Cultura e Società

“Tracing Freud on the Acropolis” Recensione di A. Ramacciotti

2/11/23
"Tracing Freud on the Acropolis" di A. Ramacciotti 1


Parole chiave: #estraniamento #memoria #pace #Freud #Atene #Rolland

“Tracing Freud on the Acropolis”

Recensione della mostra a cura di Adriana Ramacciotti

Museo Sigmund Freud di Londra (26 luglio 2023 – 7 gennaio 2024)

Il Museo Sigmund Freud, al numero 20 di Maresfield Gardens a Hampstead, Londra, è un luogo legato imprescindibilmente alla nostra identità psicoanalitica e alle origini della psicoanalisi. Visitarlo è un’esperienza emozionante. Se poi la visita coincide con una mostra come quella in corso, “Tracing Freud on the Acropolis (26 luglio – 7 gennaio)” possiamo sentirci davvero fortunati.

Il Museo, attualmente diretto dal Dr. Giuseppe Albano, è stata l’ultima dimora di Freud e della sua famiglia, dove si rifugiarono dopo l’esilio del 1938 per sfuggire alla violenza nazista in Austria. La mostra si svolge al primo piano, in una grande e unica stanza situata a pochi passi dallo studio di Freud. Una collocazione audace se si considera che lo studio di Freud, cuore del Museo, ci accoglie e trattiene per un bel po’ di tempo, affascinati dall’iconico lettino, dalla ricca biblioteca, dagli arredi e dalla fitta collezione di reperti archeologici.

Freud aveva 48 anni quando visitò Atene nel 1904. La cultura e la mitologia greca sono state una passione costante della sua vita, iniziata nella giovinezza ed espressa nelle sue lettere e soprattutto nella teoria psicoanalitica: eppure questo viaggio fu il frutto di una decisione presa di getto. Freud era a Trieste insieme al fratello Alexander, di dieci anni minore, e seguendo il consiglio di un loro conoscente si imbarcarono verso Atene, via Brindisi e Corfù in quello che sarà l’unico viaggio di Freud in Grecia, a differenza dei 25 viaggi che invece fece in Italia (M. D’Angelo, 2022).

Di questo viaggio Freud stesso parla già ne “L’avvenire di un’illusione” (1927) e in una lettera a Marie Bonaparte ma soprattutto in un testo “Un disturbo della memoria sull’Acropoli: lettera aperta a Romain Rolland” (1936), scritto a 79 anni, dopo poco più di 30 anni dal viaggio. Nella lettera, un brano di autoanalisi, Freud descrive il sentimento di incredulità che lo pervade quando arriva in cima all’Acropoli, un sentimento che si manifesta come “disturbo della memoria” e che egli esprime con queste parole: “Dunque tutto questo esiste veramente, proprio come l’abbiamo imparato a scuola?!. (p 474). Una manifestazione davvero strana che poi egli definirà come “derealizzazione”, un sentirsi diviso, come se una parte di sé avesse messo in dubbio fino a quel momento la possibilità che tutto un mondo fosse esistito veramente mentre l’altra parte di sé fosse invece entusiasta e felice di vivere il momento di esaltazione sul posto.

La mostra, curata da Marina Maniadaki, segue le tracce del viaggio e crea uno sfondo interessante per la lettura del fenomeno di estraniazione che colse Freud sull’Acropoli.

Il viaggio viene ricostruito attraverso gli itinerari e le guide usate dai fratelli Freud, a partire dalle cartine e da fotografie molto suggestive come quella della nave Berenice (Urano) della Lloyd austriaca sulla quale si imbarcano. Ci accompagnano le cartoline inviate da Freud alla famiglia con le sue prime impressioni all’arrivo al Pireo e i ricordi del soggiorno dei fratelli presso il Grand Hotel di Atene.

A quel tempo, Atene era una giovane capitale che si stava evolvendo in direzione cosmopolita. Il centro aveva visto da poco la costruzione dei suoi edifici neoclassici e la popolazione cresceva rapidamente. Armstrong (2001) descrive così questo clima: “Per chi si reca nella Grecia dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento, però, c’è il confronto inquietante con un Paese che ha la sfrontatezza di essere bizantino, ortodosso, ebraico, turco, slavo, italiano e albanese, con una popolazione che ha l’inquietante abitudine di parlare demotico e non greco classico (come Freud scoprì molto presto con il suo vetturino, che ricorse a scrivere). In effetti, prosegue Armstrong, il mondo greco all’epoca della visita di Freud non era affatto coestensivo con quello di nazione: la più grande città “greca” era l’ottomana Smirne, e Salonicco con i suoi 90.000 ebrei era ancora una città turca con una consistente popolazione greca. Il mondo greco moderno sfida seriamente la narrativa europea del sé essendo sia archetipicamente “Occidentale” che persistentemente “Orientale…”  

Si può pensare con Armstrong (che addirittura conia il termine “dereificazione” per descrivere come gli europei istruiti siano rimasti così colpiti “dall’insostenibile leggerezza” della Grecia moderna) che questo unico viaggio di Freud in Grecia abbia ricoperto una specificità storica singolare, di forte impatto tra il presente e passato per chi come Freud si avventurava a visitare una Grecia “moderna” essendo portatore di un tipo d’istruzione fortemente “classica”.

Ad ogni modo, lo “scavo” nella cultura greca classica, alla quale Freud era avvezzo e appassionato, ha un spazio molto rilevante nella mostra. Ci sono alcuni dei numerosi oggetti archeologici della collezione di Freud: spicca la piccola scultura in bronzo di Atena considerata uno dei suoi oggetti preferiti, tanto che si raccomandò in special modo a M. Bonaparte perché la mettesse in salvo durante la fuga da Vienna.  Accanto ad essa è esposta un’altra statuetta molto bella raffigurante una figura femminile in trono, alcune maschere e una delicata lekythosa fondo bianco ideato per contenere l’olio profumato donato ai defunti.

Tornando al sentimento di derealizzazione sull’Acropoli, Freud segnala la sua funzione difensiva: “sono fenomeni molto curiosi, tuttora poco compresi. Vengono descritti come “sensazioni”, ma sono evidentemente processi complicati, connessi a determinati contenuti e legati a decisioni su questi contenuti. Molto frequenti in certe malattie psichiche, non sono tuttavia sconosciuti all’uomo normale, pressappoco come le allucinazioni occasionali delle persone sane. Certamente comunque sono atti mancati, di struttura anomala, al pari dei sogni, che noi consideriamo modelli di disturbo psichico nonostante compaiano immancabilmente nelle persone sane“(p. 478).

Distingue poi la derealizzazione (estraneo è un frammento di realtà), dalla depersonalizzazione (estranea è una parte del nostro Io), ma segnala che una caratteristica inequivocabile delle estraniazioni è la loro dipendenza dal passato, dal tesoro di ricordi dell’Io e da precedenti esperienze penose, che forse da allora sono rimaste soggette alla rimozione.

Come interpreta Freud questo dover difendersi da una realtà così piacevole come quella di essere sull’Acropoli? Innanzitutto in chiave edipica: 

 “La mia esperienza sull’Acropoli, che sfocia di fatto in un disturbo della memoria, in una falsificazione del passato, ci aiuta a mostrare questa influenza: Non è vero che negli anni del ginnasio io abbia mai messo in dubbio l’esistenza reale di Atene. Ho solo dubitato di poterla mai vedere con i miei occhi. Viaggiare così lontano, “fare tanta strada”, mi appariva al di fuori di ogni possibilità. Questo era legato alle ristrettezze e alla povertà delle condizioni di vita nella mia famiglia quand’ero ragazzo. La mia brama di viaggiare era certamente anche un’espressione del desiderio di sfuggire a quella oppressione, affine all’impulso che spinge tanti adolescenti a scappare di casa” (p.480).

Freud ci dice che, alla soddisfazione di aver fatto tanta strada, può rimanere legato un senso di colpa come se in esso ci fosse qualcosa di illecito e di proibito. Come se i sentimenti di ambivalenza verso i genitori, soprattutto verso il padre, fossero ancora presenti e lo condizionassero, al punto da sentire come ancora proibito il voler superare il padre. Quindi la gioia del viaggio ad Atene viene in parte permeata da questa sensazione, di estraniamento di “pietà filiale”.

Diversi autori hanno messo in luce altri aspetti, oltre la dimensione edipica, segnalando la poliedricità della lettera a Rolland (si veda, a questo proposito, la recensione dei libri di Susan Sugarman, Henri  e Madeleine Vermorel e William Parsons,  in R. Armstrong (2001).

Nel sottolineare l’attualità di questa lettera non possiamo dimenticare che Romain Rolland, premio Nobel della letteratura nel 1915, era un pacifista noto per il suo rifiuto della guerra. Nel volume “Al di sopra della mischia” (Au-dessus de la mêlée) vengono raccolti articoli pubblicati sul Journal de Genève, ma prima ancora nel romanzo, Jean Christophe, del 1912, dove attribuiva al protagonista la descrizione di scenari inquietanti: «L’incendio che covava nella foresta d’Europa cominciava a fiammeggiare. Lo si estingueva in un punto, si rianimava più lontano; con vortici di fumo e pioggia di scintille, saltava da un punto a un altro e ardeva la sterpaglia secca … Pareva che il mondo avesse scelto a disegno, per essere governato, i più mediocri. La forza dello spirito umano era altrove. Sicché altro non restava che abbandonarsi alla china, lasciarsene trascinare. Così facevano governanti e governati. L’Europa offriva l’aspetto di una grande veglia d’armi». 

Rolland rappresentava chiaramente un ideale etico per Freud e per molti altri. Ernest Jones (1953) ipotizzò che fosse stata la raccolta di saggi di Au-dessus de la mêlée, a portare Freud a considerare per la prima volta Rolland come uno spirito affine. Nella lettera per festeggiare il settantesimo compleanno dello scrittore, Freud esprime la sua ammirazione “per il Suo amore della verità, per il coraggio del Suo pensiero, per la Sua benevolenza verso gli uomini e la Sua generosità!”

La mostra del Museo Sigmund Freud, ed è un altro dei suoi pregi, ci ha offerto le condizioni per ripensare a questo testo, tuttora attuale, che si snoda nei primi trent’anni del Novecento e che ci pone ancora delle domande imprescindibili sul ricordare, sul dimenticare e sui destini della realtà dentro noi stessi. Quanta realtà sopportiamo? Quanta resta fuori? Quanta rientra e ritorna di tanto in tanto?  Quanto spesso la storia individuale o collettiva viene amputata e la ripetizione di strategie belliche, sempre più sofisticate, continua a comportare morte e distruttività e risulta completamente inutile per risolvere qualsiasi tipo di diatriba tra popoli, razza o religioni?

Le estraniazioni sono quindi esperienze non infrequenti, legate a momenti di cambiamento, di incontro con qualcosa di estremamente desiderato, temuto, inaspettato o raro per ciò che il pensiero ritiene come riferimenti immediatamente riconoscibili.  Sono fenomeni transitoridove una realtà è messa in discussione, sono una sorta di tentennamento, del quale siamo parzialmente consapevoli, riguardo alla possibilità che abbiamo di ricusare o meno un frammento della realtà. Una scossa che implica la necessità di dare una nuova collocazione, come se in uno spazio non fosse possibile accogliere un’altra prospettiva. Oppure come quando per vedere integralmente un oggetto o una situazione si rende necessario cambiare punto di osservazione; ma da questo nuovo punto di osservazione non risulta visibile ciò che si vedeva prima. E allora le estraniazioni, come segnala Amati Sas (2020), oltre ad avere un funzionamento difensivo possono anche essere un segnale d’allarme contro una completa invasione da parte dell’ambiguità.  Ambiguità come una naturale tendenza al mimetismo che facilmente porterebbe alla massificazione. 

La mostra “Tracing Freud on the Acropolis”, la riflessione di Freud sull’estraniamento, la lettera a Rolland, e le parole del poeta per la pace e contro la guerra, concorrono ad aprire in modo molto attuale un filone di pensiero attento a osservare, nel nostro funzionamento psichico, dinamiche che si riscontrano non solo a livello individuale ma anche collettivo.

Bibliografia

Amati Sas, S. (2020)  Ambiguità, conformismo e adattamento alla violenza sociale. FrancoAngeli. Milano.

Armstrong, R. H. (2001) Unreal City: Freud on the Acropolis. Psychoanalysis and History 3:93-108.

Freud Museum London https://www.freud.org.uk/ 

Freud, S. (1936) “Un disturbo della memoria sull’Acropoli: lettera aperta a Romain Rolland” OSF vol 11.

Jones, E.(1953) Vita e opere di Freud. 3. L’ultima fase 1019-1939. Il Saggiatore, Milano 1962.

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