
Pietro Tenerani, Psiche abbandonata
Parole chiave: Sessualità, Corpo vissuto, Smaterializzazione,Desiderio, Relazione affettiva
Nel suo contributo per HuffPost, Sarantis Thanopulos riflette sulla crisi contemporanea della sessualità e sulla smaterializzazione del corpo vissuto, temi emersi in occasione di un recente convegno a Milano. L’analisi dell’autore mette in luce le derive disumanizzanti dell’ideologia tecno-patriarcale. L’ipotesi è che questa neutralizzerebbe il desiderio e trasformerebbe il corpo in oggetto manipolabile. Un richiamo alla centralità dell’esperienza erotica e affettiva nella costruzione del soggetto.
Pubblicato su HuffPost Italia il 23 Maggio 2025
La crisi della sessualità e del corpo
Sarantis Thanopulos
Il giovedì 22 Maggio si è svolto a Milano, nella sede dell’Università Cattolica, un convegno dal tema: “Corpo, identità e affetti: nuove sfide per la famiglia”. Il convegno è stato organizzatodal Centro dell’Ateneo “Studi e Ricerche sulla Famiglia” a cura di Elena Canzi, dottore di ricerca e docente dell’Università. Le relazioni e il dibattito hanno evidenziato una significativa convergenza su due temi strettamente correlati: la crisi della sessualità (con ricadute molto negative sull’adolescenza) e la smaterializzazione del corpo vissuto, la sua riduzione a pura biologia o a strumento della mente. Sono due temi fondamentali del nostro tempo.
La crisi della sessualità va di pari passo con la repressione della psicocorporeità erotica della donna che contrasta con la sua relativa emancipazione lavorativa e politica in Occidente. In gran parte del mondo continua il tradizionale esercizio del potere patriarcale sulla sessualità femminile che storicamente restringe la sua libertà di esplorazione anarchica e priva di calcoli del piacere (l’epicentro di un coinvolgimento profondo con il mondo) e la conforma alle modalità sessuali più impulsive e schematiche (idrauliche) del maschio (senza tuttavia riuscire ad alienarla). In Occidente l’emancipazione della donna tende a assimilarla al nucleo oscuro (più coerente e radicale) del patriarcato: la neutralizzazione della sessualità, la sua configurazione androgina fondata sull’appagamento autoerotico (la riduzione dell’altro in protesi di sé). Un tempo (non remoto) le donne andavano in analisi perché non riuscivano a avere l’orgasmo (gli uomini lo scambiavano serenamente con l’eiaculazione). Oggi possono passare alcuni anni di lavoro analitico prima che ne parlino, trovandosi in un dilemma difficile: affrontare la questione per risolverla o rassegnarsi e andare avanti nella loro vita, dando priorità ad altre dimensioni affettive e non al loro godimento erotico (che è, tuttavia, indispensabile alla pienezza del vivere)?
Le donne e gli uomini che soffrono di difficoltà sessuali ignorano che queste difficoltà non sono un loro difetto di costituzione, ma il risultato di una collocazione dolorosa in relazioni (del passato e del presente) traumatizzate e traumatizzanti. La nostra realizzazione sessuale (l’abbandonarsi all’incontro, piacere erotico che è anche intima presenza in sé, conoscenza di sé nell’esperienza vissuta) è strettamente collegata alla possibilità di sentirsi centrati in sé e, al tempo stesso, inclinati verso l’altro, eccentrici alla nostra centratura. È impossibile godere senza mettersi nei panni dell’altro, senza identificarsi con il suo desiderio per accordarlo con il nostro, in modo da mantenerci desideranti e desiderabili entrambi.
La frigidità nella donna e nell’uomo è espressione di un mancato accordo tra la relazione e l’identificazione con l’altro che è percepito come indifferente o aggressivo. Piuttosto che lasciarsi andare in un incontro coinvolgente con lui/lei si preferisce trattenerlo/a nella propria organizzazione sessuale, interpretando “entrambe le parti della commedia”. Assoggettando l’altro al proprio centro di gravità ci si irrigidisce, si perde insieme alla differenza di quest’altro anche il pieno senso della propria differenza e identità e si finisce con l’essere “né carne, né pesce”. La cosiddetta identità “fluida” è un fenomeno dei nostri giorni (da non confondere con la bisessualità”) molto più diffuso negli adolescenti che gli adulti. Non si esprime nella direzione di un sesso e/o dell’altro, resta sospeso su entrambe le sponde. È un’identità bloccata e tendenzialmente desessuata.
La sessualità pregenitale infantile vive nel presentimento della genitalità, ma oggi la sessualità adulta tende a regredire nell’autoerotismo, nella pregenitalità (anche quando si fa sesso impegnando i genitali), una tendenza che si era prefigurato molti anni fa l’analista italiano Fornari. Ciò crea scompiglio tra gli adolescenti che attraversano la transizione dalla pregenitalità alla genitalità in modo incoerente, sperimentale e esplorativo (con un’oscillazione priva ancora di un definitivo centro di gravità) e chiedono agli adulti una sponda certa e non vacillante. In loro la fluidità va di pari passo con la caduta della sessualità dalla quale o si astengono o la interpretano aderendo ad essa in modo schematico e sbrigativo.
La tendenza alla desessualizzazione delle identità e delle relazioni ricade sulla percezione e concezione del nostro corpo che non si riduce alla sua biologia e anatomia (pur restando ancorato a questo fondo della sua materia viva): è un corpo pulsionale che vive esperienze sensuali reciprocamente trasformative nel suo incontro con gli oggetti del mondo (umani e non umani, materiali e immateriali, carnali e culturali). Tende costantemente verso queste esperienze che lo estrovertono, è un corpo fatto di desideri, emozioni e sentimenti, è un corpo “vissuto”. Più il corpo si separa dalle sue relazioni erotiche, trasformative -senza le quali, come è ampiamente dimostrato, non sopravvive materialmente- più si pretende di costruirlo ex novo in laboratorio, manipolandolo in tutti i modi.
L’ideologia della smaterializzazione del corpo vissuto e della sua riproduzione artificiale si rivela in modo paradigmatico nel progetto, in fase avanzata, della realizzazione dell’utero artificiale (attualmente in difficoltà perché la placenta è una co-costruzione tra madre e feto). Questo progetto segue la strada delle linee guida per l’utero in affitto: le madri affittate devono trattare il feto portato nel loro grembo, come oggetto affettivamente indifferente in transito nel loro corpo. Si ignora un fatto fondamentale: l’importanza della comunicazione emotiva e, in modo elementare, anche “mentale” tra madre e feto (corrispettiva della co-costruzione della placenta). Questa comunicazione configura il bambino già alla sua nascita come essere affettivo con una sua particolarità aperta alle relazioni con la vita. L’utero artificiale porta all’estremo la logica dell’utero in affitto: si vuole far nascere l’essere umano sulla base del solo patrimonio genetico in contatto originario, nel momento della sua gemmazione, con un ambiente meccanico totalmente anafettivo e impersonale.
La pretesa della riduzione del corpo umano in una macchina biologica, neutra eroticamente e affettivamente, coincide al suo estremo con uno schema mentale (perfettamente omogeneo alla logica algoritmica): la costruzione dell’essere umano come entità priva di storia in cui la domanda di sentimento è percepita come difetto.