La Cura

Il lato fluido dell’identità di genere. L. Bruno

10/01/23
Il lato fluido dell'identità di genere. L. Br

KEHINDE WILEY

Con questo lavoro intendiamo continuare la riflessione sul trattamento dei pazienti con un’identità di genere fluida in quanto è più che mai importante costruire dei modelli di cura che possono rispondere a questo tipo di richieste molto diverse tra loro e in aumento negli ultimi anni. La nostra intenzione è di riflettere su questo tema a partire dall’esperienza clinica con particolare attenzione al lavoro dell’analista. E’comunque auspicabile che il curante abbia un atteggiamento esplorativo e flessibile in grado di riconoscere, quando è possibile, i problemi derivanti dai complessi delle figure genitoriali e dall’ambiente culturale come sottolinea in questo articolo Luca Bruno, membro associato della Società Psicoanalitica Italiana e dell’IPA, che dedica una maggiore attenzione al periodo adolescenziale cruciale per la costruzione dell’identità. (a cura di Maria Antoncecchi e Paola Ferri)


Parole chiave: identità di genere, gender fluid, transizione,bisessualità

IL LATO FLUIDO DELL’IDENTITÀ DI GENERE

di Luca Bruno

Ci troviamo di fronte a una consistente trasformazione culturale, umana, identitaria, all’interno della quale osserviamo che il genere è passato da uno stato più solido (il binarismo) ad uno liquido (la fluidità, il non-binary). Il genere è letteralmente uscito dai binari, per prendere una strada a più vie, una “poli-via” che presenta ancora soste obbligate, cambi di carreggiata, limitazioni di velocità e a volte attese in coda e rischi di tamponamenti, a causa di lavori in corso.

Le posizioni che sta cercando di assumere la psicoanalisi risentono di pensieri divergenti, che si collocano lungo un continuum che va dall’iper-accoglienza al rifiuto, dalle posizioni confusive dello “aboliamo il maschile e il femminile anche nel nostro linguaggio” verso quelle conservative e talora intrise di persecutorietà del “vogliono negarci di poter continuare a pensare al binarismo e al nostro bagaglio teorico?”. Siamo in quel pezzetto della storia dell’uomo che va dall’antropocene all’androginocene?

Le persone che presentano varianze sessuali e di genere costituiscono un gruppo eterogeneo, che oggi sempre più frequentemente cerca un aiuto psicologico.

Le psicoanalisi di questi pazienti non sono quasi mai richieste per una sofferenza identitaria. In genere, alla questione identitaria ci si arriva per gradi e attraverso l’esercizio di molto tatto e cautela da parte del terapeuta. Capacità negativa, attesa, sospensione nell’incertezza, ascolto rispettoso.

L’identità di genere rientra nella più ampia e complessa sfera dell’identità sessuale. In essa, sesso, genere e orientamento sessuale possono non essere allineati. Per molti individui è una parte di Sé relativamente stabile, definita e in accordo con il sesso biologico, anche se va incontro a parziali fluttuazioni, che risentono dei complessi fenomeni identificatori (sia col femminile, che con il maschile). Queste identificazioni si stratificano nella nostra mente e nel corpo e risultano in parte legate alla fondamentale bisessualità psichica, ai fenomeni psichici determinati dalle dinamiche del complesso edipico e sono modulate dai fantasmi originari che riguardano la passività, la scena primaria, la seduzione, la castrazione. La costruzione del senso nucleare dell’identità di genere risente inoltre dell’influsso dei desideri e delle fantasie inconsce dei genitori, dei lasciti transgenerazionali e dell’ambiente culturale.

L’identità di genere si trova in questa epoca particolarmente esposta a tensioni conflittuali, al crocevia tra natura, cultura e l’indomabile spinta delle pulsioni.

Comprendere i significati, la storia e l’evoluzione degli aspetti che compongono l’identità di genere e come si combinano con altri elementi della vita inconscia è tra i compiti di ogni lavoro analitico. Un compito che risulta particolarmente delicato quando il paziente è un/una adolescente.

In adolescenza è più complesso discriminare aspetti psichici già maggiormente definiti e strutturati da altri ancora compresi all’interno di un’area di estrema mutevolezza e cambiamento, talora realmente soggettivi, talaltra in assonanza con influenze gruppali e culturali. Il funzionamento mentale in adolescenza evoca una miscela di liquidi di natura e di densità diverse, che si mescolano in modo temporaneo prima che ciascun liquido riprenda il suo posto (Green, 1986). Si tratta di condizioni nelle quali l’impatto di processi arcaici, primari, sul lavoro psichico è molto intenso e può causare discontinuità e talora rotture nel processo di ricerca identitaria e di soggettivazione.

L’adolescente è combattuto tra il riemergere di questioni edipiche e l’emergenza del nuovo, è alle prese con il lutto dei legami infantili e nello stesso tempo la necessità di governare forze e spinte inaugurali (Chan, 1998). Si tratta di un lavoro psichico complesso, che investe l’asse narcisistico e quello oggettuale, tra permanenza e cambiamento, nel quale l’identità subisce importanti rimaneggiamenti e transizioni.

Esiste un’ampia parte di terapeuti che tende a considerare i pazienti transgender e gender fluid, senza particolari riserve, quali espressioni di una profonda psicopatologia narcisistica, perversa o psicotica, nella quale l’esame di realtà risulta in parte compromesso.

L’analista al lavoro con questi pazienti deve affrontare aspetti che intrecciano l’estraneo al familiare, sperimentando il sentimento del perturbante (Freud, 1919) e deve prestare particolare attenzione al controtransfert, inteso come macchia cieca, ostacolo nella comprensione di alcune dinamiche del paziente che incontrano aspetti conflittuali o parzialmente irrisolti della mente dell’analista stesso.

L’analista, in modo probabilmente più intenso e conflittuale rispetto al lavoro con pazienti cisgender eterosessuali, si trova a rivisitare il proprio sessuale infantile, la propria bisessualità psichica e la capacità di integrare le identificazioni maschili e femminili in conflitto con gli aspetti binari del sesso biologico. Vengono sollecitati in maniera particolare e massiccia sia il sessuale dell’analista, quel “sessuale” che Laplanche (2003) sottolinea essere molteplice e che trova il suo fondamento nell’infantile e nell’inconscio, sia un particolare ascolto del corpo che si interfaccia con le angosce connesse alla passività che Freud (1937) collocò nel concetto di “roccia basilare o biologica”, limite oltre il quale spesso l’analisi non riesce ad addentrarsi nel suo lavoro esplorativo ed elaborativo.

Le condizioni di cui stiamo trattando richiedono all’analista un lavoro identificatorio che può risultare particolarmente complesso e conflittuale. Può dimostrare aspetti contraddittori di fronte ad aspetti corporei e somatopsichici del paziente transgender e non essere in grado di riconoscerlo/a, non riuscendo ad accordare pronomi e aggettivi secondo l’identità di genere del paziente o stabilendo un “progetto identitario”, più o meno consapevolmente, che corrisponderebbe a quello che per lui sarebbe più indicato per il paziente.

Non dovremmo trascurare una tra le più importanti indicazioni di Freud (1914) a proposito dell’importanza di non sottrarre la libertà al paziente, di non imporgli nostri ideali e di non desiderare che si conformi alla nostra immagine o ai nostri modelli teorici.

La psicoanalisi dovrebbe guardarsi dal convergere con le ideologie (o le pressioni sociali) che rischiano di inibire il suo pensiero, ma deve anche guardarsi dall’irrigidirsi su posizioni teoriche che potrebbero non essere adatte alla singola condizione umana e psichica, rischiando di farne un uso difensivo e potenzialmente iatrogeno o anti-sviluppo per il paziente (McDougall, 1995).

Nella prospettiva che fa appello a una topica degli spazi, tra “dentro” e “fuori” esiste uno spazio intermedio, che li separa e li unisce, un’area che Winnicott (1953) chiama “transizionale“. E’ uno spazio interstiziale, deputato al gioco, alla fantasia, alla creatività e all’illusione. Su di esso confidiamo, per aiutare i nostri pazienti a sviluppare capacità di simbolizzazione e di interiorizzazione che possano prevalere sul ricorso sintomatico all’agire e che possano permettere un reale lavoro di integrazione di parti di Sé sconosciute e tenute separate, isolate, dissociate o scisse. Ma questo non può esaurire la complessità della questione, quando si pensa alla necessità di inscrivere la nostra identità anche nel corpo e in un corpo che possa corrispondere al genere a cui il paziente sente di appartenere. Il nostro compito dovrebbe rimanere quello di aiutare il paziente ad accostarsi a una più ampia conoscenza di sé, ricercando autenticamente sé e il proprio desiderio per vivere una vita sufficientemente appagante, nella capacità di tollerare l’inevitabile umana infelicità.

I pazienti transgender o che presentano un’identità di genere fluida non solo possono non presentare aspetti psicopatologici, ma non necessariamente chiederanno il cambio di sesso attraverso le cure ormonali e gli interventi chirurgici.

E’ importante sollevare la questione del ruolo occupato dal masochismo. Ma occorre anche chiedersi: è masochistico per la persona sottoporsi a complessi e dolorosi interventi medici e chirurgici o all’esposizione di aggressioni sociali o è masochistico abdicare alle proprie spinte identitarie e identificatorie, che richiedono unitarietà tra psiche e corpo? Perché il corpo, sia psichico che reale, ha un ruolo importante nell’organizzazione dell’identità.

Come sempre dovremmo evitare delle prese di posizione, non solo ideologiche, ma anche eccessivamente monolitiche, come “i transgender mettono in campo un diniego della realtà e sono sospinti da fantasie onnipotenti di autogenerazione”: è proprio così? È così per tutti?

Sarebbe necessario offrire uno spazio di ascolto e di riconoscimento al dolore e al conflitto che molte di queste persone vivono nel loro percorso di ricerca identitaria, spesso sofferto e combattuto, fragile e incerto, che può essenzialmente contenere l’umanissimo desiderio di “essere chi si è” (non era forse questa l’originaria meta dell’analisi?) anche nel corpo.

Sarebbe importante se il “genere” di cui ci occupiamo fosse quello “umano”. Il genere umano. 

Quando chiesi a Eugenio Gaburri quale tipo di analista fosse, mi rispose: “sono stato freudiano, kleiniano, winnicottiano, bioniano… adesso credo di essere umano”.

Siamo dentro la necessità di fare i conti con un cambiamento, anche come analisti. Senza euforia maniacale e senza scissioni o dinieghi. Anche come analisti, accettando i nostri limiti, aspirando a quote sempre più raffinate del nostro percorso di assunzione della posizione sanamente depressiva.

Siamo in transizione. E siamo di passaggio.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Cahn (1998). L’adolescente nella psicoanalisi. L’avventura della soggettivazione. Borla, Roma, 2000.

Freud S. (1914). Osservazioni sull’amore di traslazione. O.S.F., 7, Torino, Bollati Boringhieri.

Freud S. (1919). Il perturbante. O.S.F. 9, Torino, Bollati Boringhieri.

Freud S. (1937). Analisi terminabile e interminabile. O.S.F., 11, Torino, Bollati Boringhieri.

Green A. (1986). Interv. In: Baranes J.J., Cahn R. et al., Psychanalyse, adolescence et psychose. Parigi, Payot.

Laplanche J. (2003), Il genere, il sesso, il sessuale. In: Sexuale. La sessualità allargata nel senso freudiano, Milano, Mimesis, 2019.

McDougall J. (1995). Eros. Le deviazioni del desiderio. Milano, Raffaello Cortina, 1997.

Winnicott D. (1953). Oggetti transizionali e fenomeni transizionali. In: Dalla pediatria alla psicoanalisi. Firenze, Martinelli, 1975.

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

Il modello affermativo dell’identità di genere per persone Transgender e di Genere Non-Conforme incontra la Psicoanalisi. A. Crapanzano

Leggi tutto

La cura non abita più qui. U. Sabatello

Leggi tutto