Cultura e Società

Ascoltare il desiderio, inceppare la norma. Riflessioni psicoanalitiche in occasione del Pride di Roma. C. Buoncristiani e T. Romani

14/06/25
Ascoltare il desiderio, inceppare la norma. Riflessioni psicoanalitiche in occasione del Pride di Roma.  C. Buoncristiani e T. Romani

Parole chiave: Genere, sessualità, gay pride, molteplicità, genitalità

Ascoltare il desiderio, inceppare la norma. Riflessioni psicoanalitiche in occasione del Pride di Roma

Di Chiara Buoncristiani e Tommaso Romani

Il Pride è una messa in scena collettiva della complessità del desiderio umano. È un momento politico, simbolico, affettivo, in cui si fa esperienza di una soggettività che eccede e rinnova le forme riconosciute e si manifesta come gesto, come corpo in movimento, come resistenza all’adattamento. Per la psicoanalisi, si tratta di un’occasione preziosa: ascoltare ciò che, anche nella dimensione pubblica, irrompe come possibilità.

A oltre un secolo dalla sua nascita, la psicoanalisi continua a interrogare la sessualità non in termini normativi, ma a partire dalle sue formazioni inconsce, dalle sue deviazioni, dalle sue ripetizioni opache. Già Freud, nel suo scritto del 1905 sui Tre saggi sulla teoria sessuale, aveva messo in discussione ogni linearità evolutiva: la sessualità infantile è polimorfa, parziale, non finalizzata alla riproduzione. È solo in un secondo tempo — attraverso processi di rimozione, sublimazione e adattamento — che essa si organizza intorno alla genitalità. Ma lo stesso Freud sottolinea che questa organizzazione non va mai data per scontata, né confusa con lo “sviluppo ideale”: è sempre il risultato di una costruzione a posteriori, come suggerisce Freud nel suo saggio sull’omosessualità femminile (1920), dove mostra come l’assetto della vita sessuale si costituisca retroattivamente, come risposta singolare a una costellazione affettiva e relazionale.

Proprio su questo punto insiste Adriana Baldini nel suo recente La macchina genitale (Efesto, 2025), un saggio che attraversa con radicalità la genealogia psichica e politica della sessualità occidentale. Per Baldini, la genitalità non è semplicemente una fase dello sviluppo, ma una vera e propria forma-dispositivo: un’organizzazione psichica e sociale che produce corpi leggibili, funzioni assegnabili, desideri compatibili. Essa non è un semplice schema simbolico o una metafora sociologica, ma un assemblaggio reale e operativo, un dispositivo che stringe insieme capitale e genere in un’unica funzione: l’appropriazione sistematica dei corpi.

La macchina genitale non si limita a produrre ruoli o identità, ma funziona come un automatismo presupposto, una categoria che, come le forme a priori kantiane, guida la volontà e ne restringe il campo d’azione. Essa agisce prima ancora che il soggetto si ponga domande su se stesso, inscritto fin dall’inizio nei circuiti economico-affettivi della produzione sociale. In questo senso, il genere non è più un residuo culturale da decostruire, ma il perfetto contraltare del capitale, una sua modulazione biopolitica, una sua articolazione incarnata.

Il problema, allora, non è solo clinico ma teorico: la fase genitale, assunta come punto di equilibrio tra principio di piacere e principio di realtà, rischia di coincidere con l’adesione a un ordine simbolico che riconosce solo alcune forme del desiderio e della relazione. Il corpo “sessuato” diventa così il garante della riproduzione — non solo biologica, ma simbolica, normativa, parentale. Ed è proprio questa saldatura tra genitalità e riproduzione, tra psiche e ordine sociale, che la psicoanalisi è chiamata a interrogare.

L’inconscio, infatti, non è strutturato secondo la logica dell’identità, ma secondo quella della differenza, dello scarto, della ripetizione senza garanzia. In questa direzione, il Pride diventa una scena pubblica dell’inconscio: ciò che viene messo in atto non è una “identità da mostrare”, ma un movimento del desiderio che si sottrae alla forma, che disfa il genere come codice, che attraversa il corpo come campo d’intensità.

La riflessione proposta da Baldini ci invita a decostruire l’idea che esista una forma sessuale “matura”, un compimento del desiderio nella genitalità intesa come sintesi tra corpo e cultura. Al contrario, ci propone di pensare la sessualità come ciò che non si organizza, come apertura, come esperienza non ancora formata. È in questa prospettiva che anche il femminile, come mostrano le riflessioni contemporanee sul desiderio non fallico (si pensi a Oltre la penetrazione di Martin Page), non si esaurisce nel registro della ricettività o dell’oggetto d’amore, ma reclama una sessualità non riducibile alla funzione, al ruolo, all’identificabile.

Tornare a Freud, allora, significa anche ricordare che l’inconscio parla la lingua dell’ambiguità, del paradosso, del desiderio che sfugge alla norma. Ma significa, oggi, osare una psicoanalisi che non abbia come fine l’adattamento, bensì la possibilità di abitare l’incoerenza, di pensare il corpo come non organizzato, come soglia, come scena di relazioni impredicibili.

In questa direzione si colloca la riflessione di Bruno Moroncini, che interpreta la sublimazione non come rinuncia o elevazione idealizzante del desiderio, ma come modo etico di far vivere ilsessuale polimorfo nella forma di un gesto, di un’opera, di una relazione che non chiude, ma mantiene aperta la frattura originaria del soggetto. Sublimare, in questa prospettiva, è conservare la potenza perturbante del desiderio senza pretendere di pacificarlo, è accogliere l’incoerenza come principio generativo dell’umano: un soggetto umano che si dà solo nella sua apertura all’altro, nella sua vulnerabilità, nella sua impossibilità a coincidere con se stesso. È in questa fedeltà alla mancanza, al vuoto, al non-sapere che risiede la dimensione etica dell’esperienza analitica. E forse anche quella del Pride.

In questo paesaggio teorico e clinico, il Pride ci interroga anche sul ruolo della psicoanalisi: non si tratta di “capire” l’identità, né di ricondurla a una coerenza narrativa. Si tratta, piuttosto, di accompagnare il soggetto là dove nessuna identità basta, là dove la sessualità non si lascia organizzare, là dove — come scrive Bruno Moroncini — l’etica del desiderio consiste non nel trovare una norma adeguata, ma nel restare fedeli all’incoerenza originaria che ci costituisce.

Bibliografia

Baldini, A. (2025). La macchina genitale. Genere e capitale come dispositivi di appropriazione del corpo. Roma: Edizioni Efesto.

Freud, S. (1905). Tre saggi sulla teoria sessuale. In Opere, vol. IV. Torino: Bollati Boringhieri, 1967.

Freud, S. (1920). Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi. In Opere, vol. IX. Torino: Bollati Boringhieri, 1977. [Noto anche come saggio sull’omosessualità femminile.]

Moroncini, B. (2009). Etica del desiderio Milano, Mimesis.

Page, M. (2020). Oltre la penetrazione. Roma: L’Orma editore.

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