Cultura e Società

la Repubblica 01/07/20 “Insieme ma disciplinati” S. Bolognini

3/07/20

la Repubblica

mercoledì, 01- 07- 2020 

 

“Insieme ma disciplinati. Giusto poter ripartire così”

 

Ilaria Venturi intervista Stefano Bolognini

 

Introduzione: La ripresa delle iniziative culturali organizzate, che coinvolgono la città e favoriscono una socialità disciplinata da compromessi, contribuiscono a riavviare la vitalità della collettività e le forme vitali dei singoli. Il traumatismo cronico prolungato provocato dalla pandemia ha alterato, infatti, e disorganizzato i riferimenti d’appartenenza degli individui e la loro affidabilità, già per certi aspetti precaria,  nelle istituzioni, nella scienza, nella politica.

Stefano Bolognini, Psichiatra, Psicoanalista ordinario aft, Past President della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalitycal Association, dialoga con  Ilaria Venturi al tempo della “ripartenza” dopo il lockdown (Maria Naccari Carlizzi).

 

 

la Repubblica

mercoledì, 01- 07- 2020 

“Insieme ma disciplinati. Giusto poter ripartire così”

Ilaria Venturi intervista Stefano Bolognini

 

«Eventi vitali regolamentati sono  giusti, bisogna che passiamo da lì per elaborare il lockdown». La  ripartenza di Bologna passa anche dalla piazza: il cinema, i dibattiti. Viste dallo psicoanalista Stefano Bolognini le iniziative che restituiscono alla città un senso comunitario sono necessarie, purché «non significhi un liberi tutti».

Professor Bolognini, dopo l’isolamento riconquistare la piazza è un modo per riscoprirsi comunità?

«Esattamente, il desiderio di tentare iniziative pubbliche regolamentate esprime la nostra voglia di vivere, e la creatività pensosa è vita. Ma non ci si deve illudere, con questo, di sottrarsi magicamente all’esperienza della pandemia che ci ha traumatizzato, quanto sarà il tempo a dircelo».

Sebbene abbiamo ripreso ad uscire di casa, non ne siamo ancora usciti?

«Diciamo che espressioni quali “fare le cose in sicurezza” sono rassicuranti e opportune, ma dobbiamo anche ammettere a noi stessi che non è certo un ritorno rilassato a “riveder le stelle”».

Quanti danni ha fatto lo stare in isolamento per mesi?

«I danni psicologici sono quelli post-traumatici rispetto a un evento prima inimmaginabile, come dopo un terremoto. Ero psichiatra in Veneto negli anni del sisma in Friuli, ricordo il terrore di chi mai avrebbero pensato che la cosa più sicura, la terra sotto i piedi, avesse potuto ballare».

E poi abbiamo accumulato tensione…

«Moltissima, in parte per le convivenze forzate e inusualmente protratte che hanno generato problemi soprattutto nelle coppie, in parte a causa di questo nemico invisibile, il virus: rapidissimo e pervasivo, imprevedibile. Abbiamo dovuto fronteggiare un pericolo epidemico importante perdendo una sorta di inconscia fiducia filiale nei confronti delle scienza che ha mostrato i suoi limiti».

Quali limiti?

«Abbiamo sperato che gli scienziati potessero essere più risolutamente compatti e competenti. Ma di questo virus sappiamo abbastanza, non tutto. E lo stesso vaccino non è imminente. La scienza ha fatto quello che poteva considerando anche che a intervenire erano esperti di tipo diverso: chi studia i virus al microscopio, chi lavora nei reparti, gli epidemiologi che si occupano di macrosistemi, i virologi che non sono più nei laboratori, ma che hanno la responsabilità di guidare gli organismi istituzionali. Categorie differenti che inevitabilmente sono entrate in parziale contrasto tra loro: la gente lo ha percepito e ha vissuto lo sbandamento».

Quello che stiamo vivendo ora, dopo il lockdown?

«Ne siamo usciti un po’ con le ossa rotte e un po’ guardandoci di qua e di là con sospetto. In più abbiamo i negazionisti, che non vedono la realtà. E i catastrofisti. Viviamo una frattura intergenerazionale, in quanto i giovani, per la loro scalpitante vitalità, osservano meno le regole. In questo quadro i politici si barcamenano dovendo affrontare gli enormi problemi economici che si sono creati. Il risultato è questo grande senso di sospensione e di incertezza. Stiamo sperimentando la complessità di una vita sociale consapevole dove non esistono soluzioni radicali, ma si negoziano compromessi. Dunque cerchiamo di uscire, con l’ipotesi di un ritorno del Covid a settembre-ottobre che pesa sulle nostre teste e neppure sappiamo se è vero, e di vivere navigando a vista. L’esperienza del virus è stata traumatica oltre che per la realtà dei morti e dei malati, anche perché ha creato in pochissimo tempo uno scenario da film di fantascienza».

 

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