Cultura e Società

“La mia liberazione” di C. Preve. Recensione di L. Trabucco

21/09/22
"La mia liberazione. Memorie di un mondo scomparso. Genova-Alassio / 1940-1945" di C. Preve. Recensione  di L. Trabucco

La mia liberazione. Memorie di un mondo scomparso. Genova-Alassio / 1940-1945

di Carla Preve

(Edizioni Cinque Terre, 2022)

Recensione a cura di Luca Trabucco

Questo piccolo libro di Carla Preve – pubblicato, dopo più di 20 anni da quando lo scrisse, grazie all’interessamento dei nipoti, cui il libro è dedicato – riguarda l’esperienza degli anni della guerra, nello sguardo di una bambina tra i 10 e i 15 anni.

Ma il libro si apre e si chiude nella stanza d’analisi, nel clima caldo dello studio di Cesare Musatti, l’analista di Carla Preve. Non è quindi solo una cronaca, supportata dagli archivi della memoria “riproduttiva” (nella misura in cui ciò sia possibile), ma la elaborazione di un’esperienza attraverso la funzione poietica della poetica. 

L’esperienza che Carla ci offre per una condivisione di percorsi emotivi, che travalicano le occorrenze particolari, per andare, attraverso la funzione poetica, ad attingere e stimolare invarianti, che partendo dai fatti, così come essi sono, denotano l’eterno, il sacro che sta al fondo della vita.

La lettura di questo libro ci porta, in primo luogo come esseri umani, e in secondo luogo come analisti, ad apprezzare la bellezza della realtà, della articolazione tra i due aspetti fenomenici della realtà, materiale e psichica, in questa presentazione di un tratto di esperienza che ci fa apprezzare fino in fondo l’affermazione di Bion che “analisi reale è vita reale”. Affermazione a mio modo di vedere da articolare con una delle idee di fondo del pensiero di Freud, che la possibilità di cogliere l’essenza, le invarianti della vita psichica passa in primo luogo dall’intuizione, quella capacità precipua di musicisti e poeti. 

Un libro di psicoanalisi questo – anche se non vuole esserlo, e proprio per questo è veramente psicoanalitico -, che potrebbe profondamente aiutare noi analisti a tenere la mente sgombra da affastellamenti “teorici” pieni di contenuti, o da affabulazioni narratologiche autoreferenziali, testimonianza solo della nostra incapacità di tollerare la frustrazione, la irresolubilità del paradosso della vita, che facendoci ristare in fantasie di onnipotenza e onniscienza (->Ps), o nella alternativa meno negativa un “parlare intorno alla psicoanalisi”, K, che oltre un certo livello è solo impedimento al divenire, alla crescita e alla espansione della mente (come dice Bion: divenire O).

L’esperienza di una bambina di fronte al sorgere di un evento devastante come la guerra, mi fa pensare a come di fronte al deflagrare di aspetti distruttivi, di qualunque genere, il nostro sguardo sia sempre, in parte, infantile. Un aspetto precipuo di questo libro è proprio questo: l’onesto presentare i fatti così come sono stati nella propria esperienza intima, non una rappresentazione a posteriori. Non posso non trovare in questo libro un parallelismo, assolutamente spontaneo e sicuramente non cercato dall’autrice, con le autobiografie di Bion – dove si ha la stessa onestà di “presentare” l’esperienza – sia per i contenuti, sia per il percorso che la memoria svolge dalla “cronaca” alla presentazione poetica. Il parallelo nella mia mente riguarda in primo luogo quello che è il Bion più pregnante in questa esperienza della analisi come realtà: cioè quello delle autobiografie (2015; 1982) e di Memoria del Futuro. Ovvero proprio quel tratto dell’opera di Bion per il quale egli fu respinto da un establishment psicoanalitico pieno di dogmi, di staticità e di ristrettezza mentale. Un pensiero psicoanalitico che si è inceppato nella sua “Liberazione”.

Questo parallelo mi si è presentato con “Evidenza” leggendo queste poche righe, all’inizio del libro:

“Della ‘guerra lampo’ contro la Francia ricordo i primi bombardamenti, le sirene che annunciavano l’inizio e la fine dell’allarme, il rifugio in cantina e alcuni edifici distrutti nel centro della città.

Mia madre ci portò a vederli. Non pensavo che ci fossero stati dei morti, comunque nessuno me lo disse, non fui attraversata dall’idea della morte; invece mi colpì molto vedere una casa sventrata. Ricordo, forse in via Agostino Bertani, su in alto, al terzo piano, i resti di una camera: il pavimento era crollato. Si vedeva una sola parete con la tappezzeria a fiori, una mensola appesa al muro, un quadro e, miracolosamente in bilico, un comodino da notte. Ebbi un’angosciosa sensazione di profanazione, d’intrusione violenta nella vita di una famiglia. La tappezzeria a fiori sembrava appartenere a una camera di bambini. ‘Come faranno ora’? pensai.

Provai un dolore acuto immaginando di poter perdere tutti gli oggettini della mia camera disposti sul piano di una libreria. Soprattutto un piccolo cane san Bernardo di legno scolpito che mia madre mi aveva portato dal santuario di Oropa” (p. 17).

Il collegamento è col celebre passo di “La lunga attesa”:

“i cacciatori avevano ucciso una tigre maschio e la carcassa era stata portata al nostro campo. La sua compagna venne a reclamare la restituzione, e per le due notti successive il campo fu circondato da falò e di torce in modo da tenerla lontana. Con la sua testa maestosa e le fauci rivolte al terreno così da celare la sua posizione, la tigre ruggì il suo requiem. Perfino la mia paura venne cancellata da un timore reverenziale quando udii, quasi provenisse dall’ interno della tenda, come un gran colpo di tosse, e quindi il ruggito a piena gola del lamento funebre della tigre femmina. Continuò per tutta quella notte e per quella successiva, mentre perfino i nostri cani più coraggiosi rabbrividivano, ringhiavano e si rannicchiavano in un angolo. Non appena il sole scendeva sotto l’orizzonte per dare l’avvio al concerto della notte tropicale, ecco che distinguevamo tra quei suoni un nuovo diapason”.   (Bion, 1982, p. 22).

Ecco che entrambi ci parlano, così intensamente, così poeticamente, della matrice del nostro comprendere: l’essere all’unisono con l’emozione dell’altro, col dolore del vivere, in quanto apparteniamo tutti alla stessa realtà, O, e il dolore dell’altro, che sembra provenire dall’esterno, in realtà proviene, anche, dall’interno (della tenda, dall’identificazione). La comprensione poetica, implica la presenza di una Musa che “richiede agli spettatori di utilizzare la propria immaginazione (congetture immaginative) per sopperire alle deficienze di ordine materiale nella trasmissione dell’immateriale” (Scappaticci, 2021 p. 8). “Le muse sanno dire l’Aletheia e l’Apate. Bevono contemporaneamente l’acqua di due fonti, quella di Lethe e quella di Mnemosyne. Bevendo l’acqua di Lethe, diviene simile ad un morto. Tuttavia per la virtù dell’acqua di Mnemosyne, che è l’antidoto della prima, conserva il privilegio di ricordarsi di ciò che ha visto e sentito, e conseguentemente acquista il privilegio di vedere e di sentire in un mondo dove il mortale comune non vede più, non sente più” (Detienne, 1967). La tolleranza del paradosso permette di cogliere l’aldilà, di avventurarsi verso lo sconosciuto, quell’esperienza di fronte alla quale il nostro sguardo è sempre bambino, soffuso di timore e di meraviglia.

Nel leggere il libro si è seguiti da una musica lieve, ma molto articolata, tra un tema e il suo contrappunto: la vita e la morte, l’amore e l’odio, il contrarsi doloroso e l’espandersi vitale, non sono mai stridii di esperienze inconciliabili, ma aspetti intrinsecamente necessari l’uno all’altro. Una profonda conoscenza dei fatti della vita, e della vita mentale in particolare, dove non si può mai pensare a percorsi lineari e indipendenti, ma sempre a relazioni fra elementi anche opposti (V. Sandler, 1989).

Così le esperienze della guerra, i bombardamenti, l’arresto della mamma perché “ascoltava radio Londra”, la fame, la malattia, vanno di pari passo con la vita che allarga le sue possibilità nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, la nascita di nuove relazioni e di nuove idee. In questo senso l’esperienza dello “sfollamento” da una Genova bersaglio di spietati bombardamenti, ad Alassio, luogo della memoria – la casa della nonna – e luogo che ha in sé le potenzialità della “Liberazione”: allentamento dei “compiti”, contatti più liberi con la natura, esperienze di “integrazione” (l’accoglimento di una famiglia ebraica nascosta sotto falso nome) e di “trasgressione” (l’ambiente familiare che diviene progressivamente antifascista, fino all’arresto della mamma per un mese in quanto ascoltò Radio Londra), sono inseminazioni di una progressiva assunzione di una distinzione identitaria. 

Questo libro ci conduce peraltro, accanto alla condivisione dell’esperienza del bambino di fronte allo sconosciuto inquietante, anche verso la percezione dell’adulto nel bambino, alla percezione di una “sapienza” inconscia, il rapido formarsi di preconcezioni che permettono comunque, in qualche modo, di far fronte alla turbolenza esperienziale. Unheimlich: una familiare estraneità, laddove il “familiare” sta proprio, credo, nella possibilità ad attingere a questa “sapienza” inconscia.

Ma perché tutto ciò “funzioni” è necessario avere la possibilità non solo di fare esperienza, ma di apprendere da essa. E per apprendere bisogna “non-sapere”, non avere la mente ingombra di dogmi, di pregiudizi, di onnipotenza. 

L’immagine che Carla Preve dà, involontariamente, di sé è quella di una persona che vive con leggerezza la propria umiltà, che guarda, dentro e fuori di sé, con sguardo aperto, tollerante delle proprie e altrui qualità, positive o negative che siano. E guarda desiderosa di vedere cosa c’è, esattamente l’opposto, per esempio, della manzoniana donna Prassede: “Con l’idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve fare con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata … tutto il suo studio era di secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch’era di prendere per cielo il suo cervello”.

Possono queste essere due immagini dell’analista, la prima, quella che Freud indica come “neutrale”, e Bion come capace di disciplinare “memoria e desiderio”; la seconda quello dell’analista che “sa”, che “inventa”, che dà la “sua” interpretazione, come se il sapere venisse da una parte sola. 

Carla Preve è stata docente e didatta apprezzata e ricordata con affetto, e la sua “sapienza” ha avuto una trasmissione fondamentalmente “orale”, essendo le sue pubblicazioni rare. In realtà di ciò che ha scritto la memoria più rilevante è di un lavoro che non ha mai pubblicato, ma di cui si parlava moltissimo ai tempi, “Il paziente guardiano del setting” presentato al centro milanese nel 1986. Ho, in un mio scritto del 2021, ripreso questo suo lavoro, anche per festeggiare i suoi 90 anni.

La trasmissione orale del sapere fa andare ai tempi del mito, dove l’ascolto era qualcosa di molto simile allo sguardo, permetteva di esplorare la realtà ed espandere i propri orizzonti, lasciando tuttavia tracce nel profondo di chi ascolta più incisive di ogni apprendimento intellettuale: la differenza tra apprensione e apprendimento. Un mondo scomparso? O forse quello che realmente rimane. Non si svolge l’analisi in questo modo? Quello che ci resta non sono appunti, ma tracce inscritte nella nostra profondità.

Lo sguardo su “un mondo scomparso”, pieno di “stupita meraviglia” e di grande rispetto per la Verità, che Carla Preve ci offre, si spera che possa essere stimolato, nutrito da questa condivisione, perché il mondo di cui ci parla possa restare vivo dentro di noi.

Faccio concludere a Carla Preve queste mie considerazioni:

“Sono trascorsi tanti anni e ho assistito al sorgere e al tramontare, in noi e nella società, di tirannie, dogmi, ideologie, credenze, pregiudizi, illusioni, e penso di avere forse compreso che la Liberazione è un processo senza fine”.

Bibliografia

Bion W.R. (!982) La lunga attesa. Autobiografia 1897-1919, Astrolabio, Roma

Bion W.R. (1995) War Memoirs. 1917-1919, Routledge, London

Detienne M. (1967) I maestri di verità nella Grecia arcaica, Laterza, Bari 1977

Scappaticci Silveira A.L. (2021) Autobiografia e a poetica de Bion, letto a SBPRP, giugno 2021, in italiano: https://aws.cpdp.it/index.php/2022/01/05/lautobiografia-e-la-poetica-di-wilfred-bion-l-trabucco-a-l-scappaticci/

Sandler P.C. (1989) Fatti. La psicoanalisi e la tragedia della conoscenza, Alpes, Roma 2022

Trabucco L. (2021) Um pensamento em torno do setting, Revista Brasileira de Psicanálise · Volume 55, n. 2, 115-132 (in italiano sul sito del CPdP: https://drive.google.com/file/d/1A9h_FMnybP_Mn0lWETcfbwBOvOhR6Fro/view )

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

Breve storia del Centro Psicoanalitico di Genova

Leggi tutto