Cultura e Società

Le nostre anime di notte di K. Haruf. Recensione di R. Valdrè

26/04/17
Le nostre anime di notte di K. Haruf

Le nostre anime di notte di K. Haruf

Le nostre anime di notte
Di Kent Haruf

NNEditore, 2017
A cura di Rossella Valdré

L’ultimo breve romanzo del grande scrittore americano Kent Haruf, recentemente scomparso, che ci aveva abituati all’epica Trilogia che lo rese noto universalmente (Benedizione – Canto della pianura e Crepuscolo) mantiene e persino radicalizza lo stile rarefatto e minimo, ma circoscrive il suo scavo nell’umano a due soli personaggi, Addie e Louis, in una dolente, tenera e intima storia sulla vecchiaia, l’amore, la solitudine.

L’eternità del desiderio che deve cedere, umiliato, alla miseria del corpo ormai incapace di rispondere; l’insopportabilità della solitudine dei vecchi (il narratore li chiama col loro nome, vecchi, e non anziani); l’ottusità invidiosa dell’ambiente e dei figli quando si è avuto un legame difficile, sono i temi che Haruf indaga in questa breve e apparentemente lieve storia che vola via in un soffio di lettura, ma non lascia il lettore senza emozione.

Due anziani vedovi, entrambi ex insegnanti, nell’immaginario paesino di Holt, nel Colorado, decidono ad un certo punto di rompere le loro solitudini notturne iniziando a farsi compagnia la notte: Louis andrà ogni sera da Addie, si stenderà silenzioso al suo fianco, e lentamente cominceranno a disvelarsi, a conoscersi davvero, fuori dagli schemi precedenti del vivere comune di quando erano giovani, le loro notti saranno popolate di parole. Parole. Ciò che dà senso al vivere, la notte dell’esistenza – la vecchiaia – non sarà più vuota.

Il rapporto cresce, si anima, la coppia si incontra di giorno, porta fuori il nipotino di lei, vivono la stagione più bella della loro vita, un’amicizia amorosa giocosa e feconda, libera da impegni e progetti, profondamente amorevole e rispettosa, ma tanto bene suscita malevolenza, tanto bene è intollerabile a chi non lo possiede. Nessun tesoro come l’amore è invidiato da chi non lo possiede, e sia la piccola comunità sia il figlio di Addie le impongono di non vedersi più, pena l’abbandonarla quando non sarà più autosufficiente.

I vecchi sono fragili, sono ricattabili, le loro umiliazioni sono infinite: del corpo, dello spirito, del libero arbitrio. Il distacco è lacerante, la prosa di Haruf si nutre di poche parole:

“…Alle due del mattino Louis si alzò e andò in bagno. Quando tornò a letto disse, Sei ancora sveglia.

Non riesco a dormire.

Alle quattro si alzò di nuovo, si vestì e mise pigiama e spazzolino nel sacchetto di carta.

Vai via?

Pensavo di sì.

Per un po’ è ancora notte.

Non vedo perché rimandare.

Lei riprese a piangere.”

Ad un narratore poetico come Haruf non importano gli slogan di un mondo apparentemente pieno di diritti: ai vecchi non è concesso il desiderio, la pienezza della gioia, il puro divertimento; essi restano anime notturne, destinate ai rimpianti e all’esser soli, e possono cercarsi solo nell’ombra.

Dal libro sarà tratto un film, che dal cast pare sicuramente all’altezza di tali sfumature, con Robert Redford e Jane Fonda.

Rossella Valdré

Aprile 2017

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