Parole chiave: Sviluppo; corpo-mente; mente adolescente; nuove patologie; modelli teorico-clinici
Ai confini di nuove realtà: trasformazioni dei modelli teorico-clinici nel lavoro con bambini e adolescenti
Report dell’ottavo Convegno Nazionale SPI, area bambini-adolescenti, 22-23 Novembre 2025
A cura di Cristiana Balzano
Il 22 e 23 Novembre scorsi, si è tenuto a Milano l’ottavo Convegno Nazionale della Società Psicoanalitica Italiana dedicato al lavoro con bambini e adolescenti.
Dopo l’apertura dei lavori affidata al Presidente della Spi, Ronny Jaffé, la prima sessione plenaria, coordinata da Massimo Vigna Taglianti, è stata dedicata al tema dello sviluppo della mente con la relazione principale presentata da Amedeo Falci e discussa da Ludovica Grassi e Marco La Scala.
Partendo dall’idea dell’imprescindibile centralità dell’infanzia e del suo sviluppo in ogni discorso psicoanalitico, Amedeo Falci ha incentrato la sua relazione sul sistema integrato bambino-gravidanza-madre-ambiente e sul corpomente esteso. Molti i punti trattati da Falci nell’intento di proporre mediazioni tra il linguaggio psicoanalitico e le acquisizioni e gli aggiornamenti delle altre scienze che studiano lo sviluppo della mente. A cominciare dalla definizione del campo semantico dei termini mente e psiche, con l’opzione dichiarata per mente, considerato termine centrale in un ampio orizzonte di discipline e dunque in grado di favorire il confronto e la cross fertilization tra psicoanalisi e discipline limitrofe. Su questa scia, Falci riprende anche la distinzione terminologica e concettuale tra primitivo e precoce, definendo ulteriormente come primitivo attenga a un campo semantico di matrice freudiana relativo a uno stadio evolutivo originario pre-oggettuale, informe e indifferenziato che trova un analogo nel modello dell’onnipotenza psichica dei primitivi; mentre precoce si riferisce a fasi anticipatorie, ma anch’esse strutturate e altamente organizzate, di processi evolutivi. Per Falci, le conoscenze attuali sullo sviluppo precoce del corpomente, richiedono un cambio di prospettiva: il neonato non è un primitivo chiuso e isolato in un bozzolo , si rivela invece strutturato e piuttosto organizzato a livello senso motorio sin dalla vita intrauterina e madre-feto, e poi neonato, non vanno visti come elementi indipendenti che si connettono, ma come parti di un sistema complesso, risultato di migliaia di anni di perfezionamenti evoluzionistici in cui feti, gravidanze e ambienti umani sono co-evoluti insieme.

Descrivendo i dispositivi che preparano l’infans all’interazione precoce con il caregiver, Falci evidenzia a più riprese come si tratti di dispositivi procedurali inconsci predisposti già alla nascita per la regolazione emotiva tra bambino e ambiente umano. L’enfasi del discorso cade sulla logica di sistema che supera in un certo senso la logica relazionale: non c’è un bambino, o una madre, che inizi l’interazione perché entrambi condividono un sistema di comunicazione per cui sono co-adattati e la reciproca responsività visuo-facciale, motoria ed emozionale , risulta basata su schemi spaziali e visivi innati che permettono a ciascun partner di intercettare l’intenzionalità dell’altro ed anticipare la sequenza delle azioni dell’altra persona in relazione alle proprie. Questi schemi matureranno poi come forme più simboliche di rappresentazione di sé e dell’oggetto.
A conclusione della sua articolata relazione, Falci propone un confronto tra i dati di ricerca che depongono per una proto-intenzionalità del feto -che vede una programmazione degli atti corporei precodificata prima ancora delle esperienze della realtà, in una progressiva integrazione tra sensorialità, motricità ed esplorazione dell’ambiente gravidico- ed alcuni assunti tratti da modelli evolutivi psicoanalitici, come l’early ego di matrice kleiniana o i processi d’integrazione precoce di cui parla Winnicott, e ribadisce l’opportunità di leggere l’evolversi del bambino nel suo ecosistema di accudimento biologico, umano e culturale, secondo una logica della complessità per cui ‘anche in psicoanalisi sarebbe necessaria un’apertura verso l’intreccio delle molteplici parti interagenti dei fenomeni , con un dialogo tra diverse discipline’.
Il punto focale è il considerare come le prime esperienze senso motorie ed emozionali, entro il sistema feto-materno-ambientale, siano già esse stesse forme di organizzazioni mentali precoci che grazie alla continuità dell’accudimento evolveranno tramite l’esperienza transizionale sviluppando il passaggio verso la simbolizzazione.
Tramite l’holding e l’handling, nella cornice di continuità dell’interazione, la madre favorirà la coesione senso motoria ed emozionale del neonato, selezionando e accentuando come significative certe interazioni rispetto al flusso continuo di esse. L’enfasi è sulla presenza e sulla continuità dell’interazione che la madre nello stato di preoccupazione primaria offre al bambino, restando vigile e attenta per intercettare le sue comunicazioni proto intenzionali ed emozionali.
Nel discutere la relazione di Falci, Ludovica Grassi ha sottolineato come il pensiero psicoanalitico si sia nutrito della psicoanalisi infantile e come quindi gli aggiornamenti sullo sviluppo mentale di cui parla Falci non siano soltanto un passaggio conoscitivo ineludibile, ma qualcosa di cui valutare l’impatto da un punto di vista teorico e clinico con pazienti di ogni età. Condividendo l’assetto fortemente monista proposto da Falci per cui il mentale è intrinsecamente insediato nel corpo, anzi è corpo, Grassi si sofferma sul feto ritmico dotato di una sua proto intenzionalità che reagisce agli stimoli sensoriali ed esplora lo spazio che abita, considerandolo un proto soggetto le cui molteplici attività non si possono classificare come pattern non appresi, ma iscritti nella programmazione degli atti corporei. Per Grassi la costruzione di memorie e la presenza di tracce sensoriali sembrano invece escludere un’attività totalmente programmata, descrivendo un soggetto unico non solo per dotazione genetica ma anche e soprattutto per le specifiche esperienze accumulate e processate.
Anche per Grassi è fondamentale considerare che l’ambiente del feto è l’utero, la placenta, il liquido amniotico e il processo stesso della gravidanza, ma spostandosi sulla questione delle interconnessioni tra feto e madre, il suo punto di vista valorizza molto l’influenza che il sentire e il funzionamento psicofisico materno hanno sul feto sotto il profilo qualitativo, incluse le sfumature anche impercettibili di tocco, di tono, di movimento, di suono, ritmo e timbro. In questa prospettiva la musica, il suono e il ritmo impregnati di emozione hanno un ruolo centrale nelle interconnessioni madre-feto e nella costruzione di tracce mnestiche o proto rappresentazionali nello sviluppo della relazionalità del feto e del neonato. Per Grassi non vi è una netta opposizione tra continuità dell’interazione di accudimento e capacità del bambino di tollerare l’assenza dell’oggetto: anche holding ed handling sono funzioni ritmiche che possono affievolirsi o venire meno come ad esempio avviene per il suono della voce materna per il feto prima e il neonato poi. Valorizzando nella sua discussione la funzione della musica a cui è legata anche la capacità di turn taking – in cui sono proprio le pause, le attese e le riprese , anche in termini di millisecondi a regolare e significare la comunicazione di base feto-bambino e ambiente umano- Grassi arriva a chiedersi perché questa capacità di turn taking che è regolazione intercorporea e intersoggettiva, inconscia procedurale, sia una competenza non appresa, emergente precocemente dalla stessa organizzazione mentale, e non possa essere appresa entro la relazione primaria nell‘ambito di un’organizzazione spazio temporale idiosincratica.
Marco La scala ha discusso la relazione di Falci partendo dalla distinzione terminologica tra primitivo e precoce a cui ha aggiunto il termine primario così centrale nell’impianto freudiano (narcisismo primario, masochismo erogeno primario; rimozione primaria, scena primaria etc). Ha ricordato che primario indica una nuova azione psichica e il termine ‘nuovo’ indica una tappa nella nascita della mente. Inoltre primario non è precoce perché il primario ha il potere, grazie all’inconscio, di manifestarsi in qualunque epoca. La Scala cita i processi di simbolizzazione primaria e secondaria, descritti da Roussillon, ricordando come la simbolizzazione primaria avvenga in presenza della madre e si fondi sugli elementi percettivi e motori e sull’investimento per svolgere il lavoro della messa in forma percettiva e rendere legabile e simbolizzabile la cosa psichica interna. La successiva simbolizzazione secondaria si fonda invece sul tripode: assenza percettiva, sospensione della motricità e lutto.
Il punto di discussione che La Scala introduce riguarda l’interazione in co-presenza tra analista e paziente, che introduce la dimensione complessa in cui è avvenuta l’interazione e sintonizzazione nel rispecchiamento madre-infans: un reale che in seduta si fa presente con il suo potenziale vivificante il simbolico e che riguarda tutti i sensi, l’acustico, il tattile, il visivo, l’olfattivo. Quando l’analista è coinvolto nel farsi della funzione simbolica- e cioè in quelle situazioni in cui la madre, pur presente, non era stato in grado di favorire il passaggio al registro simbolico- come può favorire la trasformazione di elementi grezzi e corporei in elementi rappresentabili in cui il trovato sensoriale-percettivo motorio si integri con quanto viene concepito e in qualche modo creato?
Il forte riferimento all’area dell’illusione postulata da Winnicott e alle sue perturbazioni, rimandano nel discorso di La Scala a una postura dell’analista, volta a fornire un rispecchiamento che favorisca poi una interiorizzazione della capacità riflessiva, quell’auto riflessione di sé che si trova alla base del processo e della formazione dell’Io.
I lavori del convegno sono proseguiti nel pomeriggio della prima giornata attraverso i panels che hanno affrontato temi di enorme rilevanza per la psicoanalisi contemporanea, tutti inerenti l’area di confine continuamente mobilizzata nel mutuo influenzarsi di teoria e clinica, come si evince dai titoli: ‘ Famiglie in trasformazione’ , ‘ Bambini seriamente problematici e lavoro congiunto con i genitori’, ‘ Varianze di genere’, ‘ Complesso fraterno’, ‘Sogni adolescenti’ ed infine ‘ Tempo, spazio e corpo nell’era del digitale’.
La seconda giornata del convegno è stata dedicata all’adolescenza: trasformazioni della mente in un corpo e in un mondo che cambia. La relazione principale della sessione plenaria, coordinata da Paola Vizziello, è stata affidata ad Irene Ruggiero, cheha affrontato la delicata e complessa questione dell’incongruenza di genere in adolescenza. Per Ruggiero queste nuove realtà cliniche richiedono una riorganizzazione concettuale che consenta di accogliere ciò che eccede i modelli di comprensione tradizionali, aprendo alla possibilità di nuovi modi di pensare e di rappresentare la sofferenza psichica. Il lavoro di Ruggiero ha evidenziato come l ‘incontro con l’adolescente transgender rappresenti una sfida concettuale per l’analista e lo cimenti nel suo legame fondante con costrutti a lungo sentiti come strumenti accreditati per leggere la clinica. Gli interrogativi che Ruggiero apre e rilancia sono di enorme rilevanza: se Natura e Cultura s’intrecciano nel determinare l’organizzazione della sessualità e se il genere è culturalmente prescritto, è ancora valida l’affermazione di Freud che l’Io è soprattutto un Io corporeo e che l’anatomia è un destino? Possiamo pensare ancora all’Edipo come a un organizzatore?
E’ ancora vero che l’adolescenza sia un processo che porta all’acquisizione della sessualità adulta e coincide con il riconoscimento della differenza tra i sessi e di quella tra generazioni con l’accettazione definitiva di essere maschio o femmina (Laufer, 1984)?
Interrogativi, questi, in parte ripresi e sviluppati dai successivi contributi alla tavola rotonda a cui hanno partecipato Laura Colombi, Anna Nicolò e Patrizia Paiola.
Laura Colombi si è soffermata su alcune caratteristiche dell’attuale funzionamento sociale e le loro ricadute sulla clinica dell’età evolutiva. Citando il presentismo (Hartog, 2022) e la cultura dell’immediatezza ( Stahel, 2019), Colombi sviluppa un discorso sulla compressione dello spazio-tempo necessario ai processi intrinseci allo sviluppo e al lavoro psichico. Considerando, dunque, che lo spazio-tempo che si crea tra presenza e assenza è la culla delle funzioni simboliche e delle possibilità rappresentative, il trauma inferto all’esperienza illusionale-transizionale nelle nuove coordinate sociali e culturali, conduce al collasso della dimensione creativa della fantasia in direzione di un suo uso antirelazionale e solipsistico che si pone come fattore di rischio evolutivo.
Anche Anna Nicolò ha proposto una riflessione sul funzionamento della mente adolescente alla luce dei cambiamenti imposti dalla cultura e dalla società contemporanea soffermandosi su due punti: la ristrutturazione dell’identità e l’organizzazione dello spazio interno. Citando l’idea dell’identità rizomatica ( Deleuze e Guattari, 1976) che si costruisce orizzontalmente in riferimento al vicino, al socius, all’ambiente, Nicolò riflette sulla funzione della rete e dei social per il nuovo adolescente : un luogo in cui sperimentare identità multiple, eterogenee; un luogo in cui aspettarsi risposte in una trama di legami passeggeri, superficiali e dove l’adolescente incontra l’assenza del senso del limite e le infinite possibilità dell’immaginario per cui la sfida del limite- tipica di questa fase evolutiva- perde le sue qualità strutturanti. Rilevante diviene il concetto di identità estetica che travalica lo specifico dell’adolescenza per divenire un aspetto emergente della clinica contemporanea: un’identità costruita sull’involucro esterno e quindi sull’immagine che abbiamo e diamo di noi stessi e quella che l’Altro ci rimanda. In concordanza con quanto espresso da Colombi, Nicolò descrive le minacce di un funzionamento gruppale dominato dalla dimensione concreta e obliterato dalle immagini del web, soprattutto in relazione all’impoverimento della fantasia, depauperata ed espropriata perché la realtà ha perso la sua funzione di riscontro e delimitazione. A proposito delle nostre categorie concettuali e dei nostri strumenti di lavoro come psicoanalisti di adolescenti, Nicolò si chiede quale possa essere oggi il posto della fantasia masturbatoria centrale nei termini in cui i Laufer ( 1984) la pensavano e cioè una fantasia che permetta di sperimentare ‘ pensieri, sensazioni o soddisfacimenti’ indagando quali siano accettabili dal Super-Io e quali invece non possano far parte dell’immagine che l’individuo ha di sé come maschio o femmina , sessualmente maturo. Viene citata l’apertura concettuale di Leticia Glover Fiorini (2017) che a proposito della differenza che fonda l’identità, scrive che essa non debba necessariamente basarsi sul binarismo sessuale e che possiamo far ricorso ad altri modi di differenziarci. Problematizzando questo punto di vista, Nicolò sottolinea che non possiamo dimenticare che il corpo in cui si insedia la psiche, è la prima realtà e le vicende dell’integrazione primaria influenzano e curvano il passaggio adolescenziale, reso oggi particolarmente accidentato per un funzionamento concreto gruppale invalso che riduce, assottiglia o addirittura evacua all’esterno lo spazio del mondo interno. Queste nuove patologie dell’internalizzazione costituiscono una sfida per l’analista che è portato a cambiare, prima di tutto a un livello tecnico, per potersi avvicinare a un paziente adolescente che spesso non accetta o addirittura non comprende le nostre interpretazioni e che necessita di una presenza viva che lo faccia incuriosire dell’inconscio e lo faccia innamorare della possibilità di pensare.
In conclusione di giornata Patrizia Paiola ha sviluppato una riflessione interrogandosi su quali possano essere le conseguenze del mutamento delle cure primarie, che si sta verificando tumultuosamente nell’infanzia dove holding, handling ed object presenting possono prendere contorni e forme assai diversi rispetto al passato. Questo mutamento -si chiede Paiola- ha punti di corrispondenza con ciò che incontriamo nella clinica degli adolescenti oggi e cioè forme di vulnerabilità in cui il distacco – distacco dalle proprie emozioni e dal proprio corpo vissuto come estraneo interno oppure collocato ‘al limite’- viene espresso in forme diverse, non più come sinonimo di separazione ma piuttosto di scissione o dissociazione?
Molti i punti di raccordo e risonanza con i lavori di Colombi e Nicolò, soprattutto nel riflettere sull’impossibilità per l’adolescente contemporaneo di affidarsi a un nuovo oggetto che viene esonerato o protetto – ‘sprecato’- e non ‘usato’ per rifondare creativamente il senso di sé.
Nel suo contributo Paiola cita Eugenio Gaddini che per primo ha parlato del cambiamento dei nostri pazienti analitici inevitabilmente intrecciato col cambiamento tecnico e teorico degli analisti. Dopo le riflessioni conclusive di Laura Masina, l’idea del cambiamento catastrofico che come psicoanalisti ci troviamo ad affrontare immersi in linguaggi nuovi e relativamente enigmatici, è stata ripresa nell’intervento conclusivo del Presidente della Spi, Ronny Jaffè, che ha sottolineato come essa costituisca l’asse portante di una ampia riflessione avviata entro la Società Psicoanalitica Italiana sulle trasformazioni in atto dei modelli teorico-clinici psicoanalitici. Piace pensare che il pensiero gruppale messo in moto nel corso di questo Convegno Nazionale possa ulteriormente espandersi e definirsi nell’ambito del XXII Congresso Nazionale della Spi che si terrà a Genova dal 21 al 24 Maggio 2026 e che avrà per tema ‘ La cura psicoanalitica contemporanea. Se e come sono cambiati gli analisti e i pazienti’.