Cultura e Società

Diniego, Illusione e Speranza. A Venezia riflessioni e meditazioni sulla Psicoanalisi. D. D’Alessandro, Huffpost 10/10/2023

10/10/23
CVP - IX Colloquio di Venezia "Diniego, illusione, speranza"

Immagine “Altalena di Pulcinella” di G.D. Tiepolo, Cà Rezzonico, Museo del Settecento- Venezia

Al IX Colloquio di Venezia la psicoanalisi ha confermato la sua valenza

A partire da diniego, illusione e speranza, intenso è stato il confronto tra alcuni psicoanalisti della Spi

di Davide D’Alessandro

Il IX Colloquio di Venezia, 7 e 8 ottobre, dedicato al tema “Diniego, illusione, speranza” si è confermato momento alto di riflessione psicoanalitica. Tanti gli interventi che si sono susseguiti all’interno di un programma davvero completo, esaustivo in ogni sua forma. A Patrizio Campanile, che ha fatto gli onori di casa, e a tutto il Centro Veneto di Psicoanalisi, va un grazie sentito da tutti coloro che hanno passione psicoanalitica, che hanno sempre pensato alla psicoanalisi come processo di sviluppo, che alla psicoanalisi hanno riservato la speranza, sì, la speranza per un cambiamento, per approdare su un terreno diverso rispetto al conosciuto. Le terre ignote non vanno evitate ma, una volta scoperte, coltivate e comprese. Da lì spuntano nuovi fiori, da lì è possibile respirare una nuova aria per ossigenarsi a pieni polmoni.

Per dare conto di tutti gli interventi e dei dibattiti tra un intervento e l’altro, non dovrei scrivere un articolo ma un libro e non è detto che non lo si possa fare, poiché un Colloquio o Convegno che si rispetti non termina con i saluti finali, ma apre a ulteriori riflessioni e meditazioni. Non c’è intervento che non si sia calato sul tema, che non lo abbia esaminato e sviscerato in ogni sua piega, che non abbia fornito sollecitazioni bibliografiche per dare conto di uno studio serio e appropriato su ogni singola parola.

La psicoanalisi, talvolta purtroppo per mano o per bocca di alcuni psicoanalisti, ama parlarsi addosso. A Venezia non è stato così, mai è stato così. Ha detto bene il Presidente della Spi, Sarantis Thanopulos: “Mi sono emozionato. Davvero due giornate di confronto intenso per cercare di comprendere, anche per mezzo di tre parole, che possono sembrare, senza esserlo, tre semplici parole, che cosa può essere la psicoanalisi e dove dovrebbe andare, quali cammini inesplorati percorrere”.

Sulla negazione, molto di più di alcuni libri di amici filosofi, mi ha sorpreso Laura Ambrosiano con queste parole: “Quello che mi interessa e mi intriga maggiormente di tutta questa questione è però la domanda sul come mai in talune circostanze, o taluni individui, non negano. Come accade che i singoli, i gruppi, prestino attenzione, si accorgano, riconoscano i fatti e le loro implicazioni emotive e concrete? La risposta alla questione, evidentemente, non è univoca. L’idea più diffusa è che non negano le persone incapaci di fare del male. Ma questa risposta dimentica che non esistono persone “incapaci” di fare del male, si tratta di una

pulsione ineludibile. Hannah Arendt sostiene che le persone che non negano sono in grado di pensare, mentre chi nega si rifiuta di pensare. Un elemento che soccorre nel non negare è certamente una disponibilità a transitare tra l’adeguamento conformistico al sapere condiviso e le proprie intime esperienze percettive, cioè ad emanciparsi dal gruppo-massa. Ma non basta. Le ipotesi di risposta in letteratura si allargano ed evocano la capacità di solitudine, la capacità di avvertire la vergogna, le risorse immaginative, la volontà, l’onestà intellettuale. La negazione è un’operazione semplice: ‘girare la testa’, ‘chiudere gli occhi’, non sentire; anche l’accorgersi sembra un atto intuitivo, immediato; ma, al contrario, cogliere le implicazioni di eventi e accadimenti richiede un lavoro e un investimento su idee e associazioni intime e talora inedite”

Sulla fantasia, molto di più di alcuni libri di amici filosofi, mi ha sorpreso Lorena Preta con queste parole: “In uno dei suoi ultimi libri Roberto Calasso usa un inquietante esergo che dà il titolo al libro, ‘L’innominabile attuale’: La sensazione più precisa e più acuta, per chi vive in questo momento, è di non sapere dove ogni giorno sta mettendo i piedi. Il terreno è friabile, le linee si sdoppiano, i tessuti si sfilacciano, le prospettive oscillano. Allora si avverte con maggiore evidenza che ci si trova nell’”innominabile attuale’.

Come possiamo ‘riconoscere’ o nominare questo innominabile? Dare un senso agli accadimenti del nostro tempo ed entrare in contatto con questa esperienzadislocante e indicibile e capire qual è l’immagine o una

delle immagini che la sorreggono? Certamente più la fantasia sottesa è profonda, vivida e rappresentativa di un processo di cambiamento, o è ancorata come abbiamo visto al tema fondativo delle origini, più risulta difficile che emerga esplicitamente, ma il suo diniego in realtà alimenta proprio la sua ‘pervasività’. Come ricordavo nel dialogo-intervista con Silvia Mondini in preparazione del Colloquio, già molti anni fa per l’esattezza nel 1999 (24 anni fa!) in un libro che raccoglieva le relazioni di un Convegno su Psicoanalisi e Bioetica, intitolato Nuove geometrie della mente insieme a molti colleghi e filosofi bioetici, ci ponevamo il problema degli effetti dell’introduzione delle biotecnologie nella vita contemporanea denunciandone la novità e lo sconcerto collegati. Era evidente che ci trovavamo di fronte ad un’esperienza ‘perturbante’ dove i confini estraneo-familiare risultavano sempre più confusi anche se in realtà immagini di questa natura occupano da sempre la nostra mente popolata da ibridi, incesti, accoppiamenti dei più inusuali. Eppure era già evidente allora che nell’epoca attuale il grande salto fosse dato dalla possibilità di tradurre queste fantasie in realtà”.

Sulla speranza, molto di più di alcuni libri di amici filosofi, mi ha sorpreso Maurizio Balsamo con queste parole: “In tutta la sua opera Freud sostiene che il passato è nel presente, è qui, fa ritorno nella realtà quotidiana del nostro vivere, l’ossessiona, l’infiltra, l’interroga, la scompone nella sua presenzialità. Tuttavia, in Costruzioni in analisi, il passato sembra non fare ritorno, come nel ritorno del rimosso, nelle forme di ripetizione, o in generale nella sopravvivenza rappresentata dalle forme archeologiche, cioè nella ricezione-trasformazione di 

secondo cui il passato deve essere comunque presente perché nulla nello psichico viene davvero mai distrutto. Può darsi allora che non sia vero che esso non fa ritorno, ma forse ciò accade secondo modi diversi da quelli conosciuti. Ed infatti, aggiunge, esso riappare tramite la dimensione allucinatoria, o il delirio: il delirio contiene una parte di verità storica, l’allucinazione fa tornare dal di fuori qualcosa che è stato espulso in illo tempore. E non è forse tramite il delirio di Saul che l’umanità sembra far ritorno nell’orrore del lager? Non è grazie alla sua follia, quella in cui “riconosce” suo figlio in un ragazzo qualunque, inventa una filiazione in cui un senza nome riesce a sfuggire all’anonimato della morte in massa per divenire un corpo da seppellire, che si realizza la possibilità di una sua memoria, garantendo il ritorno della dimensione umana in coloro che potranno recitare un kaddish? Non è mediante questa operazione di diniego che lo psichico, e con esso la salvezza del principio speranza, quella di una terra sottratta all’annientamento, può allora realizzarsi? Analogamente, non potremmo pensare al “diniego del diniego”, da parte dell’analista, come l’equivalente di un’allucinazione negativa per liberare la scena da una dimensione colonizzante, aprendo il tempo ad un altro tempo, anche se si realizza laddove non sembra più essercene? Al fondo, potremmo dire, è ciò che permetterà a Pontalis stesso, poco prima di morire, di scrivere nel suo ultimo testo, Alta marea, bassa marea, questa ultima ed enigmatica frase: ‘La vita si allontana, ma ritorna’ ”.

Se continuo a far vivere insieme, anche nei riferimenti a me più cari, psicoanalisi e filosofia, è perché ritengo che le due discipline debbano confrontarsi molto di più di quanto facciano. Mi è bastato ascoltare Alberto Semi, nella sua meravigliosa relazione non sulla psicoanalisi, ma psicoanalitica, per recuperare un linguaggio che sembra perduto, un linguaggio di integrazione perfetta. È partito da una canzone, Il tempo delle ciliegie, per sviluppare un discorso sull’innamoramento, sulle pene d’amore, sulla bellezza insostituibile dell’amore, sullo strano e pericoloso valore della purezza, sui tempi bui che viviamo, sulla necessità degli ideali: “Ma perché ho scelto – visto il tema del nostro colloquio – proprio Le temps des cerices? Per due motivi principali: innanzitutto perché questa canzone parla d’amoree poi perché parla di sentimenti coscienti. Ho appena accennato alla speranza e all’illusione. E anche il titolo del nostro colloquio parla di qualcosa di cosciente: la speranza e anche l’illusione sono fenomeni coscienti. Anche coscienti. Quanto sono legati agli ideali? E che diritto di cittadinanza psichica, cioè cosciente, hanno oggi gli ideali? Quanto gli ideali possano essere pericolosi, ho appena indicato. I due poli del loro decadimento – quelli della totale deidealizzazione e della assolutizzazione dell’ideale – ci ammoniscono relativamente alla loro pericolosità. Però non ci debbono per questo far cancellare lo spazio intermedio tra questi due poli, che è lo spazio della necessità. Quanto sono necessari gli ideali? È in questo spazio che si rappresenta e avviene il conflitto e se possibile la composizione sempre dinamica tra l’ideale e la realtà. E il conflitto primo riguarda innanzitutto proprio il riconoscimento della realtà. Fa infatti parte ab initio dell’ideale una componente illusoria che denega la realtà. La realtà esterna ma anche quella interna. Bisogna poi ricordare come il riconoscimento della realtà preceda la questione del principio di realtà”.

Come non restare ammirati dalla profondità della sua conclusione? “La funzione dell’ideale cosciente mi sembra dunque quella di mantenere in vita la dimensione dell’impossibilità, sapendo che, senza di essa, il decadimento è sicuro e, al tempo stesso, sapendo che con essa sola si corre il pericolo dell’assolutizzazione.

Non c’è speranza se non c’è ideale, anche se conosciamo bene l’elemento irrealistico della speranza, quello stesso che si incarna nell’illusione. E tuttavia ciò non basta, non si tratta cioè di coltivare un ideale ben temperato nel senso di visto con quella consapevolezza che rappresenta un sintomo necessario sì ma non per questo meno sintomo. Si tratta invece di potersi permettere di lasciarsi andare all’ideale, lasciarsene travolgere, sentirne insomma la realtà psichica che contiene la forza di affrontare il conflitto inevitabile con un Super-io che, per quanto ammansito e ragionevole e perfino protettivo, cerca di imporre, proporre, offrire comunque qualcosa che è la Legge. È questa pluralità, del resto, tra Es, ideale dell’Io e Super-io, quella che consente all’Io di vivere e di cercare comunque di raggiungere la meta del piacere. È questa dimensione conflittuale ma anche potenzialmente piacevole quella che mi sembra oggi a rischio, rischio che per noi comporta quello di conformarci alla realtà sociale data, magari senza accorgercene, ossia magari usando (involontariamente perché si tratta di un meccanismo inconscio), il diniego come passe-partout che evita di farci sentire dei bravi conformisti. Che diritto di cittadinanza psichica, cioè cosciente, hanno oggi gli ideali? Me lo chiedevo all’inizio di questa relazione e ripropongo l’interrogativo alla fine”.

Affido il finale, che vuole necessariamente restare un finale aperto, alle parole di Thanopulos: “L’illusione è indissociabile dalla disillusione, perché convive con il lutto senza il quale perde la sua qualità divinatoria, ma è lontana dal disincanto, il risveglio traumatico dall’autoinganno che può riportare nel diniego diventando cinismo. La speranza è parte dell’illusione, non è mai infondata, a meno che non la si chiude nella trappola dell’attesa compiuta. L’opposto dell’illusione è il diniego, l’opposto vero della speranza non è la disperazione, ma la consolazione. L’illusione ci consente di guardare la realtà insieme con occhi aperti che osservano e con occhi chiusi (sognanti) che colgono ciò che non si dà a vedere (Pontalis). Impedisce che il rapporto con essa si appiattisca sulla sola percezione, di per sé cieca e insensata. Il diniego fonda tutto sul fallo, il tutto da vedere, che si oppone drasticamente al nulla da far vedere della vagina. Ciò che è denegato, in effetti, è il significato della vagina, la cui percezione non ci rivela affatto la sua intima essenza. La vagina è la rappresentazione metaforica per eccellenza del fatto che il senso della realtà e dell’umanità non sta in ciò che si vede. Il diniego nulla vuole sapere del sogno, vuole vedere sempre a occhi aperti e di conseguenza inventa il tutto a vista, il simulacro privo di vita e di senso a cui assoggettarsi. Contro il simulacro gli analisti devono essere in prima linea, non ritenersi al di sopra delle parti”.

In prima linea, non al di sopra delle parti. Vuole essere un messaggio e un invito. Lo raccolgano coloro che possono e lo desiderano. Desiderare è importante, quanto partecipare a incontri così intensi, così veri. Senza temere diniego, illusione e speranza.

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