Cultura e Società

Libri allo specchio. Secondo capitolo: Ricordo di Lampedusa di F. Orlando. Ovvero: Sul padre. A cura di M. Vigneri

31/07/25
Libri allo specchio. Prima capitolo: Senza sangue di A. Baricco. A cura di M. Vigneri 3

“La lettrice” Jean-Honoré Fragonard

Introduzione di Stefania Pandolfo

Come anticipato nell’introduzione della rubrica, questo secondo contributo di Malde Vigneri prosegue il percorso che Libri allo specchio si propone di tracciare: sostare, con la psicoanalisi, accanto a quei libri che lasciano una traccia nel pensiero e nel sentire. Il tema del Padre è qui affrontato da Malde Vigneri con una scrittura delicata e insieme incisiva che sa tenere insieme pensiero e una potente risonanza emotiva, dando parola a quella ricerca che in fondo ci attraversa tutti: il bisogno di una guida affidabile, la speranza che anche le nostre piccole storie possano trovare un posto che le accolga, se non d’origine, almeno di appartenenza. Buona lettura.

La Caporedattrice di SPIweb
Stefania Pandolfo


Libri allo specchio

Malde Vigneri

Secondo capitolo: Ricordo di Lampedusa di Francesco Orlando[1]

Ovvero: Sul padre

Parole chiave: padre, figura paterna, tradizioni, appartenenza, perdita

  
Sono molti i motivi perché questo piccolo libro mi sia così caro: per la Storia che racconta, un cameo della mia terra; per il Tema, cruciale in psicoanalisi; per i Personaggi, eroi di una dolente mitologia. Fu scritto tra il 1962 e il 96, ed erano gli anni della mia giovinezza. E’ un libro intriso di dolore, anche questo colmo, come “Senza Sangue” di Baricco di cui vi ho riferito nell’apertura di questa Rubrica estiva di SPIWeb, di un sentimento di rivendicazione e al contempo d’amore. Parla di uno di quei grandi capitoli siciliani grondanti passioni e sangue per così dire; quel sangue dell’anima che lascia poi nella vita una traccia indelebile.  Al centro della scena, una toccante vicenda incentrata su quel rapporto misterioso, lancinante e insondabile che così spesso lega un figlio al padre. Non c’è attesa più bramosa di risposte, non c’è distanza che non aspiri ad essere colmata, non c’è bisogno più commovente e trepido: un figlio vorrebbe sempre che il padre sia per lui un maestro di stelle, una mappa per le strade future, un faro nell’oscurità. Un figlio continuerà nella sua vita, come ci dice magistralmente Aldo Gargani nel suo Sguardo e destino, a pensare, scrivere, vivere, in virtù di questo amore primario così spesso destinato ad essere deluso. Perché quasi sempre il padre rientra fin troppo in quello che Lacan chiama “mancanza strutturante”, per incapacità, imperfezione, pudore, persino timore. E infine perché così è scritto nella Storia, proprio come in Ricordo di Lampedusa, il libro di Francesco Orlando di cui vi voglio parlare oggi. Ho un rapporto privato con questo piccolo libretto, un intimo e profondo legame perché li ho conosciuti tutti personalmente, i grandi protagonisti di cui parla. Giuseppe Tomasi (1896-1957) e il Gattopardo, capolavoro imperituro; Alessandra Wolff (1894-1982) e la Psicoanalisi; Gioacchino Lanza (1934-2023) e la sua noblesse oblige; Francesco Orlando stesso (1934-2010), il Narratore, che fu uno dei più importanti critici letterari e studiosi di letteratura del Novecento Italiano oltre che raffinato scrittore in grado di unire in un intreccio di conoscenze e di pensiero la psicoanalisi, la semiotica e l’esegesi tematica. Indimenticato docente di letteratura francese all’Università di Pisa e socio in vita dell’Accademia Nazionale dei Lincei, scopriamo nel suo Ricordo di Lampedusa le matrici profonde di una ascesa accademica e letteraria che nasce dai più profondi moti dell’anima.

La vicenda di cui parla il libro ebbe inizio intorno agli anni 50, a Palermo, quando Francesco Orlando conobbe Giuseppe Tomasi di Lampedusa invitato a partecipare al convivio di lezioni private di letteratura francese e inglese tenute dal Principe a un ristretto gruppo di giovani intellettuali. Tra Orlando, tanto intelligente quanto tormentato, e Tomasi, già avanti negli anni e ancora quasi sconosciuto al grande pubblico, si stabilì un legame speciale, di grande stima da parte del coltissimo mentore e di una vera adorazione filiale da parte di Francesco. Legato da una intensa affinità intellettuale ed emotiva a colui che divenne presto per lui un Padre più che un Maestro, Francesco ne divenne l’amanuense, condividendo pensieri e riflessioni oltre che molti momenti di vita personale. Conobbe la moglie, la baronessa Alessandra Wolff di Stomersee, duchessa di Palma, Principessa di Lampedusa, che importò la Psicoanalisi in Sicilia fondandone quelle radici che sarebbero poi culminate con il suo allievo Francesco Corrao in una scuola di eccellenza. Il giovane Orlando era solito frequentare palazzo Butera, sontuosa abitazione dei coniugi, e le famose biblioteche dove alla luce del tramonto si incantava, come è descritto in una delle più belle pagine del suo libro, ad ascoltare i due parlare “di molte letterature ognuna nella propria lingua”. Quando il Principe decise di volere adottare uno dei suoi pupilli Francesco era dunque sicuro che sarebbe stato lui il prescelto, ma prevalsero le ragioni di casta e toccò a Gioacchino Lanza, già parte della famiglia e della aristocrazia siciliana, ad assicurarne regole e tradizioni divenendo il figlio adottivo dei Tomasi. Fu una storia di cui oserei dire ognuno portò più o meno intensamente le tracce, compresa me che ne raccolsi nel tempo il testimone. Il libro parla di tutto questo.

E’ composto da due brevi racconti: il primo, Ricordo di Lampedusa, fu scritto poco dopo la morte del principe da un giovane ed addoloratissimo allievo che ne onora la memoria e la fama postuma: le pagine trasudano del senso profondo di una cultura, di una sensibilità storica e di una conoscenza letteraria commisti a una venerazione filiale, in un intreccio degno di una creazione shakespeariana; la delusione inferta dalla scelta adottiva dell’autore del Gattopardo e da sua moglie, l’altera principessa e amata psicoanalista, è solo una vaga e accennata allusione e prevale il dolore della recente perdita e il desiderio di esprimere il proprio amore. Il secondo, Da distanze diverse, è scritto invece, come dice lo stesso autore, quando questi ha oramai più anni di quanti ne avesse il Principe alla sua morte.  Rispetto al primo racconto, trascorsi trent’anni, tutto cambia e in un crescendo convulso Orlando incontra alla fine la sua nemesi emotiva. Perché leggere il libro? Perché è un distillato di raffinata cultura; perché le segrete intenzioni si svelano infine al lettore come un’epica chiusura orchestrale; per quella scultura destinale del lancinante rapporto che lega i figli ai padri; perché il contenuto del libro è intimo e inestimabile come un pregiato quadro nelle pareti familiari della nostra casa.

Ve ne parlo ancora lasciando che sia la voce di Francesco a raggiungervi a partire dall’ultima pagina. Tutto è compiuto e dichiarato: l’amore, la delusione, la rabbia, il sogno e la perdita. La Principessa, prima osannata per la sua eleganza e cultura, viene ora così citata: “… mi aveva ricevuto più volte, con la serietà della sua dedizione a un’arcaica e pedagogica psicoanalisi; pure entrò anche lei nella più stravagante delle demonizzazioni.” Ferito e offeso nell’animo da ambedue i suoi mentori (“Si infierì sulle lacune della mia istruzione, come l’ignoranza delle arti figurative.”, aveva scritto subito prima), descrive l’ultimo incontro con il Principe facendoci avvertire l’alterigia di chi si sente profondamente offeso. “Venne Gioacchino (Lanza, il figlio adottato, ndr) a dirmi che Giuseppe (Tomasi, ndr) era dispiaciuto, a chiedere cosa mi avesse fatto.” Per Francesco è il colmo! Ed è ora pronto a mostrare il suo sdegno e il suo rifiuto al principe che tenta di ammorbidirlo: “Non molto tempo dopo a casa di Bebbuzzo (il barone Sgadari di Lo Monaco, uno dei pazienti più noti della principessa, ndr) Lampedusa mi prese in disparte …Caro Orlando ci conosciamo da tanto tempo che sarei lieto etc…”. Francesco si sottrae, con un accenno di inchino…; così scrive con quello che a me sembra amarissimo compiacimento: “al ripetersi del mio diniego, gli vidi negli occhi furore”, e rispondendo con abiuro ad abiuro, rifiuta persino quello che prima più lo aveva onorato: la dattilografia del Gattopardo (pag 101). Siamo prossimi alla fine, alle ultime righe del libro nello svelarsi dell’epilogo della malattia di Tomasi. Ed è qui che io sento come una stretta al cuore gli accenti dell’anima in quello che mi appare una moderna Chanson de Roland. Orlando, il figlio negato, scrive: “Quando Francesco (Agnello, uno dei giovani allievi del principe, ndr) mi telefonò la sua morte, il sollievo fu d’una immensità fisica, come una soffocazione che sia cessata per sempre. E quell’attimo non ho mai smesso di pagarlo…Non poter più sentirlo parlare, mai più fargli leggere i miei libri…Che debba ignorare per sempre cosa ne è stato del suo romanzo nel mondo.”. Mi commuovo ogni volta che rileggo queste parole. Per la mirabile descrizione nei due racconti di quell’amore ed elegiaca dedizione che sopravvivono all’odio e al risentimento; per l’uso raffinatissimo di una cultura che diviene, pagina dopo pagina, parte vivente della storia e del dolore; per quell’anelito al padre di cui molti pazienti mi parlano, così spesso destinato a perdersi ma che tuttavia resta come parte dell’anima…. Per le ultime battute del libro, che adoro: “Che un irreale luogo acronico, vero pur non essendolo, sia il solo paradiso dove possiamo ancora incontrarci.”

Ora che tutti loro sono oramai riuniti in quel luogo acronico, non posso fare a meno di ricordare l’ultima volta in cui vidi Francesco Orlando e le parole che ci siamo scambiate di cui lui mi concesse libertà di divulgazione. Poiché lo conoscevo mi ero proposta per un’intervista in occasione di un congresso della SPI in cui Orlando, oramai notissimo critico letterario, famoso scrittore, pregnante accademico, cultore e grande conoscitore della Psicoanalisi, aveva presentato una sua bellissima relazione. Al termine dell’incontro, guardandolo, alto, elegante e bello, un moderno Oscar Wilde, d’istinto gli chiesi: “Ora che sono passati tanti anni, Francesco, cosa ti resta di quegli avvenimenti?”. Capì subito a cosa mi riferivo, mi guardò con dolcezza fisso negli occhi, e poi mi disse: “Devo tutto al Principe. E’ stato quasi un padre per me: e per questo gli devo ogni cosa, perché se non mi avesse tanto deluso, se non mi avesse fatto tanto soffrire, se non lo avessi tanto odiato, oggi non sarei quello che sono.”

Malde Vigneri


[1] Orlando F. Ricordo di Lampedusa (1962) seguito da Da distanze diverse. (1996) Bollati Boringhieri, Milano, 1996

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