Cultura e Società

Prima regola: non colpevolizzarsi. Per difendersi contro la violenza si inizia da qui. Repubblica 25/11/2021 di A. Lucattini

24/11/21
25 Novembre Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne

BARBARA KRUGER 1989

Parole chiave: Femminicidio; Violenza

Prima regola: non colpevolizzarsi. Per difendersi contro la violenza si inizia da qui. Repubblica 25/11/2021 di A.Lucattini

25 novembre 2021

Introduzione: Adelia Lucattini commenta i tragici dati sulla violenza fisica e sessuale subita dalle donne ma ricorda, in questo articolo, di non sottovalutare la violenza psicologica fatta di umiliazioni e privazioni che porta alla mortificazione del Sè .(Maria Antoncecchi)

Adelia Lucattini, Psichiatra, membro ordinario della Società  Psicoanalitica Italiana e dell’IPA, esperta di  Psicoanalisi bambini /adolescenti

25 novembre 2021

Prima regola: non colpevolizzarsi. Per difendersi contro la violenza si inizia da qui

 Adelia Lucattini

La Repubblica – Moda e Beauty

Nella Giornata contro la violenza sulle donne abbiamo affidato ad Adelia Lucattini, psichiatra, psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytical Association, una riflessione non sul fenomeno in sé, quanto su vittime e carnefici. Perché le dinamiche della mente e delle relazioni non sono semplici né semplificabili, ma possiamo comunque cogliere alcuni elementi utili a far suonare in noi un campanello di allarme, ricondurre i comportamenti a certi schemi e capire che di fronte al maltrattamento – fisico, mentale – non siamo sole. E possiamo essere aiutate

25 NOVEMBRE 2021 5 MINUTI DI LETTURA

“Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che ‘nnanellata pria” testimonia Dante nella Divina Commedia ricordando con delicatezza Pia de’ Tolomei, assassinata dal marito nel 1297. Pia non aveva alcuna colpa e non ha parole per spiegare a Dante il gesto crudele del marito che la gettò dal balcone del Castello della Pietra. Pia non immaginava che l’uomo a cui era andata in sposa, il podestà di Volterra e Lucca, un uomo tanto perbene, potesse ucciderla senza rimorso per avidità, per sposare una donna più ricca.

Le donne oggetto di violenza non hanno mai alcuna colpa e non sanno, non comprendono perché subiscono tali maltrattamenti fisici e torture psicologiche. Sono le vittime prescelte, consapevolmente o inconsciamente, da uomini prepotenti, brutali, soverchiatori e maneschi. Possiamo affermare che un piccolissimo numero di loro sono malati di mente o con gravi dipendenze patologiche, alcol, droga, gioco d’azzardo e che necessitano di cure specialistiche, psicologiche e farmacologiche, senza se e senza ma. Devono curarsi certamente e senza diritto di replica. Ma la maggior parte degli uomini violenti non hanno malattie mentali, hanno un funzionamento psichico primitivo, anche quando ammantato di fittizio savoir faire, di lusinghe melliflue, di sterili e vuote parole di scusa e pentimento dopo ogni atto di violenza.

Di cosa stiamo parlando

Secondo i recenti dati dell’Istat il 31,5% delle donne tra i 16 ei 70 anni, in termini assoluti 6 milioni 788.000, ha subìto una qualche forma di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. Di queste il 13,6%, ovvero 2 milioni 800.000 ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner. Il 24,7% da uomini non partner. Le donne sono oggetto di schiaffi, calci, pugni, morsi, sono spintonate, strattonate, colpite con oggetti che fanno male. Strangolamenti, ustioni, soffocamenti, minacce con le armi. Subiscono molestie fisiche e violenze sessuali ma anche rapporti indesiderati vissuti come violenze e stupri. Esistono però anche violenze psicologiche ed economiche con comportamenti “di controllo”, intimidazione, svalorizzazione, umiliazione. Oppure limitazione, privazione della possibilità di poter accedere al proprio denaro o al denaro della famiglia. 200.000 donne ogni anno subiscono minacce, sono chiuse in casa, seguite, i loro telefoni localizzati, sono oggetto di ritorsioni e con loro anche i loro figli, soprattutto se piccoli e preadolescenti.

Perché le donne non si proteggono?

“Amor ch’a nullo amato amar perdona” scriveva ancora Dante addolorato per Francesca trafitta con la spada dal marito Giangiotto, accecato dal rancore, dal desiderio di vendetta poiché si era innamorata di un altro uomo in un’epoca in cui le donne erano spose bambine promesse nel momento della loro nascita, come merce di scambio e per intessere alleanze con le famiglie dei loro mariti. Ma è questo che ancora accade alle donne oggi: si innamorano dei loro carnefici poiché sono prigioniere di dinamiche inconsce e paure di cui non sono consapevoli finché qualcuno – un amico, un familiare ma soprattutto un analista – non fornisce loro strumenti per comprendere e riflettere su quello che stanno vivendo.

Le donne non riescono ad abbandonare i loro partner violenti se non sono sostenute e comprese poiché non possono rinunciare alla parte di sé stesse che si è innamorata di quella piccola fiammella luminosa che hanno visto, o hanno creduto di intravedere, nell’uomo di cui si sono innamorate e che è diventato il loro carnefice cogliendole di sorpresa, scioccandole, paralizzando la loro volontà e la capacità di reagire.

Se ci sono i figli, la situazione è ancora più grave, ma anche quando non ci sono le donne abusate e maltrattate si sentono responsabili e si vergognano della propria fragilità e della impossibilità di trasformare il rapporto, cambiare il loro uomo, portare un po’ di bontà e di felicità nella relazione.

L’amore rende ciechi, non soltanto quello presente ma anche l’amore antico. L’amore tende a vedere soltanto quello che il cuore desidera vedere e a salvare quello che c’è di salvabile in un rapporto affinché non sia una perdita secca e assoluta.

Ma questi sentimenti positivi sono quelli che portano molto spesso le donne a esperienze di violenza e perfino di morte, poiché abbassano la guardia, poiché non credono più in se stesse, nel loro intuito e nella loro esperienza e spesso danno ancora una chance ai loro ex partner. Anche se un ultimo incontro può trasformarsi in un incontro fatale.

Le dinamiche che fanno di un uomo un violento

La violenza contro le donne, sessuale e domestica, è un fenomeno diffuso, sommerso, sempre più drammaticamente rilevante. La relazione tra donne e uomini è intrinsecamente viscerale, carica di fantasmi inconsci che attivano con forza estrema tutto il bagaglio dell’aggressività e l’ampia gamma delle angosce e delle forme della violenza in uomini disturbati.

L’uomo che all’inizio della relazione è alla ricerca della fusionalità totale nel rapporto con la donna che ha scelto, come se fosse finalmente la madre buona, disponibile, passiva e accogliente che ha tanto desiderato e mai avuto. Appena avverte che la donna è in realtà una persona “altra” e che il suo sogno rischia di andare in frantumi e trascinarlo nell’abisso delle sue angosce, delle sue insicurezze, della sua impotenza, decide di appagare a qualunque costo i suoi desideri malati e perversi. Allora, diviene violento, infligge umiliazioni, svaluta, controlla ossessivamente, domina con la forza la sua donna fino a renderla passiva, inerme, fragile, incapace. Occupa la mente della compagna con la paura, il terrore, l’angoscia di morte, fino a causarle uno spossessamento del Sé, una disgregazione dell’Io, un indebolimento di tutta la personalità, della volontà dei sentimenti. La uccide mentalmente.

Sono uomini psicopatici, narcisisti, paranoidi, per i quali la sopraffazione è un modo normale di gestire i rapporti con gli altri. Nessuno è violento solo in famiglia, è un modo di intendere la vita, di improntare le relazioni, ma in famiglia si sentono onnipotenti, lì la distanza tra loro e Dio si assottiglia, credono o sanno che potranno sempre farla franca. La donna è il loro impero, la relazione il lager di cui sono i comandanti assoluti con diritto di vita o di morte.

Le vittime e il silenzio

Le donne maltrattate sono persone traumatizzate, lo erano prima per questo sono fragili e non riescono a difendersi o lo divengono dopo a causa delle violenze. Il trauma psichico che la violenza infligge alle vittime le rende vulnerabili e le violazioni del corpo e della mente, lo stravolgimento e il disprezzo per valori alla base dei rapporti affettivi sono così orribili da rendere le vittime mute, sono indicibili, non possono essere raccontate, a nessuno. Infatti, la risposta più frequente alle atrocità è bandirle dalla coscienza, far finta che non siano accadute, negarle nel tentativo di sopravvivere, per riuscire ad andare avanti.

Il trauma psicologico provoca sempre un conflitto fra il desiderio di denunciare a gran voce i soprusi e il desiderio di negare eventi orribili per la vergogna di ciò che si è subito. Essere vittime fa vergognare di se stessi, di non riuscire a opporsi, di non potersi difendere, di saper fuggire. Impedisce di chiedere aiuto perché paralizza la mente e fa pensare di non poter essere creduti, perché l’orrore e il dolore risultano agli occhi di chi non li ha mai provati, impensabili e quindi difficili da credere.

Le donne vittime di violenza sono sconvolte da emozioni troppo forti perché possano essere contenute e organizzate dal pensiero. Quando riescono a parlare, spesso raccontano le loro storie in modo frammentato, esitante e talmente impregnato di emotività da risultare non autentiche. Il conflitto tra il bisogno di rivelare la verità ed essere salvate, e nascondere il segreto così umiliante, le paralizza. Per questo non chiedono aiuto, lo fanno troppo tardi o non si proteggono. La loro personalità ormai fragile non permette loro di riconoscere il pericolo e altera il senso della realtà. Il bisogno di essere aiutate e di affidarsi con urgenza a qualcuno unito alla mancanza di lucidità, le spinge spesso a fidarsi del loro aguzzino, per un altro fatale incontro, l’ultimo. Come se solo la morte potesse strapparle al loro tragico destino.

Una via di uscita

Bisogna poter accettare, come insegna Sant’Agostino nel 400 d.C. che “errare è umano” per cui non colpevolizzarsi, chiedere aiuto a chi è vicino e denunciare le intimidazioni e ogni tipo di violenza, psicologica e fisica.

Denunciare non solo protegge se stesse, ma contrariamente a quanto comunemente creduto, argina l’aggressività dell’altro poiché mette l’individuo violento di fronte alle proprie responsabilità grazie a un’istanza superiore, la Legge. L’argine costringe a guardare i propri sbagli e dentro se stessi, mette in condizione, chi vorrà e avrà la capacità di cambiare strada, d’intraprendere un proprio percorso personale di cura e riabilitazione o altrimenti di subire le conseguenze legali delle proprie scellerate azioni.

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