Cultura e Società

Antigone ci ammonisce, la distruzione di Gaza minaccia tutti S. Thanopulos HuffPost, 30/05/2025

11/06/25
Antigone ci ammonisce, la distruzione di Gaza minaccia tutti S. Thanopulos HuffPost,  30/05/2025

JEAN LOUIS BEZARD, 1825

Parole chiave: Antigone, genocidio, diversità, massacro, fraternità

 “Il destino di Gaza è il nostro destino” è un articolo di Sarantis Thanopulos, pubblicato su HuffPost Italia il 30 maggio 2025. Lo psicoanalista richiama Antigone per denunciare l’orrore della distruzione e il rischio collettivo di annientamento simbolico e politico. L’autore riflette sul massacro a Gaza interrogando la parola “genocidio” e il suo uso, tra diritto, affetti e dignità umana. Un invito a ritrovare il legame con l’altro nella fraternità, prima che sia troppo tardi.

Antigone ci ammonisce, la distruzione di Gaza minaccia tutti

Sarantis Thanopulos

Gaza è diventata un luogo spettrale. La sua immagine richiama alla nostra memoria la città di Dresda bombardata dagli inglesi, al solo scopo di vendetta, e il ghetto di Varsavia raso al suolo dai nazisti. Tra le sue macerie in progressiva espansione sopravvivono i suoi abitanti, la cui vita è ridotta all’osso, sotto l’incubo della morte che li può colpire da un momento all’altro. Vite umane senza valore che possono sparire senza lasciare traccia e di cui si tiene conto, da chi li difende e da chi li considera bersagli necessari (vittime di effetti collaterali), solo in termini numerici. Decine di migliaia di queste vite (in grandissima parte civili) sono già andate, per lo più senza il conforto delle cure funebri da parte dei loro cari. Antigone ha parlato invano? No, Antigone ci ammonisce: vincitori e sconfitti saranno uniti nella stessa catastrofe.

Nello stesso luogo, sepolti nei tunnel vivono gli “ostaggi” (quelli che sono rimasti): esseri umani diventati fantasmi usati come merce di scambio. Il loro sangue e la loro carne sono gli stessi dei cittadini di Gaza, ma di ciò non si vuole sapere niente. Vivono gli uni e gli altri nel dolore e nello sconforto dei loro familiari, la Polis persa nelle sue contraddizioni li ha abbandonati. Fermare immediatamente il massacro a Gaza (unendo tutto il mondo civile in un’unica voce) è la condizione che rivelerebbe allo sguardo di tutti la strumentalizzazione della guerra da parte del governo israeliano e lo scandalo degli ostaggi: una ferita grave, inaccettabile alla convivenza umana, alla fraternità.

Lo sgomento generale, l’inquietudine e l’angoscia sempre più destabilizzanti dentro di noi, i fondamentali sentimenti tragici di terrore e di compassione di fronte a tanta catastrofe, non troveranno nessuno sbocco catartico (sconvolgimento del nostro assetto psichico passivo e riapertura del nostro rapporto con l’altro nel punto in cui rischia di chiudersi per sempre) se perdurerà la disputa nominale: 5 rubricare o meno la strage di civili a Gaza come “genocidio”. La definizione rischia di prendere il posto della comprensione, la forma della sostanza.

Γένος significa in greco antico cose diverse ma affini: origine, discendenza, stirpe, etnia, casato. Il punto che unifica i vari significati del termine è il “genere”, il “tipo”. La particolarità di una persona, di un gruppo, di un popolo, la sua singolare diversità che lo colloca tra le diversità umane. Come Hanna Arendt ha intuito, negli ebrei è stata colpita, in sé stessa, la loro diversità. Poiché i rapporti umani si fondano sull’intesa e gli scambi tra le diversità, poiché la nostra diversità (e identità) non esiste senza la diversità dell’altro, uccidere la diversità in sé stessa, compiere dunque un genocidio, è crimine contro la diversità umana, un crimine contro l’umanità.

A rigor di termini ogni uccisione compiuta come cancellazione di una diversità è genocidio, crimine contro l’umanità. Lo è senz’altro il femminicidio, l’assassinio della donna in quanto donna. Tuttavia, nel suo uso corrente la parola “genocidio” è applicata alleuccisioni di massa. È stata usata per la prima volta nel 1921 per definire la strage degli armeni. Con il seno di poi quella strage indiscriminata di uomini, donne, bambini può essere definita come la più grande “pulizia etnica” della storia. Lo sterminio degli ebrei, il primo ad essere giuridicamente definito come genocidio, ne differisce. I turchi hanno voluto ripulire ciò che consideravano il “loro” territorio dall’etnia armena,considerata avversa. I nazisti hanno voluto cancellare gli ebrei dalla faccia della terra. Inoltre, lo sterminio degli ebrei è stato compiuto in modo indifferente, totalmente anaffettivo, scollegato da ogni conflitto. Gli ebrei hanno vissuto per secoli in tutto il mondo in modo pacifico e rispettoso delle leggi dei paesi in cui si trovavano.

Usare il termine genocidio per Gaza è improprio. Si può molto più appropriatamente dire che il conflitto in Palestina è finito nelle mani di Netanyahu e di Hamas (entrambi sequestratori dei destini dei loro popoli) che mirano (il primo senza dirlo apertamente, i secondi dichiarandolo in tutti i modi) alla pulizia etnica: liberare il territorio conteso dell’altro. Il massacro in Gaza ha superato in modo lampante ogni spirito di difesa e di vendetta prodotto dall’attacco nichilistico di Hamas, il funesto 7 Ottobre del 2023. Appoggiandosi strumentalmente ad esso, con grande disinvoltura per la vita di ostaggi (usati dagli uni e dagli altri), viaggia a grande velocità verso lo sradicamento programmato,violento e criminale, dei Palestinesi.

Definire genocidio questa distruzione massiccia dell’altro è fare uso di un’iperbole designificante che svilisce sia lo sterminio degli ebrei sia la distruzione di Gaza. Di questo passo il massacro di persone inermi e la desertificazione selvaggia degli spazi umanirischierebbero di non avere dignità di giustizia se non venissero catalogati come genocidi, se non ottenessero lo statuto di equivalenza allo sterminio degli ebrei.

Pulizia etnica o genocidio che lo si voglia chiamare (come se le classificazioni dell’orrore potessero renderlo più comprensibile) ciò che accade in Gaza è, in ogni caso, un attentato gravissimo alla dignità della vita umana (ai desideri, alle emozioni, ai sentimenti e agli affetti che l’animano e la muovono), alla libertà di tutti e alla fratellanza (il sentimento universale che, come ci insegna Antigone, tesse le trame del desiderio e ci porta fuori dalla miseria dell’esistenza sorda e cieca, autistica). In nessuno altro posto del mondo in questo momento la legge insindacabile del più forte trova un’espressione così incontrastata, così paradigmatica. In Ucraina il tiranno ha trovato un’opposizione, in Gaza solo gente impotente tradita dai vigliacchi di Hamas.

Se Netanyahu non sarà fermato, nessuna giustizia ci sarà per entrambi i popoli che il lungo conflitto ha prostrato. Il più debole militarmente subirà un danno incalcolabile su tutti i piani, che potrà generare solo odio, e il più forte sarà per sempre espropriato di una vita di pace e dei suoi spazi democratici. L’intero mondo sarà contaminato dalla logica della sopraffazione dell’altro, resterà ostaggio di una deregulation paurosa della convivenza umana.

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