
Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa (o Memoriale dell’Olocausto) a Berlino. Progettato dall’architetto Peter Eisenman
Parole chiave: Shoah, Antisemitismo, Memoria storica, Diritto di critica vs demonizzazione, Responsabilità intellettuale
Nella sua recente lettera al direttore de Il Foglio, David Meghnagi denuncia il rischio che la banalizzazione della Shoah, attraverso confronti impropri con eventi attuali, distorca il dibattito pubblico sulla difesa di Israele, favorendo una nuova forma di antisemitismo. Il testo invita a riflettere sul valore della memoria storica e sul dovere intellettuale di non ridurre il passato a strumento retorico.
Caro Direttore,
L’antisemitismo del passato rimuoveva la realtà di Auschwitz. La banalizzava o la derubricava. Era un antisemitismo di tipo razzista che persisteva malgrado Auschwitz, Il nuovo antisemitismo pseudo democratico non nega la tragedia. Se ne appropria cannibalizzando la memoria della Shoah e usandola contro gli ebrei. La prova generale in Occidente avvenne nel corso della guerra del Libano nel 1982 con la rappresentazione sui principali organi di stampa delle vittime di ieri di essere diventati i «carnefici» di oggi. Dalla prova generale si sta passando alla messa in atto. Con il fallimento degli accordi di Oslo la deriva era dietro l’angolo. Una tappa importante è stata la conferenza dell’ONU sul razzismo a Durban del 2000. L’eccidio compiuto da Hamas il 7 ottobre e la guerra in corso hanno fatto il resto alla faccia di una empatia autentica per tutte le vittime e della ricerca faticosa di una composizione politica di un conflitto che lacera le regione da oltre un secolo e che è rimasto sul tavolo al pari di tutti i problemi lasciati in dote dalla Prima guerra mondiale.
Se l’antisemitismo immediatamente dopo la guerra esisteva «nonostante Auschwitz», il nuovo antisemitismo «avviene a causa» di Auschwitz per il rifiuto di fare per intero il lutto di una tragedia che distrutto l’immagine che si aveva del mondo.
Il piacere con cui in molti si accaniscono demonizzando e delegittimando il diritto all’esistenza stessa di Israele, ne è un chiaro sintomo.
Trasformando le vittime in carnefici, i conti possono essere apparentemente pareggiati. Accusando Israele e gli ebrei di genocidio si può finalmente dire ciò che fino a qualche anno fa poteva essere considerato un tabù. In questa nuova situazione, la scissione schizoparanoide tra l’immagine dell’ebreo morto nei Lager da ricordare e onorare e quello vivo che si è fatto nazione libera, da rigettare, non “funziona” più. Il bisogno di pareggiare i sentimenti di colpa inconscia persecutoria, hanno preso il sopravvento. Non avendo fatto interiormente per intero il lutto, l’ostilità rimossa si prende una «rivincita».
Falsamente e perversamente declinato come «antirazzismo», «anticolonialismo» e «antisionismo», l’odio più antico può essere agito senza il timore di essere ostracizzati. La deriva è tale che una associazione junghiana può rifiutare la sala a un convegno sul trauma per la presenza di colleghi israeliani.
Nella logica della teologia preconciliare, convertendosi l’ebreo poteva liberarsi di una «colpa ontologica» che in barba ad una religione incentrata sull’amore, si trasmetteva irrevocabilmente da una generazione all’atra condannando un intero popolo ad una condizione di paria. Nella logica del nuovo antisemitismo, gli ebrei possono liberarsi della loro presunta «colpa», rompendo ogni rapporto di solidarietà con lo Stato degli ebrei. Declinandosi come «antisionisti», rompendo ogni legame di lavoro e di amicizia, partecipando ad un cupio dissolvi etico e psicologico. Le richieste dei nuovi aspiranti Torquemada troveranno sempre qualcosa nei nuovi «conversos» che non va.
Con l’accusa di genocidio, che a livelli inconsci ha preso il posto dell’antica accusa di deicidio, anche gli ultimi tabù rischiano di cadere. Uno dei prossimi obiettivi è il giorno della memoria. Il 27 gennaio è vicino. Teniamolo presente. Alla faccia del nuovo antisemitismo e per una cultura della fratellanza fra i popoli e le fedi.
David Meghnagi
Ideatore e direttore del Master internazionale di II livello in Didattica della Shoah, Roma Tre.