue vicissitudini, anticipando alcuni concetti che troveranno conferma nei contributi di autori come M. Klein, H. Kohut, precorrendo di molti anni i successivi sviluppi del pensiero psicoanalitico (Accerboni, Corsa 1985; Corsa, 2013).

Nel frattempo la guerra aveva interrotto ogni contatto con le culture straniere e il gruppo di Weiss, a causa delle persecuzioni antisemitiche, dovette rapidamente disperdersi ma, nonostante le difficoltà e il forzato silenzio causato dalle vicissitudini politiche del nostro Paese, gli sforzi di quei primi analisti cominciarono a dare i primi frutti.

Come scrive Gaddini “l’alba dopo la lunga notte calata nel 1938 riapparve nel 1945” (Gaddini,1971, p. 257).

Nel 1946 la Società Psicoanalitica venne di fatto ricostruita, e come primo segno di questa rinascita, fu organizzato, nell’ottobre di quell’anno, il primo Congresso italiano di psicoanalisi. Nel frattempo cominciava nella Società l’attività didattica. Musatti a Milano, Servadio e Perrotti a Roma e la Tomasi di Palma a Palermo avevano intrapreso analisi di training con un certo numero di candidati che presto divennero loro colleghi. Così, attorno ai primi pionieri, si venne formando una seconda generazione di analisti che collaborò attivamente allo sviluppo della psicoanalisi. Tra essi, Franco Fornari allievo di Musatti, ed Eugenio Gaddini, formatosi con Emilio Servadio.

Ma occorrevano innanzitutto gli strumenti di informazione scientifica. La rivista Psiche, fondata nel ’48 da Perrotti e durata fino al ’71, e la Rivista di Psicoanalisi, nata nel ’55 e tuttora organo ufficiale della Società (che avevano fatto seguito alle meno fortunate Rivista Italiana di Psicoanalisi fondata da Weiss nel ’32 e Psicoanalisi fondata da Flescher nel 1945), non erano sufficienti ad assolvere questo compito. Occorrevano anche dei libri, a cominciare dalla traduzione delle opere di Freud.

Nel 1949 Cesare Musatti pubblicò la prima edizione del suo Trattato di Psicoanalisi, una rigorosa esposizione generale delle dottrine di Freud, puntualmente illustrate da una casistica personale, e dal 1967 assunse la direzione italiana della traduzione delle opere di Freud, presso l’editore Boringhieri (Vegetti Finzi, 1986). Musatti faceva precedere ogni scritto da un’accurata presentazione, fornendo così, insieme alla traduzione dei testi, un’ampia panoramica sulla storia dei concetti e dei problemi che avevano accompagnato lo sviluppo del pensiero freudiano (Di Chiara, 1985). Di fatto, la sua produzione, pur caratterizzata da una rigorosa difesa del nucleo concettuale della psicoanalisi freudiana e dalla strenua difesa dell’ortodossia e fedeltà psicoanalitica, non era priva di spirito critico e libertà di giudizio consentendo alla successiva generazione di analisti, che in un certo senso può dirsi sua allieva, di affrancarsi dalla esegesi del testo freudiano come unica e sola attività di ricerca psicoanalitica.

Intanto, gli interessi di Emilio Servadio influenzavano gli argomenti di studio del Centro Psicoanalitico di Roma: attenzione per i periodi più precoci dello sviluppo, per le percezioni extrasensoriali nell’ambito della situazione analitica e per il controtransfert che rimarrà sempre un argomento caro alla ricerca psicoanalitica italiana: ad esso furono dedicati due convegni della Società, il primo nel 1959, seguito da un secondo nel 1962.

Nel frattempo cominciavano a circolare nuove traduzioni di Freud e di Melanie Klein e, nel 1963, Franco Fornari pubblicò uno studio sugli stadi più precoci dello sviluppo umano. Da quest’apertura sugli orizzonti dischiusi dell’opera della Klein, l’analisi infantile diverrà una delle fonti più significative della ricerca post-freudiana. Ma non l’unica.

Già dalla fine degli anni ’50 si assiste, in Italia, alla progressiva espansione della psicoanalisi di gruppo che, grazie all’opera di autori come Spaltro, Diego e Fabrizio Napolitani e Francesco Corrao, tra gli altri, schiuderà nuovi interessanti orizzonti (a questo filone si affiancherà l’elaborazione di Claudio Neri, che trent’anni dopo avrebbe sistematizzato il lavoro clinico e teorico sul gruppo analitico, rendendolo un riferimento consolidato anche in ambito internazionale).

Come rileva Di Chiara, negli anni ’60 e ’70 non solo vi fu in Italia un’attività psicoanalitica stabile e feconda, ma cominciò a prendere vita una ricerca originale che continuò a crescere e a svilupparsi. In corrispondenza con la maturazione del gruppo psicoanalitico italiano cominciarono, infatti, scambi sempre più attivi con la ricerca che intanto cresceva al di fuori dell’Italia: “è il tempo dei trapianti e degli innesti. I trapianti ripropongono le nuove tecniche in rigorosa corrispondenza con i modelli originali; gli innesti sono il prodotto dell’incontro tra le linee di ricerca già avviate e i nuovi apporti” (Di Chiara, 1985, p.77).

Così l’opera di Winnicott, tradotta da Renata De Benedetti Gaddini, diverrà il punto di partenza di una ricerca originale della quale si fece principalmente interprete Eugenio Gaddini il quale, mantenendo il più rigoroso contatto con la clinica, indirizzerà i suoi interessi verso la formazione precoce del Sé, verso il processo di formazione di un’identità autonoma, verso le implicazioni patologiche del narcisismo e dell’imitazione con particolare riguardo ai quadri psicotici e psicosomatici.

La strada aperta dalle ricerche di Hartmann, Mahler, Klein, Winnicott e Bion veniva continuata dagli studi sulle relazioni precoci, sulle simbiosi, sul narcisismo…

Carloni, alla guida di un gruppo di analisti di Bologna, tradusse e curò la pubblicazione delle opere di Ferenczi, riprendendo le tematiche delle relazioni precoci con riferimenti alla narratologia e alla favola. Zapparoli si occupava della psicosi mentre A.M. Muratori e C. Traversa si occupavano dei livelli profondi delle esperienze relazionali e M. Mancia del Super-io e più avanti di Neuroscienze e del Sogno.

Mentre Francesco Corrao metteva l’accento sul fenomeno del controtransfert ed insieme a questo diventavano oggetto di studio fenomeni come l’identificazione proiettiva e la reverie.

Sempre nel corso degli anni ‘60 e’70 erano emersi, in proposito, i contributi di Luciana Nissim Momigliano, con i suoi studi pionieristici sul controtransfert e sulla relazione analitica e di Stefania Turillazzi Manfredi, che sviluppò la psicoanalisi dei concetti e le riflessioni sull’identificazione proiettiva, mentre sul versante dell’infanzia e dell’adolescenza, il ruolo di Dina Vallino (e in seguito di Marta Badoni), fu decisivo e per diffondere l’osservazione del neonato secondo il modello di Ester Bick e per introdurre la innovativa tecnica della Consultazione partecipata.

L’editore Armando pubblicò le opere di Bion, che si rivelò un autore estremamente fecondo per il nostro pensiero psicoanalitico. Sulla scia delle opere di Bion, presentato da Bordi, diventava infatti sempre crescente la produzione psicoanalitica italiana attorno al suo pensiero, mentre si continuavano a studiare le relazioni precocissime, perinatali o prenatali, la psicosomatica, la comunicazione non verbale e il protomentale.

Come aveva già rilevato Di Chiara (1985, p.80) : “siamo ben lontani dalla psicoanalisi delle nevrosi, secondo il modello del 1923, nella quasi totalità del panorama”.

Le linee di ricerca che continuavano ad affermarsi, procedevano secondo una triplice direzione: nel senso di una sempre maggiore importanza data alla persona, alla personalità dell’analista e alla relazione analitica; nel senso dell’approfondimento dei livelli dell’esperienza psicologica, e, conseguenza delle prime due, nel senso della necessità di un ampliamento dell’impianto teorico (problematica, questa, che riguardava naturalmente l’intero ambito psicoanalitico internazionale).

L’analisi delle relazioni profonde, seguendo la strada aperta da Klein, Bion, Meltzer, Winnicott, Mahler, Jacobson, negli approcci alle psicosi, agli stati borderline, alle malattie psicosomatiche, nelle elaborazioni di autori come Hautmann o Gaddini, per esempio, sembrava non poter più essere illuminata soltanto dalla metapsicologia freudiana; in Italia, come nel resto del mondo, era ormai iniziato un progressivo movimento di evoluzione dei modelli più classici che mal si adattavano ai diversi modi di immaginare la mente e il suo funzionamento. I progressi ormai compiuti nell’ambito della ricerca psicoanalitica avevano fatto emergere la necessità di una integrazione e un ampliamento dei modelli teorici tradizionali. In questo movimento, anche per l’importanza assegnata alle relazioni oggettuali, un importante filone di pensiero si veniva a situare al crocevia fra pensiero freudiano classico e pensiero kleiniano (lo stesso nel quale si erano trovati a loro tempo gli analisti del Middle Group, “rinvenendo coralmente nel dialogo interpersonale e nello studio della qualità dell’incontro che lo favoriscono o lo impediscono il loro punto di unione, di forza e di scoperta” (Borgogno, 1995, p.11). Continuava a svilupparsi, intanto, il dialogo con la psicoanalisi francese che faceva riferimento a Lacan, Laplanche, Pontalis, Green e Anzieu, Kaes, tra gli altri, aprendo nuove prospettive sulla riflessione sull’inconscio, sul linguaggio, sulla temporalità e sul desiderio (Balsamo, 2025).

Senza contare che, a partire dall’interesse per il controtransfert, la maggiore importanza che, nel processo analitico, assumeva la coppia analitica faceva risultare sempre più la responsabilità personale dell’analista, il suo stile d’intervento e persino le sue caratteristiche personali. Su questa scia, uno degli sviluppi più significativi fu l’elaborazione del cosiddetto paradigma del “campo analitico”. A partire dall’eredità di Bion e dal contributo dei Baranger, Antonino Ferro aveva ridefinito l’assetto tecnico della seduta, privilegiando l’attenzione al sogno, alle immagini e alle trasformazioni simboliche che emergono nel campo condiviso, sviluppando in modo originale la dimensione intersoggettiva  e proponendo di pensare l’esperienza analitica come un fenomeno di risonanza e di trasformazione estetica (Civitarese, 2018), dando vita ad una vera e propria scuola post-bioniana, che ha trovato a Pavia un centro di particolare vitalità (Nino Ferro, nel 2007, e Giuseppe Civitarese nel, 2022, hanno ricevuto il prestigioso Sigourney Award, in segno dell’apprezzamento internazionale  di questa linea di pensiero italiana, anche se non l’unica: Franco Borgogno, nel 2010, aveva ottenuto lo stesso riconoscimento internazionale, per i suoi studi sulla clinica delle esperienze traumatiche precoci e la loro trasmissione transgenerazionale, e per l’approfondimento del pensiero di Sandor Ferenczi).
Parallelamente, la psicoanalisi italiana andava assumendo un ruolo di primo piano nella vita istituzionale dell’IPA. La presidenza di Stefano Bolognini (2013–2017) ne ha rappresentato un passaggio cruciale, non solo per la visibilità della SPI, ma anche per l’avvio dell’Inter-Regional Encyclopedic Dictionary of Psychoanalysis (IRED), un progetto istituito come Task Force nel 2014 (e diventato comitato permanente dell’IPA nel 2021), di cui Bolognini era stato tra i promotori e chair dal 2016. Il progetto ha avuto l’obiettivo di confrontare e armonizzare il lessico psicoanalitico delle diverse tradizioni, offrendo uno strumento prezioso per favorire una lingua comune. Questo lavoro lessicografico ha avuto importanti ricadute anche sulla riflessione teorica interna alla SPI, sensibilizzando gli analisti italiani alle differenze linguistiche e concettuali tra le scuole.
Un altro ambito in cui l’Italia ha avuto un ruolo di rilievo è quello del dialogo con le neuroscienze. La scoperta dei neuroni specchio da parte del gruppo di Parma (Rizzolatti, Gallese) aveva dato origine a un confronto intenso con i concetti psicoanalitici di identificazione, empatia e intersoggettività. In particolare, le elaborazioni di Vittorio Gallese sulla “embodied simulation” hanno stimolato un fertile scambio con psicoanalisti italiani e internazionali (Gallese, 2005; 2011). La SPI ha dedicato numerosi convegni e, più recentemente, un numero speciale dell’Italian Psychoanalytic Annual (2024) e il numero monografico della Rivista di Psicoanalisi (2023) entrambi dedicati al rapporto tra psicoanalisi e neuroscienze, segno di un interesse che non si esaurisce nella ricerca sperimentale, ma si estende alla clinica e all’epistemologia.
Parallelamente all’elaborazione teorica, negli ultimi dieci anni  si è sviluppato un rinnovato movimento verso la ricerca, con la creazione di numerosi gruppi che hanno esplorato la possibilità di verificare l’efficacia della psicoanalisi con metodologie strutturate. La SPI ha promosso e sostenuto studi multicentrici, sia di tipo qualitativo sia quantitativo, ponendosi in dialogo con le tradizioni internazionali più consolidate. Sono state condotte ricerche sull’esito delle analisi a lungo termine, sull’impatto del trattamento psicoanalitico in età evolutiva, e sull’efficacia clinica nel trattamento di disturbi specifici.
Un ruolo importante è stato svolto dai gruppi di ricerca SPI e da collaborazioni internazionali (IPA Research Committees), che hanno prodotto dati significativi sull’evoluzione sintomatica, sui processi di cambiamento e sugli effetti a lungo termine della psicoanalisi (si pensi al progetto Nazionale di Ricerca Three-Level-Model sulle trasformazioni nel processo analitico (M.Vigna-Taglianti, 2018; Galeota M., Giustino G., Masina L., Nicolò A.M., Riva Crugnola C., Saraò G., Tambelli R., & Ierardi E. 2023).

La spinta verso la ricerca ha così consolidato l’immagine di una psicoanalisi italiana capace di interrogarsi criticamente e di offrire evidenze a sostegno della propria vitalità clinica.
Negli ultimi anni, la SPI ha affrontato tematiche legate al genere, alla sessualità e alle nuove forme di famiglia. Convegni e giornate di studio, come quella organizzata a Milano nel settembre 2023 in collaborazione con la Commissione IPA “Le differenze di genere: esperienze in psicoanalisi e oltre” e il convegno “Declinazioni del sessuale”, tenutosi a Bologna l’anno successivo, hanno segnato un passo importante nel riconoscimento delle trasformazioni sociali e cliniche legate a queste realtà. Allo stesso tempo, i temi del trauma, della guerra e delle migrazioni hanno assunto una centralità crescente (anche i ricchi dossier e le pubblicazioni di SPIweb testimoniano l’attenzione al trauma transgenerazionale e alla necessità di pensare la psicoanalisi come pratica culturale, capace di rispondere a fenomeni collettivi oltre che individuali). La Rivista di Psicoanalisi ha sempre mantenuto il suo ruolo centrale come organo scientifico della SPI, affiancata anche da Psiche, di recente riconosciuta ufficialmente dallo Statuto, mentre l’Italian Psychoanalytic Annual si è affermato come spazio di dialogo internazionale, con numeri tematici dedicati a questioni di confine. A questo già ricco panorama editoriale si è aggiunto il rilancio del sito SPIweb, che negli ultimi anni è diventato una vera piattaforma culturale: non solo prezioso archivio e strumento di comunicazione interna, ma spazio di confronto scientifico e divulgativo del sapere psicoanalitico.

Negli ultimi due decenni, dopo la stagione delle grandi scuole e delle figure fondative, le successive generazioni di analisti hanno dunque saputo portare nel dialogo psicoanalitico internazionale alcuni tratti caratteristici della tradizione freudiana e dei successivi sviluppi, come ho cercato di tratteggiare in queste brevi note, che necessariamente rappresentano solo parzialmente l’enorme ricchezza e varietà di contributi che compongono il panorama psicoanalitico attuale e al quale saranno successivamente dedicati  adeguati spazi di riflessione. Concludo dunque qui questo piccolo excursus, lasciando alle parole di Ronny Jaffè, pensate per la celebrazione del Centenario della Società Psicoanalitica Italiana, il compito di concludere: “la psicoanalisi ha sempre avuto a che fare con le mutazioni. Ha visto cambiare le forme della famiglia, i modi di amare, i linguaggi del desiderio. Ha attraversato le trasformazioni del lavoro, le rivoluzioni tecnologiche, i mutamenti dei legami sociali. E non ha mai smesso di pensare queste metamorfosi come opportunità di conoscenza e di cura. Oggi, di fronte a un mondo che si trasforma con una rapidità senza precedenti, la psicoanalisi continua ad essere un osservatorio privilegiato e un laboratorio di futuro”.

BIBLIOGRAFIA

AA. VV. La cultura psicoanalitica. Atti del Convegno di Trieste 5-8 dicembre 1985. (A cura di) ACCERBONI A.M., Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1987.

AA.VV. The Italian Psychoanalytic Annual. 2024 Special Issue. Psychoanalysis and Neurosciencies. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2024.

AA.VV. (2023). Rivista di Psicoanalisi 2023/3. Numero monografico su Neuroscienze. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Accerboni A.M., Corsa R. (1985). Tra psichiatria e psicoanalisi: il contributo teorico e clinico di Edoardo Weiss. In: Accerboni A.M. La cultura psicoanalitica. Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1987.

Balsamo M. (2025). Storia, archeologia, sopravvivenze. In: Jean Laplanche. Da Lacan a Freud. A cura di L. Spano. Franco Angeli, Milano, 2025

Bolognini S. (2018). The Inter-Regional Encyclopedic Dictionary of Psychoanalysis (IRED): A new IPA Project. International Psychoanalysis Today, (11), 5-7.

Borgogno F. (1995). Prefazione all’edizione italiana. In: Rayner E. (1991). Gli indipendenti nella psicoanalisi britannica. Milano, Raffaello Cortina Editore, 1995.

Carloni G. (1985). La psicoanalisi torna a Trieste. In: Accerboni A.M. La cultura psicoanalitica. Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1987.

Castriota F. (2020). La Società Psicoanalitica Italiana. Un secolo di storia, di idee e di analisi. Mimesis, Milano-Udine.

Civitarese G. (2018). Soggetti Sublimi. Esperienza estetica e intersoggettività in psicoanalisi.Mimesis, Milano-Udine.

Corsa R. (2013). Edoardo Weiss a Trieste con Freud. Alle origini della psicoanalisi italiana: le vicende di Nathan, Bartol e Veneziani. Alpes Italia, Roma.

Corsa R. (2017). Vanda Shrenger Weiss. La prima psicoanalista in Italia. Alpes Italia, Roma.

Corsa R. (2025). Sulle tracce di Freud. Da Lombroso a De Sanctis e Dalma, scienziati italiani all’alba della psicoanalisi. Alpes Italia, Roma.

David M. (1966). La psicoanalisi nella cultura italiana. Torino, Bollati Boringhieri, 1990.

Di Chiara G. (1985). Breve profilo del pensiero psicoanalitico nella Società Psicoanalitica Italiana. In: Accerboni A.M. La cultura psicoanalitica. Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1987.

Gaddini E. (1971). Il movimento psicoanalitico in Italia. In: Scritti. Milano, Raffaello Cortina, 1989.

Galeota M., Giustino G., Masina L., Nicolò A.M., Riva Crugnola C., Saraò G., Tambelli R., & Ierardi E. (2023). Il 3Level Model, l’esperienza italiana di un modello di ricerca. Rivista di Psicoanalisi, 69(4), 1219-1247.

Gallese V. (2005). Embodied simulation: From neurons to phenomenal experience. Phenomenology and the Cognitive Sciences, 4(1), 23-48.

Gallese V. (2011). Neuroscienze, simulazione incarnata e intersoggettività: nuove prospettive per la psicoanalisi. Psiche, 1, 17-32.

Granieri A. (2024). Affrontare il rischio del risiedere in un Sito Contaminato: il caso di Casale Monferrato, tra catastrofe sociale e catastrofe individuale. Rivista di Psicoanalisi., 70(2), 449-462.

Jaffè R. (2025). Nel centenario, la psicoanalisi è laboratorio di futuro. Comunicato dell’esecutivo della società psicoanalitica italiana. SPIweb.

Musella R., Migliozzi A., Ramacciotti A. (Progetto editoriale) 2021. Collaboratori: Thanopulos S., Corsa R., De Masi F., Luchetti A., Chiari P., Riefolo G. (2021). Società Psicoanalitica Italiana: IPA Society of the Month. SpiWeb.

A.A. SEMI (1988) Trattato di Psicoanalisi (Vol.1). Milano, Raffaello Cortina Editore, 1988.

Vegetti Finzi S. (1986). Storia della psicoanalisi. Milano, Mondadori, 1986.

Vigna-Taglianti M. (2018). I gruppi di ricerca sulle trasformazioni nel processo analitico. Rivista di Psicoanalisi, 64(2), 239-252.

Voghera G. (1985). Perché Trieste? In: Accerboni A.M. La cultura psicoanalitica. Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1987.

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

"Sulle tracce di Freud. Da Lombroso a De Sanctis e Dalma, scienziati italiani all’alba della psicoanalisi" di R. Corsa. Recensione di M. Antoncecchi

Leggi tutto

Società Psicoanalitica Italiana: IPA Society of the Month

Leggi tutto