Cultura e Società

Green – articolo di Sarah Chiche sulla rivista Sciences Humaines 25.01.2012

31/01/12

Grazie a Francesco Mancuso, che ha segnalato l’articolo, e a Franco Vittorio Mori, che l’ha tradotto, possiamo offrire la lettura dell’articolo più sotto riportato.
Si tratta di un testo che integra le notizie biografiche con il percorso clinico e metapsicologico di questo grande pensatore.
Ne siamo grati ai colleghi.
Daniela Scotto di Fasano


Articolo di Sarah Chiche sulla rivista Sciences Humaines.

25 gennaio 2012

André Green è morto
Lo psichiatra e psicoanalista André Green è morto domenica 22 Gennaio 2012, all’età di 84 anni. Era uno dei più grandi pensatori della psicoanalisi contemporanea. Lascia un’opera di grande ampiezza, tradotta in una diecina di lingue. Clinico e teorico senza pari, molti dei suoi concetti hanno rivoluzionato il modo di considerare tutto l’ambito dellacura psicoanalitica.
Era settembre, poco più di due anni or sono.
Era sabato, e tuttavia ci eravamo alzati all’alba. André Green teneva una conferenza al Raid Hall, in rue de Chevreuse, a Parigi (1).
Ci eravamo andati, con la nostra copia di "Narcisismo di vita, narcisismo di morte" ficcata nella borsa, un pò’ come quelli che al giorno d’oggi vanno a vedere Bob Dylan in concerto dicendosi: «magari questa sarà la sua ultima apparizione in pubblico».
Era là nella sua poltrona, più esile di quanto pensassimo, più faceto, più dimesso e più brontolone di quanto immaginassimo: da lì parlò per quattro ore filate del suo percorso, dell’evoluzione del suo pensiero, dei grandi incontri che avevano segnato la sua esistenza, della sua concezione dell’analisi.
Era chiaro, radioso, accessibile.
Lui raccontava, noi si ascoltava.
Lui spiegava, noi si imparava.
Brontolava, e noi si rideva con lui.
Poi, improvvisamente, al giro di parole di una frase, la sua voce si era affievolita, aveva chiuso gli occhi e per un istante abbiamo creduto che si fosse assopito.

Nato nel 1927 al Cairo, in Egitto, da genitori sefarditi, André Green perde suo padre all’età di 14 anni. Rapidamente la situazione finanziaria della sua famiglia si degrada. Uno zio molto ricco gli regala una somma di danaro che lui decide di utilizzare per studiar medicina. Prende la prima nave per Marsiglia e dopo un lungo giro sbarca a Parigi, all’età di 19 anni, l’otto maggio 1946. In seguito spesso dirà che la tappa preliminare della formazione psichiatrica ed il contatto con i malati di mente nell’ospedale psichiatrico sono stati per lui un tempo indimenticabile.
«Io credevo al cervello, è stato necessario che mi fossi confrontato con delle situazioni di transfert da parte dei pazienti ed anche a delle difficoltà a vivere la situazione istituzionale di psichiatra, per-ché mi decidessi ad orientarmi verso l’analisi» (2).
Allievo di Henry Ey nel 1953, impara anche il mestiere con Pierre Male in pedopsichiatria e la neu-rologia con Julian de Ajuriaguerra. Su consiglio di quest’ultimo inizia un’analisi con Maurice Buvet nel 1956. Dopo la morte di costui, prosegue la propria analisi con Jean Mallet e poi, più tardi, con Catherine Parat.

L’influenza di Lacan e dei Britannici
Green darà subito prova di una notevole indipendenza mentale. Pur essendo affiliato alla molto freudiana Societé Psychanalytique de Paris (SPP), decide di assistere ai seminari di Lacan nel 1961. Nello stesso periodo di tempo incontra eminenti figure della British Psycho-Analytical Society. Viene ad ascoltare Winnicott, John Klauber ed Herbert Rosenfeld.
«Per la prima volta avevo la sensazione di avere a che fare con delle persone che mi insegnavano qualcosa vicina alla mia esperienza personale: questo mi ha aperto gli occhi. Non avevo mai sentito queste cose, prima di allora. In effetti l’influenza dei Britannici sul mio pensiero è stata parallela a quella di Lacan, con la differenza che io avevo Lacan ogni settimana, ed i Britannici ogni sei mesi.»(3)
Ma nel 1965 Green viene eletto membro a pieno titolo della Societé Psicoanalitique de Paris. Nel 1967 scrive trecento pagine su "L’Affect".
Lacan ci vede una rimessa in questione sferzante del proprio lavoro. «Quando Lacan l’ha letto è di-ventato proprio furioso. L’ha chiamato l’abbietto».
Nel 1970 Green, allora direttore dell’Istituto di psicoanalisi di Parigi, fa di questo testo un "Rapport" al Congrès des Psychoanalysts de langues romanes nel quale critica senza tanti giri di parole la teoria del significante di Lacan, rimettendo completamente questione l’idea di un inconscio strutturato come un linguaggio. Tre anni più tardi questa relazione diventerà un volume, Le Discours Vivant, La Conception psychanalytique del l’affect, che gli assicura una rinomanza internazionale. Lo stesso anno scrive con Jean-Luc Donnet L’enfant du ça, nel quale introduce il concetto di psicosi bianca.
Qui, nessuna produzione delirante copiosa, nessuna allucinazione, Il soggetto è letteralmente colpito dal bianco, incapace di pensare, riempito di niente.

Uno dei più grandi conoscitori della letteratura psicoanalitica mondiale.
L’anno 1975 segna una svolta nella sua carriera. Diventa vicepresidente dell’ IPA e si orienta risolu-tamente verso la psicoanalisi inglese, particolarmente approfondendo il suo studio delle opere di D. W. Winnicott e di W.R. Bion.
Si inizia ai riferimenti più importanti della psicoanalisi anglosassone, includendovi anche qualche autore americano da lui apprezzato, come Harold Searles e Bertrand D. Lewin.
Si diceva spesso che fra gli psicoanalisti francesi lui era quello che conosceva meglio la letteratura psicoanalitica mondiale. Diventerà anche titolare della Freud Memorial Chair nell’University College di Londra, nel 1979.

Cosa è una "madre morta"?
La pubblicazione di "Narcisismo di vita, narcisismo di morte" nel 1983 fa l’effetto di una bomba.
In questa raccolta di saggi, Green cerca di articolare la teoria del narcisismo con quella dell’ultima teoria delle pulsioni. Mentre il narcisismo viene generalmente considerato soltanto nei suoi aspetti positivi, per i quali si ricollega alle pulsioni sessuali di vita, egli postula l’esistenza di un narcisismo di morte, che chiama narcisismo negativo. A differenza del primo, che tende al completamento dell’unità dell’Io, questo tende al contrario alla sua abolizione nell’aspirazione allo zero. In questa raccolta, si trova particolarmente l’articolo su: "La madre morta", scritto nel 1980.
A Reid Hall Green aveva raccontato che molti pazienti avevano iniziato un’analisi con lui dicendo: «Vengo da Lei perchè ho avuto una madre morta. Io diffidavo di loro, quando mi dicevano questo, ma credo di aver messo effettivamente il dito su qualcosa di importante. La psicoanalisi ha fatto molte storie sul padre morto, ma della madre non si è mai parlato, tanto era garantito che la madre fosse una dispensatrice di amore in grado di soddisfare il bambino».
Questo fenomeno clinico Green l’aveva riassunto così: «la madre morta non è una mamma distratta o negligente. Io dico che la madre morta porta la morte dentro di sé. E questa morte che porta dentro è quello che si trasmette nel suo rapporto a quello che fino allora era stato un bambino prediletto. Improvvisamente il bambino scopre che sua madre è diventata depressa. Ora, questa improvvisa invasione della tristezza dentro la sua mamma, questa perdita della sua vitalità e dunque del suo amore, appare incomprensibile al bambino, il quale si chiede non soltanto: "cosa le è successo?" ma anche: "Cosa le ho fatto? Perché è arrabbiata con me?" E quello su cui ho insistito sono i fattori non confessabili da parte della madre. Per esempio una madre che ha appena scoperto che suo marito la inganna, una madre che abortisce, una madre che perde suo padre…».
Altrove Green confesserà che l’ispirazione che lo ha portato a questo concetto, che ha costituito una data importante nella storia del movimento psicoanalitico, è estremamente personale: quando aveva due anni, sua madre ebbe una depressione.
«Aveva una sorella giovane, che era morta dopo essersi accidentalmente ustionata…. e mia madre si è depressa. Ho visto delle fotografie…. si può leggerle sul viso che la sua depressione è stata vera-mente molto grave. A quell’epoca il trattamento era proprio rudimentale……… è andata a riposarsi in una stazione termale vicino al Cairo. Posso soltanto supporre di essere stato molto colpito da questa esperienza, la quale, sia detto chiaramente, ha richiesto tre analisi per poter essere pienamente rivis-suta» (4).

Riorganizzare tutto il quadro ed ammorbidire la tecnica analitica per nuove tipologie di pazienti
Nel 1986 diventa Presidente della Societè Psychanalytique de Paris.
Il suo lavoro si orienta progressivamente sulla presa in considerazione delle modificazioni della cul-tura e del loro impatto sulla clinica. Green evoca un nuovo tipo di pazienti, né nevrotici né psicotici, che chiama "casi limite" (vedi La folie privée. Psychanalyse des cas – limites, 1990).
Conviene, dice, con questi tipi di pazienti procedere ad alcune variazioni del quadro della cura e della tecnica. Così ad esempio preconizza l’uso del faccia a faccia piuttosto che la disposizione tra-dizionale divano/poltrona.
Uno degli obiettivi di André Green è stato anche quello di far dialogare la psicoanalisi con le scienze contemporanee: biologia e linguistica, particolarmente (vedi Autour de l’ouvre d’André Green. Enjeux pour une psychanalyse contemporaine, 2005).
Ha apportato numerosi contributi alla conoscenza dei grandi capolavori della letteratura. Citiamo particolarmente: Un oeil en trop (il complesso di Edipo nella tragedia), Hamlet et Hamlet (una con-cezione psicoanalitica della rappresentazione), Le Premier Commandement (su Joseph Conrad) e L’Aventure negative (lettura analitica di Henry James).
Lo psicoanalista Fernando Urribarri aveva incontrato André Green nel 1990 a Buenos Ayres.
Undici anni dopo Green gli ha proposto di realizzare una serie di colloqui per quello che chiamava allora il proprio "ultimo libro". Ricorda: «Era un interlocutore straordinario. Abbiamo lavorato in-sieme durante l’ultima settimana di settembre del 2001, da otto a dieci ore al giorno. Lo confesso: ero io che gli domandavo di far delle pause, ero più stanco di lui, che era così traboccante di energia, capace di proseguire la conversazione con entusiasmo. Era una sorta di maratoneta intellettuale». Ed aggiunge: «C’è stato con André Green , proprio come con Freud e con Picasso, un periodo tardivo assai fecondo».
Questo "tornante degli anni 2000" viene definito come il riconoscimento della crisi della psicoanalisi ed il progetto di un nuovo paradigma contemporaneo.
«André Green ha fatto notare che la crisi della psicoanalisi post-freudiana è una crisi "melancolica": essa è impregnata del lutto interminabile per la morte di Freud. In maniera sintomatica, ogni autore post freudiano importante ha voluto sostituirlo come figura principale, ogni movimento militante ha creduto di rivivere la situazione originaria dei pionieri e del Padre fondatore. La Ego Psychology, il kleinismo ed il lacanismo hanno ripetuto il medesimo processo consistente nel difendere il proprio modello riduzionista, a convertirlo in dogma, a meccanicizzare una tecnica particolare ed a idealiz-zare un caposcuola. Il progetto contemporaneo secondo Green vuol essere un antidoto alla ripeti-zione di questo cammino, orientato "verso una psicoanalisi del futuro"»

Ultimamente André Green preparava con Fernando Urribari ed Anna de Staal, direttrice editoriale delle Editions d’Ithaque, due opere: "Il pensiero psicoanalitico contemporaneo" (nella quale André Green riuniva i suoi testi a proposito dei suoi contemporanei: Winnicott, Bion, Levi-Strauss, Lacan, Laplanche, Anzieu, Rosolatto….) e "La clinica psicoanalitica contemporanea", una raccolta di arti-coli su le cadre, il controtransfert, l’interpretazione…
Qualche giorno prima di morire ci lavorava sopra ancora attivamente.
Quando un grande personaggio muore, ci ricordiamo non soltanto di quello che è stato, ma anche di quello che è stato per ciascuno di noi, di quello che ci ha apportato. Per me è stata la frase che ha pronunziato Green quel sabato di settembre nei locali del Red Hall con delle inflessioni della voce quasi shakespeariane – perché da giovane aveva fatto del teatro: "Chi fra di noi non è stato mai toc-cato almeno per qualche tempo dalla tristezza, dalla perdita del gusto di vivere? E’ folle pensare che le madri non abbiano mai dei periodi di depressione come ne abbiamo noi tutti. Fortunatamente, si guarisce".

(1) Voglio qui ringraziare Mme Litza Guttieres-Green, la moglie di André, ma anche Hélène Boulais, la sua segretaria, Ana de Staal e Fernando Urribarri, editori di André Green per le Editions d’Ithaca, che mi hanno fornito una documentazione molto utile per la redazione di questo articolo. Si può trovare una parte del colloquio di André Green al Reid Hall nel sito delle Ediition d’Ithaque.
(2) Questa frase proviene da un colloquio accordato nel 2002 da André Green a Marianne Persine ed a Roger Frenoy e che si può ascoltare qui integralmente.
(3) Questa citazione proviene dagli Essais sur la mère morte et l’ouvre d’André Green, sotto la dire-zione di Gregorio Kohon, prefazione di Horacio Etchegoyen e di Fernando Urribarri, Paris, 2009, Les èditions d’Ithaque.
(4) idem

 

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