Cultura e Società

“Resto Qui” di M. Balzano. Recensione di B. Giorgi

26/04/23
"Resto Qui" di M. Balzano. Recensione di B. Giorgi

Parole chiave: #antifascismo, #resistenza, #linguamadre, #lagodiresia,

Resto Qui

di Marco Balzano (Einaudi, 2018)

Recensione di Barbara Giorgi

“Ogni parola ha conseguenze.

Ogni silenzio anche.”

Jean Paul Sartre

La foto in copertina è già una narrazione. Solitario ed imponente, il campanile della chiesa risalente al XIV secolo svetta dal lago di Resia, a Curon Venosta. Insieme alla chiesa sono sommersi anche i resti dei vecchi borghi di Resia e Curon, allagati nell’estate del 1950.

“Imprenditori della Montecatini volevano espropriare Resia e Curon e sfruttare la corrente del fiume per produrre energia (…). L’acqua ci ha messo quasi un anno a ricoprire tutto. E’ salita lentamente, incessantemente, fino a metà della torre, che da allora svetta come il busto di un naufrago sull’acqua increspata.”

E` un’immagine potente quella del campanile immerso nell’acqua del lago, un’immagine che cattura e obbliga Marco Balzano a raccontare di questo paese di montagna, sull’orlo del confine svizzero e austriaco. Balzano non si ferma a fotografare il panorama, come fanno oggi i visitatori. Si ferma, o, meglio, si sofferma, lasciando che la percezione di questo luogo si amplifichi dentro di lui e che la potente immagine del campanile parli da sola. Studia, ricostruisce, ma, soprattutto, ascolta gli anziani abitanti, testimoni di quegli anni di guerra violenti e della costruzione della diga prepotente, e, infine, scrive questa bella storia di resistenza e coraggio. “Di noi, con la diga, non sarebbe rimasto più nulla. Saremmo dovuti emigrare, diventare altro. Un altro guadagnarsi il pane, un altro posto, un altro popolo.”

In questo piccolo spazio geografico si sono susseguite le dittatature del fascismo e del nazismo, si è consumato un frammento di storia italiana poco conosciuto e tutt’ora controverso, un frammento di storia che questo romanzo, semplice e asciutto, urla alla memoria di tutti noi. “Sembrava che quassù la storia non arrivasse. Era un eco che si perdeva. La lingua era il tedesco, la religione quella cristiana (…) L’italiano qui in Sudtirolo era una lingua esotica.”

Ripenso a Trina, la protagonista di questa storia, in un pomeriggio di autunno, mentre una mia cara nipote mi racconta quanto sia importante per lei potere parlare italiano con il suo psicoanalista. Vive all’estero da tempo mia nipote, ed è perfettamente bilingue. Nel suo racconto colgo il bisogno di ritrovare, nella stanza d’analisi, la musicalità, il ritmo e l’affettività della sua lingua madre. Attraverso quella potente azione tra il suono e il silenzio che è il parlare, lei ricerca le proprie radici affettive nell’intimità della relazione analitica, strumento e motore del trattamento psicoanalitco.

Freud scriveva che le parole hanno un potere magico, suscitano affetti, possono rendere felice un uomo oppure spingerlo alla disperazione. Così penso a Trina, alla sua fiducia nelle parole.

Credevo che il sapere più grande, specie per una donna, fossero le parole. Fatti, storie, fantasie, ciò che contava era averne fame e tenersele strette per quando la vita si complicava o si faceva spoglia. Credevo che mi potessero salvare, le parole.”

Una donna coraggiosa la maestra Trina. Nella primavera del 1923, quando i fascisti occupano Curon e vietano di parlare tedesco, lei decide di studiare l’italiano, lingua che non sente sua: “La lingua di uno contro quella dell’altro. La prepotenza del potere improvviso e chi rivendica radici di secoli.”

Studia l’italiano ma non esita ad insegnare ai bambini la sua lingua madre, il tedesco. Lo insegna nelle “catacombe”, le scuole clandestine, in compagnia di un perenne male alla testa che la distrae dalla paura.“L’italiano e il tedesco erano muri che continuavano ad alzarsi. Le lingue erano diventate marchi di razza. I dittatori le avevano trasformate in armi e dichiarazioni di guerra.”

In questa realtà plurilingue, abituata alla convivenza e al rispetto, la lingua madre diventa così una minaccia. Il sapere, la cultura, come la lettura e la scrittura diventano nemici. Due lingue, l’italiano e il tedesco, che non si possono confondere o mescolare, due calligrafie, una divisione. Salvare la propria lingua significa ripudiare l’altra, alzare muri e steccati.

E` una pagina di storia tutta al femminile quella delle Katakombenschulen, le scuole clandestine diffuse in Alto Adige durante il fascismo, una pagina di storia che vale la pena rileggere per mantenere vivo nella nostra memoria il coraggio di queste donne.

Seguendo il filo di un’immaginaria lettera scritta alla figlia Marica, fuggita da Curon nel 1939 per seguire la cosidetta “grande opzione” ed entrare nel Reich, Trina sceglie con cura le parole con le quali raccontare, come noi analisti scegliamo con molta cura le parole quando parliamo ai nostri pazienti.

“Non ti racconterò della tua assenza (…) Non ti dirò dei mesi in cui ciascuno di noi d’improvviso scappava, senza avvisare gli altri, e trovando la casa vuota pensava che pirma o poi i boschi ci avrebbero inghiottito.”

E quando il suo dolore “diventa una vertigine. Qualche cosa di familiare e nello stesso tempo di clandestino, di cui non si parla mai”, allora, sempre con cura, sceglie di non raccontare alla figlia la sua grande sofferenza, perché “è una storia che non ha ragione di riaccadere nelle parole.”

Chi è abile con le parole conosce il valore del silenzio.

Così Trina è capace di abbandonarsi al silenzio confortante della propria madre quando Marica sparisce nel nulla, un silenzio denso di significati che trasuda un’arcaia affettività. Una madre pratica e concreta quella di Trina, che è capace di “staccarsi dai ricordi un attimo prima che la rendano prigioniera”, che insegna alla figlia a stringere con forza i panni lavati al fiume per fare sparire i pensieri sbagliati. Questa donna spigolosa e severa, che “considerava chiunque fosse istruito una persona inutilmente difficile”, le offre, in modo incondizionato e senza riserve, uno spazio silenzioso nel quale potersi sentire ancora figlia.

Anche questo silenzio ha un sapore psicoanalitico. E` il silenzio parlante dell’intesa di due menti, rende possibile l’incontro tra la concretezza della madre e la fiducia nelle parole della figlia, rinnovando il significato dell’essere madre e dell’essere figlia. In quel “non mi sono mai sentita così tanto figlia come dopo che tu sei scappata” c’è tutto il senso del lottare di Trina, dell’accettare il figlio Michael che si  arruola con i nazisti, dell’aspettare che il marito Erich ritorni dalla guerra per poi scappare con lui sulle montagne.

La lingua madre è potente, e lo è anche il silenzio.

L’abilità di Trina con le parole è anche quella di inventarle. Quando le donne del paese le chiedono di leggere le lettere scritte dai mariti che sono in guerra, lei riempe le pagine, bianche a causa della censura, con parole che non esistono. Nel terribile vuoto dell’assenza della figlia, “selvatica e sempre avida di solitudine”, con rabbia Trina illude queste donne inventando parole che avvicinano a loro i mariti, parole non scritte che colmano vuoti altrimenti insopportabili.

Ma il vero coraggio di Trina è quello di restare. Sceglie di restare al suo paese, tra le montagne, tra la sua gente. Sciveva Leonardo Sciascia: “Ho l’impressione che la mia nascita sia alquanto posteriore alla mia residenza qui. Risiedevo già qui e poi vi sono nato.” E` in questa residenza emotiva che nasce il coraggio di Trina e la sua scelta di restare e di combattere con le parole. Le consegna al marito Erich, ai bambini della scuola ai quali chiede di scrivere lettere per non fare costruire la diga. Trina resta a prescindere, anche quando l’acqua della diga sale e le sue amate parole diventano armi impotenti.

Si legge volentieri questo libro di Balzano, una storia personale ed intima attraverso la quale gli avvenimenti della storia con la esse maiuscola vengono filtrati e consegnati al lettore perché li custodisca nella sua memoria.

La psicoanalisi ci insegna ad avere cura della memoria, a ricordare per allontanarci dall’oblio e dal silenzio della ripetizione. Ci insegna il valore delle parole che, come in questa storia, sono rumorose e ci aiutano a lottare, per non venire, anche noi, sommersi dall’acqua.

Bibliografia

Calamandrei S. (2023) “La parola psicoanalitica: l’unione ritrovata tra suono evocativo e simbolo razionale”. Relazione presentata al C.P.B. 19/01/2023

Freud S. (1915-17) Introduzione alla psicoanalisi OSF vol VIII

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