Cultura e Società

La perversione oggi. D. Battaglia intervista I. Ruggiero

18/11/19
La perversione oggi. D. Battaglia intervista I. Ruggiero

Ernst Ludwig kirchner

La perversione oggi

Il 22 e 23 novembre 2019 si terrà a Bologna il Convegno Nazionale Bambini Adolescenti della SPI dal titolo: Sviluppo del sé e perversità in adolescenza: attraversamenti, deviazioni, esiti, con la partecipazione di due eminenti colleghi d’oltralpe, François Richard e Teresa Olmos de Paz

Abbiamo chiesto a Irene Ruggiero, che discuterà le loro relazioni, di rispondere a qualche domanda su alcuni degli argomenti che saranno affrontati.

Irene Ruggiero è Membro Ordinario con Funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana, Segretario Nazionale della Commissione per la psicoanalisi dei bambini e degli adolescenti e si occupa da circa trent’anni di adolescenza.

 

Daniela BattagliaCiò che comunemente chiamiamo “perversione” è probabilmente cambiato nel corso degli anni, tanto che forse occorre prima di tutto definire cosa intendiamo con questo termine oggi. Le forme in cui la patologia, soprattutto quella psichica, si esprime cambiano a seconda delle culture e delle epoche. Come possiamo ascoltare il disagio dei nostri figli e dei nostri pazienti   con attenzione libera da pregiudizi e al tempo stesso non superficiale ?

Irene Ruggiero: Non possiamo certo fare a meno di   interrogarci sul senso che la parola perversione assume oggi, essendo così cambiate, rispetto ai tempi di Freud, la morale e la concezione della sessualità, e così diverse le condizioni socio-culturali in cui si snoda il processo adolescenziale.
L’ambiente e la cultura di appartenenza giocano un ruolo di primo piano nel processo di soggettivazione, il movimento che, a partire dalle prime identificazioni con i genitori, rende il Sé una realtà viva ed esclusiva. Data l’importanza dell’altro nella costituzione della realtà psichica individuale, è inevitabile che le grandi trasformazioni di cui è stata teatro la nostra società negli ultimi decenni si ripercuotano sul modo di vivere l’adolescenza e sulle forme che assumono nei ragazzi eventuali funzionamenti perversi.
Sottovalutare questa realtà esporrebbe ad un duplice rischio: da una parte, quello di minimizzare gli effetti che l’ambiente di appartenenza ha sulle forme che assume la simbolizzazione adolescenziale, fraintendendo come patologiche forme di espressione che rappresentano piuttosto fenomeni di moda, espressione della appartenenza al gruppo dei coetanei; dall’altro, quello di banalizzare le difficoltà che gli adolescenti presentano, ritenendole solo un segno dei tempi, e misconoscendone il senso di comunicazione di un profondo disagio interno.
Non interrogarci su questo ci espone al rischio di lasciare senza cure tempestive adolescenti le cui difficoltà personali si mimetizzano nella difficoltà generale di desiderare e di impegnarsi in relazioni caratterizzate da interdipendenza profonda.

 

DB:La  sessualità anche quando si pratica con una persona dello stesso sesso è sempre un incontro con l’Altro.  Un reale incontro con ciò che è diverso e nuovo, presente per definizione nell’Altro, può fare paura a tutte le età ma nell’adolescenza fa più paura. D’altra parte il confronto con il nuovo è necessario perché vi sia un processo evolutivo. Le nuove tecnologie e l’illusione che offrono, ad esempio di poter conoscere l’altro senza che ci sia un incontro, o all’opposto di essere sempre “connessi” possono contribuire a creare delle pseudo relazioni, una specie di rispecchiamento statico con conseguente impoverimento delle potenzialità evolutive?

IR:La capacità di tollerare l’alterità nasce nella relazione primaria, nella traccia inconscia lasciata dalla madre come presenza capace sia di trasformare uno stato di disagio in uno stato di benessere, sia di aiutare il bambino a contenere uno stato di disagio, dando ad esso un nome e un senso che lo rendano più tollerabile. I fallimenti o le carenze insite nelle relazioni madre – bambino influenzano profondamente la dotazione narcisistica di base e, con essa, il bagaglio con cui il bambino giunge all’adolescenza.
A sua volta, il processo adolescenziale cimenta tanto più le basi narcisistiche quanto più labili sono le rappresentazioni di sé e dell’oggetto che si sono formate durante l’infanzia, e accentua negli adolescenti più fragili sia la dipendenza dall’oggetto che l’impossibilità di tollerarla: infatti, quanto più le basi narcisistiche sono instabili , tanto maggiore è la fame di oggetti esterni per rassicurarsi;  tuttavia, maggiore è il bisogno di dipendere da un oggetto esterno,  più intollerabile risulta la dipendenza, avvertita come minaccia per un’identità fragile.
Le trasformazioni che hanno caratterizzato, negli ultimi decenni, la nostra società occidentale – e specificamente i cambiamenti che si sono verificati nell’allevamento dei bambini (l’accrescimento del numero dei caregivers e il conseguente drastico ridimensionamento della fondamentale funzione della costanza dell’oggetto) –  hanno contribuito a determinare una  diffusa diffidenza verso le relazioni di dipendenza.
Una cultura come quella odierna, improntata all’effimero, al consumo rapido e all’intercambiabilità, sostiene la ricerca di sensazioni fine a se stesse, e contribuisce alla scissione tra sensorialità e sessualità e alla frammentazione della vita amorosa.  Ciò ha contribuito al diffondersi, in adolescenza e non solo, di patologie del vuoto e di “nuove dipendenze” (dalla rete, dal sesso, dal gioco d’azzardo, etc.). In esse, le esigenze di controllo diventano prioritarie, l’oggetto non può essere desiderato, sognato o incontrato, ma deve essere consumato compulsivamente e/o usato come feticcio nella costruzione di un’immagine illusoria di sé.
Le nuove tecnologie non sono a mio parere la causa di questi complessi fenomeni, che hanno tuttavia in parte favorito; certamente il loro potere ipnotico può essere fonte di pericolosa dipendenza soprattutto per gli adolescenti più giovani e/o più immaturi, che non siano contenuti da un ambiente capace di porre limiti protettivi, e sostenere situazioni di ritiro o di evitamento delle relazioni in carne e ossa che sottraggono all’adolescente esperienze preziose per la crescita emozionale.

 

DB:La definizione di perversione è controversa e necessita di approfondimento, soprattutto in relazione alle nuove forme di sofferenza giovanile. Kernberg, ad esempio, parla di “perversità” ed estende il concetto a tutti i modelli relazionali che abbiano caratteristiche equivalenti a quelli delle perversioni sessuali. Come si colloca la perversione da un punto di vista diagnostico, rispetto alle grandi categorizzazioni, ad esempio di Nevrosi e Psicosi? Si tratta di una modalità di funzionamento della mente trasversale a diverse patologie o è una categoria diagnostica specifica ?

IR:Negli ultimi decenni, la concettualizzazione della perversione come patologia sostanzialmente sessuale e intrapsichica si è tendenzialmente spostata verso una concezione della perversione come patologia eminentemente relazionale, che coinvolge la realtà sia interna che esterna. Questo ha ridotto il ruolo della fissazione al piacere pregenitale e la centralità dell’angoscia di castrazione a favore di una crescente valorizzazione dell’importanza dell’affettività e delle angosce di perdita di sé. L’area del reale e il trauma sono emersi in primo piano come elementi determinanti.
Con altri colleghi, ritengo fondamentale la distinzione tra organizzazione perversa, intesa come sistema complesso di organizzazione delle difese, e difesa perversa, definita come funzionamento mentale che trova posto in diverse organizzazioni psichiche, nevrotiche, borderline, e psicotiche. Considero specifico nella perversione l’intreccio di erotizzazione e distruttività, e penso che l’erotizzazione possa avere lo scopo di difendersi da un eccesso di distruttività interna e/o di vitalizzare esperienze mortifere e aree interne devitalizzate; caratteristico della perversione è inoltre il meccanismo di misconoscimento, che struttura la confusione perversa, che può essere intesa come specifica modalità sfumata e indefinita di entrare in rapporto con la realtà. Credo che il cuore della perversione risieda nella desoggettivizzazione dell’altro: nel funzionamento perverso, ciò che sostanzialmente viene misconosciuto non è la realtà dell’esistenza dell’oggetto, bensì le sue caratteristiche soggettive di alterità, autonomia, vitalità propria.

 

DB:Racamier ha sottolineato la distinzione tra incestuale e incestuoso. L’area dell’incestuale, legato a problematiche narcisistiche, a volte sembra prevalere nel rapporto tra genitori e figli, andando così ad ostacolare lo sviluppo e il superamento di un desiderio incestuoso. Che relazione ha questo, secondo te, con le perversioni adolescenziali?

IR:Carenze nelle relazioni primarie comportano fallimenti nella formazione di un Sé separato e coeso ed interferiscono con la possibilità di legare la distruttività e di integrarla adeguatamente. La pulsionalità primaria, polimorfica e caratterizzata da indeterminatezza e crudezza, rimane fluttuante, con un potenziale impatto disorganizzante, interferendo con la possibilità di accedere all’Edipo e   superarlo.
Può così accadere che, in adolescenza, la genitalità venga invasa dalla pulsionalità infantile, dall’attaccamento all’oggetto primario da cui l’adolescente vorrebbe ma teme di separarsi, con la conseguenza che l’attaccamento all’oggetto originario incestuale (narcisistico) interferisce con il normale investimento dell’oggetto edipico.
Ne vediamo gli esiti nella prevalenza della tendenza alla scarica sulla attività rappresentativa, e in condotte eccitate anomale che si ripetono senza poter produrre un reale soddisfacimento.

 

DB:E’ noto il rapporto tra la presenza di un trauma precoce di abuso sessuale e le successive condotte perverse (ad esempio di tipo pedofilo) da parte di quello che fu un bambino abusato. Secondo te una eziologia traumatica, anche meno specifica, è sempre rintracciabile nelle condotte perverse?

IR:Molti colleghi condividono oggi l’idea che l’origine della perversione vada ricercata specificamente in quella fase dello sviluppo in cui il lattante gradualmente passa dalla totale inconsapevolezza dell’essere separato alla iniziale emergenza dell’esperienza del distacco, fase nella quale carenze per eccesso o per difetto nella relazione madre-bambino (iper o ipo stimolazione) possono porre le basi per una diffidenza nei confronti dell’oggetto che può giungere fino al ritiro, e produrre per converso nel bambino una dipendenza patologica dalle stimolazioni corporee, con la quale cerca di tenersi insieme e di riparare il danno.  Concorrono alla genesi della perversione altri fattori ambientali e relazionali: l’investimento narcisistico inadeguato del bambino, l’idolizzazione materna, il deficit della funzione paterna.

Vedi anche:

Convegno Nazionale Bambini Adolescenti. Bologna 22-23/11/2019

 

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