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“The Sound of the Unconscious: Psychoanalysis as Music” di L. Grassi. Recensione di M. Grignani

11/07/22
The Sound of the Unconscious

The Sound of the Unconscious

The Sound of the Unconscious: Psychoanalysis as Music

di  Ludovica Grassi

(Taylor & Francis Ltd, 2021)

L’inconscio sonoro: Psicoanalisi in musica 

di Ludovica Grassi

(Franco Angeli, ed. 2022)

Recensione a cura di Marco Grignani

Mi tolgo le cuffie e ascolto il silenzio. Il silenzio è una cosa che si ascolta. Lo scopro per la prima volta

Murakami Haruki, Kafka sulla spiaggia

Il libro di Ludovica Grassi è veramente bello. E’ interessante, emozionante e complesso. La sua bellezza è intessuta di molti diversi fili, ma preferisco individuarne essenzialmente due: la passione  dell’autrice per la psicoanalisi e quella per la musica. Queste due caratteristiche, del libro, ma anche personali, si rincorrono e si intrecciano riproponendosi costantemente, sia sul piano emotivo del lettore, sia su quello della conoscenza e dell’informazione consapevole di una serie, decisamente incomparabile, di dati di letteratura.

 Da Freud in poi, il mondo dell’arte è stato sempre visitato dagli psicoanalisti in modo diretto o indiretto ed è sempre stato un polo di confronto, di ispirazione e di conoscenza, anche se spesso in contrasto con le scoperte dirette della nostra materia. Il famoso testo Caducità (Freud, S. 1916)  ci dà un’ immagine del rapporto tra psicoanalisi e opera d’arte:

non riuscivo a vedere come la bellezza e la perfezione dell’opera d’arte e della creazione intellettuale dovessero essere svilite dalla loro limitazione temporale. […] Doveva essere stata la ribellione psichica contro il lutto a svilire ai loro occhi il godimento del bello […] e poiché l’animo umano rifugge istintivamente da tutto ciò che è doloroso, essi avvertivano nel loro godimento del bello l’interferenza perturbatrice del pensiero della caducità.

L’autrice riprenderà spesso questa concezione e la svilupperà in modo originale attraverso l’idea del lavoro del lutto evocato dalle pause e dal silenzio e propone da subito un’estensione del modello teorico, proprio a partire da un’incompetenza dichiarata di Freud quando parla della sua atrofia della sensibilità acustica.

Per entrare nel vivo dei contenuti è però necessaria una struttura descrittiva dell’organizzazione del testo, perché la varietà degli argomenti e la densità delle argomentazioni non creino nei lettori, anche di questa recensione, momenti di disorientamento e confusione.

Dopo un primo capitolo e l’introduzione che enunciano, in breve, le tesi complessive del libro, questo si sviluppa attraverso una serie di tematiche in cui l’aspetto musicale e quello psicoanalitico vanno di pari passo. E’ la modalità originale di questo cammino assieme che va sottolineata, perché nel corso dell’opera diventerà da un lato filo conduttore della ricerca teorica, dall’altro, indicazione operativa così pregnante da costituire una necessaria conoscenza per tutti gli psicoanalisti; il concetto di base è che la musica e la psicoanalisi non sono unite su di un piano metaforico, ma la musica è fondamento reale del pensiero psicoanalitico. In una frase  molto condensata, ma efficacissima si ritrova il senso di quanto affermiamo:

ciò che è necessario, va sottolineato, è andare oltre l’applicazione della psicoanalisi alla musica per realizzare una psicoanalisi musicalmente informata (p. 20).

Questa concezione parte da un’idea primigenia della musica che appare nello sviluppo umano – antropologico e biologico- prima di tutto e si costituisce nei ritmi di base dell’organismo:

Il ritmo, inteso come un succedersi ordinato di suono e silenzio, o di suoni diversi, in una ripetitività solo in parte prevedibile, potrebbe costituire la radice stessa della psiche come apparato funzionante attraverso processi temporali[…[ un microspazio di assenza, la particella originaria di vuoto che viene occupata dall’attesa della ripetizione (p. 35).

Sul ritmo si sofferma a lungo e riprende in più punti la teorizzazione, perché appare come fenomeno fondante dello sviluppo mentale, ed anche foriero di evoluzioni psicopatologiche quando ne avvengano interruzioni. Ciò consente alla musica di poter essere considerata come:

significante formale (D. Anzieu 1987), con il quale è definita una forma preliminare di strutturazione psichica, un “fattore pre-cognitivo”, al confine corpo-mente (p.28).

il secondo capitolo entra nel vivo della tesi enunciata e sviluppa altri concetti. Ritmo, suono, ascolto prendono forma nell’esposizione del caso di Cosimo, in cui è evidente la necessità per l’analista di inserire costantemente, nella dinamica transfert-controtransfert, aspetti “musicali”: le assenze, gli allontanamenti, l’uso della voce, del riempimento dello spazio e del tempo della seduta configurano il nuovo modo di accedere al significato e alla relazione che non è più solo verbale, ma caratterizzato da elementi più primordiali coglibili solo in aprés coup.

Nei capitoli successivi compaiono, sempre più chiare, le implicazioni teoriche, i riferimenti e le conseguenze cliniche del pensiero della Grassi. Laplanche, Aulagnier, Green, Winnicott e Ogden divengono ispiratori di un pensiero creativo che si snoda lungo le linee dello studio dell’inconscio non rimosso, dell’originario, del pittogramma, in modo originale e personale. Si apprende così, ad esempio, che Bach trascrisse nove concerti di Vivaldi, ma che queste trascrizioni aggiungono creatività e immaginazione al testo originario. Anche le sue opere furono trascritte ed ispirarono altre, come documentato anche dalle partiture pubblicate in modo dimostrativo di questa tesi, secondo cui ripetere ed imitare può significare anche creare. La competenza musicologica si esprime chiaramente nell’analisi delle variazioni Goldberg, che ci porta a riflettere sul senso profondo della ripetizione. Attraverso la musica si comprendono distinzioni non banali tra la ripetizione, la coazione a ripetere e la compulsione di ripetizione. Da qui, tramite una riflessione sulla pulsione di morte si arriva a riflettere su come quest’ultima possa essere messa a servizio della pulsione vitale, come nella teorizzazione della Zaltzman sulla pulsione anarchica:

Inoltre la funzione slegante che caratterizza la pulsione di morte può diventare un fattore critico per sciogliere condizioni di fusione duale mortifera, producendo nuovi legami disponibili a investimenti inediti. Secondo Natalie Zaltzman (1979), la irrappresentabilità della pulsione di morte può trasformarsi in una rappresentabilità borderline, nel senso di ripetere allo scopo di elaborare, così un’attitudine più vitale e ribelle: sarà questa pulsione anarchica a intervenire, in condizioni estreme, per sostenere la vita (p.67).

Emerge così l’idea che la musica rappresenti l’invariante della relazione madre bambino grazie alla quale, seguendo la teoria di Bion della trasformazione in O, si giunge alla costruzione simbolica.

 La musica si colloca così al livello dell’originario e costituisce un’esperienza che consente la nascita della temporalità attraverso la discontinuità; è l’idea del lutto e del lavoro su di esso che si fa avanti in modo prepotente in questo capitolo e che segna un’ulteriore evoluzione teorica della declinazione del rapporto  tra  musica e psicoanalisi. Seguendo Freud possiamo restare nell’enigmatico:

Il lutto per la perdita di qualcosa che abbiamo amato o ammirato sembra talmente naturale che il profano non esita a dichiararlo ovvio. Per lo psicologo invece il lutto è un grande enigma, uno di quei fenomeni che non si possono spiegare, ma ai quali si riconducono altre cose oscure (Freud, Caducità 1915, p 174); si entra così nell’eccesso pulsionale della relazione madre bambino, nel sexuale di Laplanche (2019) che ci accompagna per tutta la vita e che nello stesso tempo offre la possibilità di un lavoro del negativo. E’ questo che incarna la musica per l’autrice:

Questo disfare e slegare, espressione della pulsione di morte, in musica è affiancato dal lavoro di legame nel tempo, che genera la melodia, e nello spazio, all’origine dell’armonia (p. 82).

E’ tra le note che si deve lavorare, anche in analisi, attraverso un continuo rinvio, tra passato, presente e futuro, tra le note precedenti, il silenzio e le note che verranno, dove il presente silenzio è la forza unificatrice in cui si elabora il lutto della nota precedente e si costruisce la presenza della nota futura, attraverso, appunto, il lavoro del lutto.

La concettualizzazione del tempo è ripresa, attraverso un brillante esempio clinico, nel quinto capitolo, in cui la sequenza, apparentemente lineare, enunciata prima, viene articolata in modo diverso, seguendo il modello di Green delle relazioni reticolari o arborescenti che  in qualche modo superano la sequenzialità temporale. La narrazione delle sedute, comunque avvincente, ci accompagna attraverso presenze e assenze, variazioni di setting, correnti emotive familiari e personali per giungere alla comprensione di dinamiche e significati ed alla modificazione degli assetti personali e familiari. Esse sono incentrate, nella lettura dell’autrice, essenzialmente sullo svolgersi e sul bloccarsi del tempo, sullo svilupparsi del tempo individuale in rapporto al blocco del tempo gruppale. La visione si amplia e la temporalità psicoanalitica, “informata” dalla conoscenza delle temporalità musicali, amplia il quadro di riferimento e di comprensione della condizione della famiglia Z.

Continuando la sua complessa e dotta dissertazione Grassi ci offre uno sguardo sullo sviluppo infantile, suo campo di azione precipuo per tanto tempo, estremamente articolata, spaziando dalla biologia, alla psicoanalisi, ancora alla musica, per sostenere che:

La musica che costituisce il linguaggio più antico, sia dal punto di vista ontologico che filogenetico, va considerata la lingua originaria, una vera e propria UrSprache che, a partire dalle primissime fasi della vita, fonda l’impatto originario con il mondo e l’esperienza psichica fino allo svezzamento musicale che coincide con l’entrata nella parola (p. 106). Sostiene così, ancora una volta, la primazia dell’udito sulla vista, senso bidimensionale, e sugli altri sensi che nella musica vengono comunque ricompresi nell’ascolto globale. Ed ecco, ancora la relazionalità familiare che costituisce il medium sonoro, la sua ”colonna sonora” in cui il bambino è immerso fin da subito. Ancor prima del “lessico familiare” esiste un mormorio familiare, supporto per la costruzione di un involucro psichico sonoro-musicale contenente, protettivo, ma soprattutto comunicativo, che permette la differenziazione fra spazi sonori interni ed esterni (p. 107).

E’ contrapposto al rumore dal quale nasce, ma dal quale si distingue per costituire l’involucro sonoro dal quale emergerà poi la differenziazione, attraverso il gioco relazionale di vocalizzi, ninne nanne, linguaggio materno (motherese), giochi di imitazione e di distanziamento. Torna di nuovo l’idea dello spazio tra i suoni, della distanza che crea la musica attraverso il lavoro del lutto, che nella imitazione e nella ripetizione trova lo spazio per l’altro che si insinua:  se per Busoni l’essenza della musica risiede nella pausa e nella corona, Miles Davis affermò che la vera musica è il silenzio, mentre le note non fanno che incorniciare il silenzio (p. 110).

In questo spazio si propone anche l’illusione, il gioco, il transizionale che si realizza proprio grazie al ”tra” degli spazi e dei silenzi della musica stessa.

Il settimo capitolo è un inno al sonoro e alla musica attraverso un altro racconto clinico, quello della famiglia Nois. Viene rappresentato qui un altro modello utile a comprendere meglio quanto sia necessario prendere in considerazione le sonorità, se si vuole entrare in contatto con gli strati profondi della mente dell’individuo e con le sue gruppalità interne ed esterne: il ruvido involucro, comunque espressivo, la deformazione e la designificazione (Fédida 2009), fino a giungere alla struttura polifonica del discorso familiare dal quale si differenzia una discronia del soggetto, capace di evidenziarsi solo nel gruppo-famiglia. E’ questa una precisa indicazione clinica che l’autrice ci consegna come nuova modalità di accostarsi al lavoro analitico sulle famiglie:

Nel lavoro clinico con le famiglie possiamo dunque giovarci di un ascolto regrediente (e sognante), disposto a lasciarsi impregnare dai rumori inarticolati, dai silenzi e dalle disritmie, e capace di facilitare il dispiegarsi e l’immaginarsi dell’inconscio musicale della famiglia (p.127).

In questo periodo storico non poteva mancare un accenno alla pandemia ed al suo continuo riferimento alla musica per mantenere un tessuto sociale e antropologico; l’ottavo capitolo di questo si occupa.

L’ascolto reciproco e gruppale è divenuto pratica condivisa, dai terrazzi, nelle case permeate dal silenzio e da nuovi suoni, tolti quelli del traffico e della vita quotidiana. Si sono modificati anche i parametri  fondamentali del setting, producendo nuovi assetti e soprattutto modificando la prospettiva complessiva del rapporto paziente analista. Se da una parte, con l’avvento delle sedute a distanza, siamo stati privati dell’ascolto attraverso i sensi più primitivi (gusto, olfatto, cenestesi), anche per ciò che riguarda gli altri, abbiamo patito modificazioni fondamentali. La vista ha subito il rimaneggiamento dell’inquadratura fissa, l’udito ha invece consentito ingressi di altri suoni, reali e familiari, talvolta dissonanti con l’espressione del paziente: quel mormorio familiare di cui si parlava prima è divenuto in alcuni casi molesto ed interferente, impedendo di cogliere derivati inconsci e fantasie. Nei casi seguiti durante il lavoro per la SPI e per il Ministero della Salute ed in quelli portati avanti a distanza nello studio, si sono evidenziate moltissime componenti, alcune potenzialmente dirompenti ed altre invece in continuità con il materiale, ma in tutte queste esperienze: la musica, componente essenziale della vita psichica e del lavoro psichico, si rivela un potente alleato quando due o più psiche s’incontrano e, specificamente, quando si dispiega nella relazione di cura ( p. 137).

Concludendo questo excursus troppo rapido, su un testo di grande valore teorico e clinico dobbiamo comunque sottolineare il difetto che anche Anna Nicolò, nella postfazione esprime: il testo è troppo denso e ricco. La lettura deve essere estremamente attenta perché altrimenti ad ogni frase si rischia di perdere un concetto fondamentale. Abbiamo cercato di enucleare alcuni punti estremamente importanti per un’innovazione della teorizzazione dell’incontro tra discipline, delle teorie specifiche sull’inconscio profondo ed infine per un nuovo modello di pratica clinica, ma questo non è sicuramente sufficiente per descrivere la ricchezza e la complessità dei concetti espressi da Ludovica Grassi e per avere un quadro chiaro e completo delle sue idee è quindi necessario leggere il libro nel suo insieme.

Fédida, P. Umano/Disumano, Borla, Roma, 2009

Freud, S. (1916) Caducità, in Opere, vol. VIII, Boringhieri, Torino, 1976

Laplanche, J. (2014) Sexuale, Mimesis, Milano, 2009

Murakami Haruki, Kafka sulla spiaggia; Einaudi, Torino, 2008

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