Cultura e Società

Intervista a Shukri Mabkhout. Difficili transizioni in Tunisia. A cura di C. Rocchi e D. Scotto di Fasano

13/12/23
AfrichE. Tra(N)sformazioni. Presentazione a cura di L. Boni, C, Rocchi, D. Scotto di Fasano 1

Chaos + Repair = Universe. Kader Attia, 2014

Parole chiave: Tunisia, Freud, Psicoanalisi, Fantasmi, Reverie, Edipo

Intervista a Shukri Mabkhout. Difficili transizioni in Tunisia.

a cura di Cristiano Rocchi e Daniela Scotto di Fasano

Cristiano Rocchi. In una intervista rilasciata nel 2017 sul suo romanzo Litaliano, per cui ha ricevuto l’ International Prize for Arabic Fiction 2015, Lei diceva:

“…Ma la cosa più importante che io volevo fare con questo romanzo è capire e mostrare come le persone vivono durante una fase di transizione da un regime vecchio e uno nuovo. Questo era il tema principale. Le fasi di transizione, come diceva Gramsci, sono i momenti in cui ci appaiono i fantasmi, gli spettri, che portano speranze e portano paure.”

Ecco, come psicoanalista, sarei interessato a sapere quali spettri, quali fantasmi ritiene popolino la psiche di Abdel, il protagonista de L’italiano.

L’Italiano, 2014, di Shukri al-Mabkhout. A cura di D. Scotto di Fasano
Shukri al-Mabkhout

Shukri Mabkhout. Essendo io uno scrittore, direi che tocca agli psicoanalisti rispondere alla sua domanda! Il testo è necessariamente plurale, con una serie di metefore ossessive, immagini e forme di rêverie.

Ho la mia idea circa i fantasmi e le paure cui accenna, ma mi è proibito, quasi in senso deontologico, di trasformarmi nell’esegeta del mio stesso romanzo. Inoltre, non sono sicuro che le mie rêveries, le mie paure e le mie ossessioni personali non traspaiano comunque nel testo, in filigrana. Allora la domanda sarebbe piuttosto la seguente: è proprio vero che uno scrittore, anche in un romanzo più o meno “realista” come il mio, si disvela psichicamente ? E come ? Tutto ciò richiede un’analisi minuziosa da parte di critici letterari, e non è mia intenzione orientare i critici o i lettori in un senso o in un altro.

Daniela Scotto di Fasano: Si, è vero, non si può che concordare con questa sua prima risposta. Però, tornando all’intervista già citata nella domanda, rispetto alla sua preziosa citazione del pensiero di Gramsci secondo il quale “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”, ci potrebbe descrivere quali siano le fasi di transizione del suo Paese alle quali il suo romanzo fa riferimento? E, in rapporto a tali fasi di transizione, quali elementi della storia del suo Paese le sembrano siano stati più significativi in rapporto ai fantasmi, agli spettri, che portano speranze e portano paure per le persone che hanno vissuto tali fasi di transizione?

Shukri Mabkhout. Ne LItaliano c’è un gioco di temporalità. Infatti, il tempo della narrazione è quello degli anni ’80, ’90, cioè la fine del regno del “padre della nazione”, in Tunisia Bourguiba, e del colpo di stato di Ben Ali nel 1987. È un periodo molto critico, una fase di chiaroscuro, abitata da diavoli e mostri scatenati. Gli orizzonti erano preclusi. Invece il tempo di scrittura del romanzo si situa intorno al 2012-2013. Si trattava di una fase post-rivoluzionaria che assomigliava alla precedente, con pressappoco le stesse paure e gli stessi pericoli e quasi gli stessi attori politici. Questa somiglianza era per me sorprendente e allo stesso tempo rilevante per costruire un mondo finzionale che affrontasse la questione della transizione democratica nel mio paese.

Cristiano Rocchi.  Edipo: vorrei sapere quanto ai suoi occhi la psicoanalisi abbia attecchito nel suo paese e quanto ritiene che concettualizzazioni di base di questa disciplina, come l’Edipo, possano essere fruibili all’interno di codesto contesto socio-culturale. Le pongo questa domanda anche perché nel romanzo ci sono cenni qua e là diretti a Freud e comunque la tematica edipica pare intriderlo.

Shukri Mabkhout. Per quanto mi sia dato sapere la psicoanalisi è rimasta materia d’insegnamento all’ultimo anno del liceo ed è contemplata nei programmi scolastici. Ciò ha contribuito a volgarizzare in parte i concetti di Freud, senza tuttavia permetterle di diventare uno strumento per comprendere l’individuo o la società. Personalmente ho avuto la fortuna di leggere Freud e la sua concezione dell’arte durante i miei studi universitari, per una serie di ragioni pragmatiche legate allo studio delle metodologie critiche in letteratura. Per quanto ne sappia, pur essendo Freud tradotto in arabo, e accessibile in francese per i tunisini bilingue, essa non ha influenzato profondamente il nostro modo di vedere il soggetto e la società. Si tratta di un problema culturale che meriterebbe un’analisi specifica di questa ricezione un po’ singolare di Freud.

Daniela Scotto di Fasano. Lei dice che, a proposito dell’opera di Freud, se ne è avuta in Tunisia una ricezione «un po’ singolare». Ci può far capire meglio cosa intende ? Pensa che una qualche influenza l’abbia avuta comunque oppure no? In effetti, quali ipotesi avanzerebbe circa il fatto che, nonostante la l’opera di Freud sia tradotta in arabo, e  che i tunisini bilingue possano leggerla in francese, essa non sembra influenzato profondamente il vostro modo di vedere l’argomento e la società? A suo parere di che problema culturale – che, come dice, merita un’analisi specifica – si tratta?

Shukri Mabkhout: Penso che sia una questione di bisogni e interessi. Semplicemente, non c’era bisogno della psicoanalisi in una società che cercava piuttosto vie sicure allo sviluppo e al progresso economico e sociale. Anche la Tunisia era al passo con i tempi che hanno caratterizzato gli anni Sessanta in generale, nel Terzo mondo e negli Stati da poco o appena diventati indipendenti.

Inoltre, il freudismo ha posto domande difficili per le religioni monoteiste, in particolare l’Islam, che si proclama a capo di questa eredità spirituale. Il freudismo è considerato una tendenza atea che non merita di essere presa sul serio. Credo anche che le correnti di sinistra, che non vedevano di buon occhio il freudismo, siano state per altri versi un motivo ulteriore che può spiegare in Tunisia il destino riservato all’opera di Freud.

Cristiano Rocchi. Donna e corpo: mentre Zeina nella storia narrata ne Litaliano è stata realmente violentata, essendo stata oggetto di incesto, Abdel ha subito “solamente” due-tre tentativi di aggressione, se così si può dire. La reazione di Abdel è molto intensa; sembra voglia liberare per liberarsi, ma senza riuscirvi, almeno fino ai trent’anni, quando si conclude questa storia, che magari avrà un suo seguito…Allora, pare che sia una questione di “corpi” violati e la mia, doppia, domanda, è se ritiene che ci sia una profonda diversità tra la rappresentazione simbolica del corpo della donna e quella dell’uomo nella cultura arabo-musulmana, e se sia possibile pensare a questa immagine del corpo, quello femminile e quello maschile, come a qualcosa che rimanda all’idea di un corpo esteso, quello di nazione, di Stato, nella fattispecie  la Tunisia, oggetto di violenza, perpetrata o anche solo minacciata.

Shukri Mabkhout. Trovo difficilerestituire un’idea precisa della rappresentazione del corpo della donna e dell’uomo nella cultura arabo-musulmana. Ma sono pressoché sicuro che questa diversità cui allude esista, vuoi come oggetto di desiderio, per la donna, vuoi come sostituto del corpo femminile, per l’uomo, in una società sessualmente frustrata e alienata. Aggiungo una precisazione importante: per un buon musulmano, tra i piaceri che lo aspettano in Paradiso, come lo si immagina nelle rappresentazioni religiose, si trovano dei giovani servitori. E, pur essendo l’omosessualità piuttosto interdetta nel Corano, al pari del vino, l’immaginario di una parte dei musulmani, così come tutta una serie di pratiche storicamente attestate, e una concezione antropologica più generale, li inducono a credere che l’omosessualità,  così come il vino, saranno leciti in Paradiso.

Per quanto riguarda invece la simbolizzazione della nazione e del Paese attraverso la donna, mi sembra uno stereotipo transculturale, se non una simbologia immaginaria.

Daniela Scotto di Fasano. Come spiegherebbe a un non arabo (o ad un non musulmano?) il fatto che vino e omosessualità siano assimilati a piaceri proibiti nella vita terrena, mentre sono non solo permessi, ma addirittura promessi, quasi come una sorta di premio, nell’aldilà? Freud ha scritto nel 1921 un saggio intitolato Al di là del principio di piacere. Un po’ giocando ma un po’ seriamente, lei crede che vino e omosessualità siano nell’immaginario della cultura araba un ‘al di là del principio di piacere’? In questo senso: ‘un al di là’ nel senso che in terra non sono un piacere (se ne deve stare ‘al di qua’) cioè si fantasmatizzano come un ‘al di là’….. e, guarda un po’, come nel saggio di Freud (per quanto in altri termini) l’esito è identico, ne deriva angoscia.  

Shukri Mabkhout. Alludevo all’immaginario dei musulmani attraverso i secoli, un periodo nel quale si sono intrecciati racconti popolari, esegesi coraniche erudite e narrazioni derivanti da altre tradizioni religiose, come il giudaismo. Ho riportato quindi, nella mia risposta, le idee diffuse in un tale immaginario. Il principio è semplice per un buon musulmano: se Dio mi priva in terra di certi piaceri, e cerco di evitare ciò che è proscritto, allora ne sarò ricompensato nell’Aldilà.

Per quanto riguarda il vino e il piacere sessuale, la cosa è detta apertamente nel Corano, mentre l’omosessualità, che era diffusa nel mondo musulmano, come in altre culture e civiltà del resto, rientra a sua volta in questa logica dell’interdizione/ricompensa, nell’immaginario musulmano, legato ad una visione del Paradiso come uno spazio di piacere e di libertà senza limiti. Non vedo dunque perché insistere in particolare su questa forma specifica di uso dei corpi rappresentato dall’omosessualità.

Cristiano Rocchi.  L’ombra dell’oggetto: come osserva acutamente la collega Scotto di Fasano nella recensione de Litaliano pubblicata in questa nostra finestra Afriche-Tra(N)sformazioni, si potrebbe ipotizzare che lo stato depressivo che caratterizza il protagonista del libro – stato depressivo che probabilmente viene “autocurato” anche attraverso una intensa vita sessuale – sia rappresentativo di una depressione sociale dovuta alla identificazione con l’oggetto perduto, finendo per rovesciare sul soggetto stesso (Abdel, la Tunisia) la rabbia per le violenze subite.

Che ne pensa di questa lettura?

Shukri Mabkhout. Mi sembra un’interpretazione fortemente plausibile, e direi persino saggia. Il personaggio di Abdel è malinconico, e trova nelle avventure sessuali con le donne un rimedio ed un rifugio. Tra i suoi conflitti, l’alternanza tra il principio di vita, Eros, e il principio di morte, Thanatos, è evidente. Lo si può riscontrare in diverse scene erotiche del romanzo. E’ una direzione d’analisi interessante.

Daniela Scotto di Fasano: Vorrei approfondire la questione della malinconia di Abdel: da dove nasce? Come si struttura come caratteristica di carattere?    Alla lettura del suo bellissimo romanzo sembra che tutti i protagonisti abbiano come tratto del carattere la malinconia. Le compagne di Abdel, il collega al giornale, il fratello maggiore, il testimone di nozze… Come spiega il fatto che ciascuno dei personaggi sia in fondo triste, a partire dal protagonista? E forse anche la Tunisia stessa in questi anni è impregnata da questo vissuto melanconico? Infine: è plausibile pensare che la tristezza e la malinconia che impregnano il romanzo siano in questi anni il ‘carattere’ del paese Tunisia? E se si, perché?

Shukri Mabkhout: Non so cosa rispondere! Sono nati nella mia testa così. Nel romanzo vivono personaggi colti che si preoccupano dei problemi del loro Paese, quindi è normale che appaiano malinconici, a volte però sanno essere anche molto gioiosi.

Cristiano Rocchi. Verità narrativa e verità storica: un altro punto sotteso alla vicenda romanzata del libro, è quello che potrei definire il rapporto tra realtà narrativa e realtà storica, anche questo tema dibattuto ampiamente in ambito psicoanalitico (cfr. Spence). Lei Pensa che la sua “interpretazione” dei fatti attraverso la narrazione sia più una costruzione o una ricostruzione? E, se fosse una costruzione, visto che si sta parlando di un romanzo, in che misura potremmo considerarla un “essenziale” in parte indipendente dalla realtà storica?

Shukri Mabkhout. Vi è sempre, nei lettori, una tendenza leggermente perversa. Se si trovano dinanzi ad un’autobiografia, ricercano nei fatti narrati la parte immaginaria, visto che il romanziere ha espresso la volontà di esporre i fatti della sua vita. In caso contrario, cioè in al cospetto di un’opera di finzione, cercano invece di autentificare i riferimenti storici e il loro rapporto con la realtà. Si tratta di un gioco magari anche divertente, ma per il romanziere, e direi anche per lo storico, quel che conta è la coerenza del mondo che costruisce, la concatenazione delle azioni in una logica narrativa, e la padronanza delle componenti dell’intrigo. Ciò detto, la cosa più importante dal punto di vista della creazione, non risiede nella verità storica o nelle scorribande immaginarie del romanziere. Ogni materiale è utile per costruire la verità narrativa. Esiste ovviamente tutta una serie per determinare la parte di reale nel romanzo a partire da una griglia di lettura minuziosa, attraverso le voci narrative, i punti di vista, la focalizzazione, i commenti del narratore, le istanze d’enunciazione, ecc. Tutto questo contribuisce a lasciare il romanzo sospeso tra il suo background storico e la storia raccontata.

Daniela Scotto di Fasano: Lei dà un ritratto della cultura berbera come di una cultura spietata, arcaica, crudele. È davvero così? Forse psicoanaliticamente può essere intesa così: berberi come manifestazione (‘sintomo’?) di una scissione in atto in Tunisia di una parte di sé arcaica, quindi scissa perché non elaborata ma di conseguenza proprio perché non elaborata presente nel sé del paese?

Shukri Mabkhout. Non vedo dove abbia potuto riscontrare questa  visione della cultura berbera nel romanzo e come ne abbia potuto evincerne una serie di manifestazioni di “una scissione in corso”. I berberi in Tunisia rappresentano solo l’1% della popolazione e sono ben integrati, al punto che non si pone al loro riguardo una questione di identità. La Tunisia è un bel mosaico che riflette le culture dei conquistatori attraverso i secoli, ma questo piccolo Paese le ha assimilate per forgiare un’identità arabo-musulmana fatta di diversi substrati e componenti.

Cristiano Rocchi.  Infine, può tornare, come linguista e romanziere, al rapporto tra la lingua araba e la lingua francese? Lei rivendica la sua scelta dell’arabo, anche per riferire sulla situazione nella Tunisia contemporanea fuori dal paese. Quale futuro, ai vostri occhi, per il multilinguismo?

Shukri Mabkhout. Su questo punto non mi faccio illusioni. Provengo da una società che possiede una lingua specifica, un dialetto, e una lingua comune condivisa con i paesi arabi. Si tratta di una lingua millenaria che ha saputo resistere a ai cambiamenti e adattarsi a meraviglia par esprimere quel che gli arabi e le altre razze arabofone (curdi, copti, berberi, ecc.) hanno voluto esprimere circa loro stessi, le loro scienze, credenze e concezioni filosofiche. Questa ricchezza linguistica è un atout per me e per ogni scrittore di lingua araba.

Il francese è una lingua che la colonizzazione ha voluto imporre in Tunisia. Essa ha conservato uno statuto privilegiato dopo l’Indipendenza, per ragioni essenzialmente politiche e ideologiche. Ad ogni modo, lo statuto della lingua francese non cessa di degradarsi a vantaggio dell’inglese. L’inglese è diventato più interessante del francese agli occhi della gioventù. Inoltre, non vi è ragione per definire il plurilinguismo in Tunisia a partire del rapporto arabo/francese. I tunisini sono sensibili in fatto di lingue, e si servono della loro lingua materna così come dell’arabo comune (detto standard), del francese, ma anche dell’inglese, del tedesco, dell’italiano, dello spagnolo, ecc.

Per quanto riguarda il rapporto con il mondo esterno, il francese non è più la sola lingua deputata a tale funzione. Ne avete davanti a voi un esempio eloquente. Il mio romanzo è stato tradotto in italiano e in inglese, ma non in francese, almeno per ora ! Vero è, che sto rispondendo alle vostre domande in francese, pur servendomi nel mio quotidiano piuttosto dell’inglese per quanto riguarda le mie ricerche scientifiche e le mie referenze. Non abbiamo nessun complesso sciovinista per quanto riguarda le lingue, ma i tunisini, da lungi tempo arabi e musulmani per la stragrande maggioranza, hanno scelto la lingua araba, e non il francese, e lo stesso vale per lo Stato nazionale indipendente a partire dal 1956.

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