Cultura e Società

La Stampa 13/02/21 Recensione alla Rivista “Frontiere della psicoanalisi”

18/02/21

La Stampa

13 febbraio 2021

la rivista di balsamo e recalcati

La psicoanalisi nel nostro tempo

Questa sconfitta s’ha da rappresentare! Così il teatro curava i traumi degli Ateniesi

Maurizio Balsamo

Massimo Recalcati

 

Introduzione: E’ nata una nuova rivista “Frontiere della psicoanalisi”, diretta da Maurizio Balsamo e Massimo Recalcati. Nel primo numero” Irruzioni/evento, trauma, storia” attraverso contributi di psicoanalisi, storia, letteratura, teoria dell’arte, viene messo a fuoco “l’irruzione dell’impossibile nel tempo storico capovolgendo la sua potenza devastatrice in una ripetizione creativa”.

Maurizio Balsamo, psichiatra, professore di Psicopatologia e Psicoanalisi all’università di Paris VII, è membro ordinario aft della Società Psicoanalitica Italiana e dell’IPA.

Massimo Recalcati è psicoanalista dell’associazione lacaniana italiana e direttore dell’IRPA, (Maria Naccari Carlizzi).

 

La Stampa

13 febbraio 2021

la rivista di balsamo e recalcati

La psicoanalisi nel nostro tempo

Questa sconfitta s’ha da rappresentare! Così il teatro curava i traumi degli Ateniesi

Maurizio Balsamo

Massimo Recalcati

 

Lo scorrere naturale del tempo non comprende l’esperienza della storia. La storicizzazione del tempo implica sempre la sua soggettivazione nella ripresa retroattiva e questo è certamente un grande insegnamento della psicoanalisi. Nondimeno, anche la storicizzazione del tempo naturale si deve piegare all’eventualità dell’irruzione di un impossibile da iscrivere. È il caso del trauma che fa necessariamente la sua comparsa nel tempo storico, incidendo in esso un reale ingovernabile che resiste alla sua metabolizzazione simbolica. Questa irruzione ha la natura dell’evento che, come nota Derrida, non è mai dell’ordine del possibile ma dell’impossibile. O, come ha osservato Koselleck: «Il “prima” e il “poi” di un evento mantengono la propria qualità temporale, qualità che non si lascia ridurre completamente alle sue condizioni di lungo periodo. Ogni evento produce qualcosa di più (e di meno) di quanto è contenuto nelle sue premesse: di qui la sua novità sorprendente».

Lo illustra bene la lettura che Badiou compie della missione di San Paolo nella diffusione del messaggio di Cristo: per Paolo, l’evento attorno a cui si struttura la forza di questo messaggio è costituito dalla resurrezione, in quanto tale indimostrabile e improvata, ma capace di generare – nella sua qualità paradossale di evento incondizionato che fa appello alla sola credenza soggettiva -, una successione di eventi altrettanto impensabili come la religione cristiana o l’irruzione di un’altra temporalità sulla scena del mondo.

Le strutture che presiedono a un evento (ad esempio i modi di sovranità, la categoria amico- nemico, le forze produttive e i rapporti di produzione, le dinamiche inconsce, ecc.) sono evidentemente altre dall’evento stesso. Tuttavia, come ha sostenuto Sahlins, la distinzione fra evento e struttura appare sempre problematica «se non altro per il motivo relativamente insignificante che ogni struttura o sistema è, sul piano fenomenico, événementiel. In quanto insieme di relazioni significanti tra categorie, l’ordine culturale è meramente virtuale. Esso esiste solo in potentia. Il significato di una qualsiasi forma culturale è dunque dato da tutti i suoi possibili usi nella comunità … ma l’evento non è che la forma empirica del sistema … Un evento non è semplicemente qualcosa che accade nel mondo; è la relazione tra un determinato avvenimento e un dato sistema simbolico». In questo senso ogni evento attualizza e modifica la struttura soggiacente, sottoponendo gli esseri umani all’incertezza dell’azione e della processualità interpretativa, ridefinendo al medesimo tempo la relazione fra l’impossibilità di ciò che accade e la ripetizione intesa come attualizzazione di una struttura. Si apre pertanto una dialettica complessa fra l’apparizione del nuovo, capace di flettere e modificare la struttura, e la struttura che si dispiega nell’evento, mostrando l’interconnessione di ripetizione e creazione, determinazione anticipatoria e rimodulazione soggettiva, fissità e trasformazione.

Se, come ha osservato De Certeau, alla domanda se l’evento osservato sia una irruzione o una ripetizione del passato, lo storico non sa mai dare una risposta precisa, questo implica, da una parte, una correlazione stringente fra evento e struttura e, dall’altra, la necessità di cogliere in questa indecidibilità la possibilità di ospitare l’estraneo che scorre nel discorso corrente, lacerando la rassicurante convinzione di abitare il solo tempo presente.

Questo cambio prospettico fra evento e struttura, fra (im)possibile dell’evento e ripetizione, che ne interseca ma non ne annulla i piani, è al centro dell’esperienza dell’analisi. Interrelazione casuale di soggetti che nel loro incontro intrecciano una nuova storia per risignificare quelle precedenti; trama psichica soggiacente a processualità e funzionamenti che sovrastano l’evento medesimo della cura analitica, ma che da essa saranno riprese per poterne rintracciare la portata, ridurne il peso e la forza, mutarne la traiettoria.

La storicizzazione del soggetto, per aprirsi al suo possibile, deve necessariamente dispiegarsi sul terreno della ripetizione, permettendo a ciò che è rimasto in giacenza, a ciò che ha tracciato o interrotto il corso delle costruzioni soggettive, di riapparire e di essere riattraversato nella ripresa simbolizzante della cura, nelle trasformazioni creatrici che si produrranno in quell’«increabile» (Green) generativo di nuove iscrizioni, nuove traiettorie, nuove origini che definiscono il processo stesso della soggettivazione analitica. Sarà nella cura, nel suo incontro con processi che predispongono o che tentano di prescrivere i modi dell’accadere e i flussi delle trasformazioni, dunque aprendosi alla possibilità della ripetizione, ma paradossalmente piegandola lungo nuove modalità di simbolizzazione, che la storia può davvero ricominciare. È questo il motivo per cui non bisognerebbe parlare di un tempo unico della vicenda analitica, ridotto spesso unicamente al tempo presente della seduta, nell’illusione di essere i soli attori di una scena hic et nunc, ma piuttosto di onde anacroniche, di fasci temporali che si intersecano, producendo differenti categorie di eventi, a seconda dello scontro o del punto di ricezione delle medesime. Questo ci permetterà di parlare del tempo della cura come articolabile intorno ad una dinamica epiciclica, di strutture esistenziali e di avvenimenti – fra di essi il trauma occupa certamente un ruolo preponderante – che istituiscono dei punti attrattivi, dei significanti-chiave, dei nodi di agglutinazione simbolica, affettiva, sensoriale, linguistica o pre-verbale, che flettono le orbite trasformative e le loro reiscrizioni. Ripetizioni immemori del già accaduto che tratteggiano le possibili diramazioni di senso, piegandole alla ripresa del già stato e però, mediante questa medesima operazione, disponendole all’accoglimento del nuovo.

Questa rappresentazione processuale si frattura in modo peculiare nel momento in cui il reale del trauma fa apparizione sulla scena del soggetto. In termini freudiani nessuna organizzazione difensiva può evidentemente anticipare l’evento inatteso del trauma. Perciò esso si accompagna sempre al terrore, all’angoscia lacerante, alla possibile perdita di rappresentazione e di significazione. Ma non è forse in questa terra di frontiera del simbolico, scavata dal reale del trauma, che dobbiamo iscrivere la posta in gioco più alta della pratica analitica e, più in generale, di ogni pratica sublimatoria? Operazione sempre complessa che domanda un tempo di elaborazione, un lavoro psichico per potersi dire, una comunità, un’alterità per giungere a una ritrascrizione e al suo trattamento nella sfera del pensiero. È questo forse il motivo, secondo Erodoto, del fallimento e del divieto di un’ulteriore rappresentazione teatrale, oltre ad una ammenda di mille dracme, della tragedia. La presa di Mileto di Frinico, visto che la disfatta dei greci ad opera dei persiani era troppo recente per essere iscrivibile nella memoria collettiva. Come osserva Aristotele, il poeta tragico struttura le sue opere in una memoria mitica, culturale, che permette di conoscere gli eventi che si dispiegheranno nella tragedia dando, grazie a questa conoscenza mnestica, all’articolazione fra ciò che si sa e ciò che irrompe, la possibilità del buon funzionamento dello spazio tragico. L’impossibilità di una interposizione significante del trauma, l’indisponibilità di una memoria collettiva atta a simbolizzare nelle forme psichiche già sperimentate l’accadimento, renderà conto innanzitutto dello scacco rappresentativo, addirittura del diniego – tramite l’interdizione della messa in scena – di una forma teatrale che fallisce nella costruzione di una oscillazione fra presente e passato culturale. Ma il diniego della rappresentazione dell’evento traumatico non può cancellare il gesto medesimo della cancellazione che pertanto produce ulteriori resti. All’impossibilità dell’iscrizione traumatica si aggiungerà infatti una trasformazione della forma tragica medesima, che fletterà l’organizzazione della teatralità ateniese nella costruzione autoassicurante di uno spazio rappresentazionale, dedito alla cura delle ferite altrui, mediante la messa in evidenza del ruolo di Teseo, re ateniese, come re ospitante e regolatore delle sofferenze delle altre città greche. Si tratta, come si vede, all’interno della rappresentazione antica del trauma, della rappresentazione accoglibile dalla comunità greca, di un rapporto dinamico fra presente e passato mitico, capace di mettere in gioco entrambe le temporalità, utilizzando le categorie del passato per comprendere il presente, o per favorire l’interpretazione del passato stesso permettendo ai testimoni del trauma di dispiegare inedite reti di senso. Giungendo, nella cancellazione di una ferita non rimarginata, alla modifica medesima della forma tragica che conserverà, nella sua stessa cancellazione, l’iscrizione stessa di quell’evento irrappresentabile. Il fallimento scenico e civile della Presa di Mileto può servirci così da espediente letterario per pensare le possibilità rappresentative o meno del trauma, la necessità di tessere intorno ad esso categorie visive, percettive, esperenziali, mnestiche, simboliche, che possano permetterne una sua integrazione, ricostruendo lo spazio della polis, la ritessitura della dimensione dialogica, e al medesimo tempo la comprensione dei modi in cui ciò che non trova iscrizione si conserva nel suo diniego, nella messa a morte della sua stessa rappresentazione.

Confrontarsi con l’irruzione ripetitiva del trauma nella storia ma fuori dalla storia, nel tempo ma fuori dal tempo, al fine di dare a questa forza una forma, a questa energia senza argini una rappresentazione, sarà il compito ineludibile a cui dobbiamo rispondere. Per questo l’evento per essere tale implica sempre il riferimento alla mediazione simbolica di un soggetto. Non c’è, infatti, evento in sé, ma solo per un soggetto singolare che lo significa come tale nel tempo della retroazione. Abbiamo convocato per tale motivo studiose e studiosi di psicoanalisi, storia, letteratura, teoria dell’arte, per scandagliare questo enigma: come ospitare l’irruzione dell’impossibile nel tempo storico capovolgendo la sua potenza devastatrice in una ripetizione creativa? —

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