Cultura e Società

Il paziente e l’analista tra malattia e morte, Huffpost, 17/1/23 di D. D’Alessandro

23/01/23
Il paziente e l’analista tra malattia e morte di D. D’Alessandro

LUCIANO FABRO, 1965

Il paziente e l’analista tra malattia e morte, Huffpost 17/1/23 D. D’Alessandro

Parole Chiave: Morte, Psicoanalisi, Malattia, Vecchiaia

Il paziente e l’analista tra malattia e morte

Rita Corsa e Lucia Monterosa, in un libro edito da Alpes, affrontano il tema della caducità dalla parte del guaritore ferito, che non ne è affatto esente

di Davide D’Alessandro

Avevo letto, di Rita Corsa, psichiatra e psicoanalista, “Se la cura si ammala. La caducità dell’analista”. Ora riscopro sul tema il libro, edito da Alpes, che ha scritto insieme alla psicoanalista Lucia Monterosa, “Limite è Speranza. Lo psicoanalista ferito e i suoi orizzonti”.

Da pazienti siamo abituati, a torto, a ritenere gli analisti onnipotenti, feribili ma non mortali, soggetti dal supposto sapere che debbono guarire gli altri e non sé stessi. In realtà, gli analisti si feriscono, si ammalano e muoiono come tutti gli umani. Certo, quando accade, fa un po’ impressione e tocca al paziente elaborare il lutto di una perdita, che è sempre una grave perdita soprattutto per il rapporto creato.

Giuseppe Pellizzari, che è stato analista di valore, non sfuggito alla grave malattia che se l’è portato via nel 2019, scrive nella prefazione: “Come le autrici di questo libro illuminante ci mostrano con sincerità e passione, la malattia del corpo porta con sé un lascito di senso capace di trasformare il soggetto che la patisce. La speranza è il nostro limite di essere umani, impossibilitati a raggiungere la certezza della verità e tuttavia, proprio per questo considerati superiori agli angeli, che tale certezza possiedono, secondo il Magghid di Mezeritch, perché abbiamo un corpo soggetto di cambiamenti”.

La stessa Corsa racconta quando dovette interrompere l’attività professionale per un intervento cardiochirurgico: “Una giovane donna, all’epoca incinta del suo primo figlio, sogna che, mentre è ricoverata in ospedale per partorire, sente la mia voce nella camera accanto. Mi viene a salutare, pensando di vedermi all’opera come medico – a quel tempo esercitavo in qualità di psichiatra ospedaliero – invece mi trova ‘vestita da paziente’, che discuto con apprensione con un chirurgo sui rischi di un’operazione che devo subire. In seduta mi stupisco molto che la signora abbia azzeccato con ‘occhio clinico’ l’organo che deve essere aggiustato e, soprattutto, che abbia colto pienamente il mio stato d’animo, connotato non solo da una grande preoccupazione, ma pure carico di speranza. Sentendomi sorpresa e confusa, decido di trattare il materiale onirico secondo il mio modello abituale e solido di lavoro: mi mantengo nel registro delle interpretazioni di transfert, lasciando fuori la realtà”.

È un libro che inesorabilmente si misura con l’idea della morte e con la morte vera, che quasi sempre scacciamo e non siamo i soli. Continua Corsa: “Di solito l’analista colpito da un’affezione a rischio di vita tende a nasconderlo. Ha paura che la notizia si diffonda, che i colleghi non gli diano più credito e che si riducano le sue opportunità d’impiego. Non è sempre così in altri ambiti lavorativi. Mi sono chiesta perché l’analista tema, forse più di altri professionisti, i danni reali alla propria soggettività corporea”.

Il limite e la speranza, il limite è speranza. Le due parti del libro aiutano a considerarli entrambi, attraversando i pensieri psicoanalitici sulla morte e approdando alla Spes, ultima dea. Tocca ad Adamo Vergine, nella postfazione, chiudere sui limiti e le speranze della psicoanalisi contemporanea: “In tutto il libro il tema della speranza non è usato, come spesso avviene nella storia, nel senso di una passività che attende il miracolo, ma come determinazione e impegno a superare gli ostacoli. Anche perché non è al primo ostacolo che si è giunti al limite. Nella vita sono molti gli ostacoli che si devono superare e non si sa mai veramente quand’è che siamo veramente al limite”.

Chi ha letto “Chi non muore si rivede”, il libro di Alberto Maggi, biblista e frate dell’Ordine dei Servi di Maria, sa cos’è la malattia, quali sono i pensieri che si annidano nella mente e le reazioni del corpo. Non è un problema di chi crede o di chi no, la morte, ma il problema. Scappare non serve, far finta di niente men che meno. Queste pagine sono indispensabile per comprendere cosa accade dentro i presunti onnipotenti, dentro i pazienti, dentro quell’incontro a cui tutti e due chiedono di guarire.

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