Cultura e Società

Gianni Vattimo. L’uomo capace di salpare per mari impossibili. A cura di D. D’Alessandro

7/09/23
Gianni Vattimo. L’uomo capace di salpare per mari impossibili. A cura di D. D’Alessandro

Parole chiave: Vattimo, Pensiero debole, Filosofia, Libertà

Gianni Vattimo. L’uomo capace di salpare per mari impossibili

di Davide D’Alessandro

Huffpost, 19/09/2023

Se penso a Gianni Vattimo, penso alla libertà, a una vita complicata, difficile, più interiormente che esteriormente, ma faticosamente compiuta pur essendo rimasta incompiuta, come quella di ognuno. Aveva lo sguardo sereno, sorridente, risolto, l’ultima volta che ho avuto modo di stringergli la mano e regalargli un libro davanti a una torta, anzi a due, nella casa di via Po, poiché amava festeggiare più gli altri che sé stesso, generoso e buono fino in fondo. Ha dato tanto o forse tutto a molti, se non a tutti, Gianteresio Vattimo, detto Gianni, professore, preside, filosofo tradotto in ogni luogo del mondo, parlamentare europeo, soprattutto uomo capace di salpare mari impossibili e infiniti, di affrontare la vita, lo scandalo della vita, con la fierezza dei puri di cuore.

Ha conosciuto il dolore, ha avuto due grandi lutti perdendo due compagni di vita, tutto ciò lo aveva un po’ inaridito, seccato, invecchiato, ma non spento. Si è definito “un cristiano che crede nella vita eterna, non che siamo eterni”, per distinguersi dal caro amico Emanuele Severino.

Quando gli ho regalato una serata a sorpresa, un incontro zoom su youtube, con Pier Aldo Rovatti e Maurizio Ferraris, era felice come un bambino, commosso come un vecchio signore che stava per andarsene.

Quando gli ho chiesto di mutare i verbi credere, obbedire e combattere, li ha mutati in “credere (dal punto di vista religioso), amare e ospitare”. Servirebbe adesso, un Vattimo, al paese e al mondo, adesso che il mondo viene definito al contrario, adesso che i verbi amare e ospitare vengono rifiutati perché avrebbero un costo eccessivo per gli ospitanti. Lui mai ha smesso di amare e ospitare, pur navigando sempre in direzione ostinata e contraria, mai ha smesso di passare cento euro o anche più al disperato che lo attendeva, a notte fonda, sotto i portici.

Gianni non ha parlato con i libri, con le conferenze, con le apparizioni televisive. Ha parlato con la condotta di vita, ha testimoniato il suo passaggio su questa terra infelice donando l’essenza del suo essere, il passo lento della sua fatica, l’estremo pensiero di affetto verso Papa Francesco, con il quale avrebbe voluto parlare di più, condividere di più, facendosi assolvere, da buon cristiano, da tutti i peccati.

Se penso a Gianni Vattimo, penso alla filosofia, alla filosofia della vita e non delle cattedre, al pensiero debole che si fa forte e mai unico, agli amici che lo hanno ammirato senza dirglielo, agli ipocriti che lo hanno criticato senza leggerlo, perché per loro non contava ciò che scriveva, ma ciò che mostrava.

Sapevo che aveva paura soltanto della morte che non muore, della sofferenza, dell’accanimento su un corpo che non ne può più. Nell’ultima intervista gli ho chiesto se fosse arrivato a farsi un’idea della morte. Ha risposto:No, non ne ho la più pallida idea. Si vedrà. Kerényi disse che quando non era ancora nato, non sapeva che sarebbe stato così divertente. Magari oggi, che non siamo ancora morti, non sappiamo che sarà divertente. Vedremo”.

Be’, ora che è morto chissà se vedrà. Anche se non dovesse vedere, dovrebbe restarci la gioia di aver visto lui, di aver conosciuto e frequentato uno studioso vero, finissimo, privo di arie, una persona che ha sempre agito senza fine di lucro. Gianni mai è stato, diversamente da alcuni suoi colleghi, una società a responsabilità limitata. È stato un singolo che ha spezzato il pane con gli altri. Singolare plurale, avrebbe suggerito Jean-Luc Nancy.

È arrivato il momento di dirgli grazie senza infingimenti e riconoscere che se il mondo ha ancora speranze, è perché in qualche suo angolo si annida un altro Gianni, che sa cos’è la vita, come bisogna viverla, come bisogna finirla. Con i piedi piantati per terra e gli occhi rivolti al cielo.


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