Parole chiave: inconscio, psicoanalisi, metodo, filosofia
Discorsi sui metodi e sulla psicoanalisi: una scuola estiva.
Giorgio Mattana (Centro Milanese di Psicoanalisi, S.P.I.)
Fabrizio Palombi (Dipartimento di Studi Umanistici, Università della Calabria)
Dal 12 al 14 settembre 2025 si è tenuta, presso l’Università della Calabria a Rende (Cs), la prima edizione de L’inconscio. Scuola estiva di Filosofia e psicoanalisi. L’iniziativa è stata patrocinata dalla rivista L’inconscio (pubblicazione scientifica ANVUR aree 10 e 11), dal Dipartimento di Studi Umanistici
(DiSU) dell’Ateneo calabrese, dalla Società Psicoanalitica Italiana (SPI) e dall’Ordine degli psicologi della Calabria (OPC).
La scuola si è tenuta nel quadro delle iniziative di formazione promosse dai docenti dell’indirizzo di “Filosofia e Psicoanalisi”, della Laurea magistrale in Scienze Filosofiche dell’Università della Calabria fondato nel 2020, e dagli psicoanalisti del gruppo di studio SPI sul metodo. All’iniziativa hanno partecipato più di 50 iscritti (tra studenti triennali, magistrali, laureati, dottorandi e psicoterapeuti) e 14 relatori (docenti universitari e psicoanalisti) che si sono confrontati nel corso di sedute plenarie,
cineforum e lavoro in piccoli gruppi. I lavori sono stati aperti dai saluti istituzionali di Marco Gatto (DiSU) e di Eleonora Colistra (OPC).
È difficile sintetizzare la grande ricchezza del dibattito di queste tre intense giornate di confronto; quindi non proveremo a formulare un’impossibile sintesi ma, piuttosto, riassumeremo succintamente le
relazioni tenute nel corso della scuola e suggeriremo qualche riflessione finalizzata al rilancio del desiderio di ragionare e discutere intorno alla cultura psicoanalitica nell’Università.
La tradizione razionalista cartesiana ha da sempre declinato il proprio discorso sul metodo al singolare mentre crediamo di potere affermare che gli studiosi e le studiose che hanno animato queste nostre
giornate preferiscano la forma plurale. Nel perimetrare in modo, ovviamente, approssimativo e rapsodico i confini del confronto sviluppatosi in queste giornate ripensiamo qui a un’ambivalenza che
caratterizza la psicoanalisi sin dalla sua fondazione. Ci riferiamo all’oscillazione freudiana tra un’assimilazione della psicoanalisi ai metodi delle altre discipline considerate scientifiche (come, per
esempio, chimica, fisica o biologia) e la rivendicazione di una sua autonomia e specificità epistemologica. Anche tra noi questa oscillazione è presente, seppur con molteplici sfumature, come
dimostrano a titolo d’esempio le nostre diverse posizioni in qualità di direttori scientifici della Scuola.
Infatti, Mattana sottolinea le potenzialità di una maggiore adeguatezza epistemologica della pratica clinica e delle istituzioni psicoanalitiche alla luce delle correnti della filosofia della scienza contemporanee (assai più complesse e aperte alla psicoanalisi di quelle neopositivista e popperiana).
Palombi preferisce, in altro modo, pensare psicoanalisi e scienza come due diversi discorsi (in senso lacaniano) che possano confrontarsi a partire dal reciproco riconoscimento della propria diversità e di
un’impossibile coincidenza.
All’interno di questo vastissimo perimetro potremmo individuare una varietà di aree tematiche che sembrano riprodurre (nel senso migliore) quella dei diversi settori disciplinari nei quali è organizzata la
ricerca filosofica nell’Università italiana. Sottolineiamo questo aspetto perché la questione del metodo è incorniciata nel quadro più particolare di una scuola di filosofia e psicoanalisi organizzata all’interno di un ateneo. È così possibile in modo ovviamente sommario e, soprattutto, senza alcuna pretesa di risolvere le numerose produttive intersezioni del dibattito, organizzare gli interventi che abbiamo
ascoltato in questi tre giorni in un’area clinica, una epistemologica, una estetica, una etica, una storico-filologica e una teoretica.
Partiamo da quella storico-filologica (la più ampia) nella quale potremmo far rientrare gli interventi di Adelaide Fongoni, Riccardo Galiani, Luca Parisoli, Raffaele Perrelli e Davide Radice. Fongoni (DiSU) ha esaminato i termini methodos e mythos come modalità fondamentali di accesso alla verità che attraverso un’originale lettura psicoanalitica si rivelano complementari. Il mythos si configura come espressione dell’inconscio collettivo mentre il methodos diventa il percorso razionale per decifrarlo.
A lungo si è discusso sull’influenza del metodo ermeneutico e di quello filologico sulla pratica psicoanalitica. Perrelli (DiSU), in questa prospettiva, ha evidenziato come il dibattito sul metodo abbia
accompagnato anche la storia ottocentesca e novecentesca degli studi di filologia classica. Infatti, il metodo è stato il simbolo della legittimazione scientifica degli studi letterari che, pur partendo da un assunto generale, si è di volta in volta incarnato in alcuni “metodi” particolari. Tra questi spiccano: il metodo di Lachmann, che ha ridotto gli studi classici alla sola ecdotica, il metodo bibliografico, di cui è
esempio l’esperienza dell’Année philologique, e il metodo della lettura strutturalista del testo antico confluita progressivamente nella dimensione del close reading.
Anche Parisoli (DiSU) ha preso le mosse da una riflessione etimologica e storica evidenziando come la parola latina methodus sia stata usata dai filosofi medievali per tradurre il cuore logico-formale di
Aristotele. Tale prospettiva gli ha consentito di esaminare la riflessione di due autori contemporanei
come Ludwig Wittgenstein e Jacques Lacan. Il primo percorse i sentieri del pensiero logico-formale incorporandoli nella propria speculazione, mentre il secondo permise di comprendere i problemi – euristici – del metodo freudiano e le sue potenzialità relative ai giochi linguistici e alla mitologia.
Gli interventi di Galiani e Radice sono stati due riusciti esempi di una riflessione che prende le mosse dalla filologia freudiana per sfociare in precise considerazioni sul metodo psicoanalitico. Galiani (SPI), riflettendo sul celebre testo freudiano dedicato alla Gradiva, ha segnalato il rilievo che Freud ha
attribuito a una certa condizione di ascolto (prima ancora che di interpretazione) nella definizione dell’essenza del metodo psicoanalitico. Radice (Progetto Ritradurre Freud) si è invece concentrato sul
fondamentale concetto freudiano di Gleichschwebende Aufmerksamkeit proponendo di tradurlo come
“attenzione equi-sospesa”, anziché “attenzione fluttuante””, giustificando tale scelta traduttologica sul piano linguistico e su quello teoretico. La ricognizione dei principali usi dell’aggettivo gleichschwebend
antecedenti a Freud gli ha consentito l’analisi dei passaggi freudiani sull’atteggiamento dell’analista nel setting e l’approfondimento del loro legame con la metapsicologia.
Nell’area epistemologica troviamo gli interventi di Alessandro Bruni, Deborah De Rosa oltre ai nostri, già ricordati all’inizio. Anche Bruni (SPI) ha preso le mosse da alcune considerazioni filologiche sul
methodos per confrontare alcune discipline scientifiche con la psicoanalisi e sottolineare che essa possa considerarsi una spezial wissenschaft. Bruni si concentra soprattutto sulla preoccupazione bioniana relativa alla confusione tra elementi empirici e teorici che caratterizza le teorie psicoanalitiche e che ha prodotto un’inflazione di modelli incapaci di confrontarsi reciprocamente. In questo modo Bruni ha valorizzato l’operazione metateorica di Bion che, partendo da un ristretto numero di modelli e teorizzazioni, intende “distillare” gli “elementi della psicoanalisi”, come concetti caratterizzati da un alto livello di astrazione e generalizzazione.
L’intervento di De Rosa (DiSU) ha proposto una rilettura del metodo di ricerca freudiano attraverso la nozione di abduzione di Peirce cercando di mostrare come la pratica psicoanalitica, fondata su ipotesi
interpretative e sulla loro continua revisione, possa essere intesa come un procedimento di carattere scientifico, capace di coniugare creatività euristica e rigore investigativo.
L’intervento di Luca Lupo (DiSU), che ha aperto i lavori della scuola ricordando le figure degli psicoanalisti Alessandro Garella e Sisto Vecchio (membri del gruppo SPI Unical, recentemente scomparsi), è stato dedicato a un’articolata riflessione sulla “regola fondamentale” del metodo
psicoanalitico posta al confine tra epistemologia ed etica. Il paziente che affronta un’analisi deve impegnarsi con la massima sincerità a comunicare all’analista “tutto quello che gli passa per la mente”.
Tale regola costituisce il fondamento del metodo psicoanalitico distinguendolo da ogni altra forma di intervento terapeutico sulla psiche. La regola fondamentale si configura come un imperativo, un Sollen, che esprime una normatività paradossale. Si tratta, infatti, di una regola paradossale che abolisce ogni
regola e che esige da chi affronta il percorso analitico di tentare una tanto radicale quanto perturbante esperienza della propria libertà
Gli interventi di Loredana Betti (SPI) e Rossella Valdré (SPI) rientrano in un’interessante osmosi tra riflessione estetica e psicoanalitica ottenuta esaminando, da molteplici prospettive, il film Marnie di
Hitchcock. Tra le numerose riflessioni emerse nel dibattito tra le relatrici e il pubblico, nel contesto del cineforum dedicato, hanno suscitato particolare interesse l’esame della funzione del sintomo, nella costruzione dell’identità femminile della protagonista, e quella dell’arroganza guaritrice del
coprotagonista maschile che usurpa il posto dell’analista.
Tutti gli psicoanalisti intervenuti hanno ovviamente dato rilievo alla propria esperienza professionale e, tuttavia, tra questi, Roberta Guarnieri (SPI) ha particolarmente sottolineato l’importanza della dimensione clinica come imprescindibile riferimento per ogni modello teorico. Guarnieri ha, inoltre, attribuito specifica enfasi ad alcuni aspetti del setting, quali libere associazioni e attenzione fluttuante,
come aspetti essenziali del metodo psicoanalitico.
Infine in un’area squisitamente teoretica si colloca la relazione di Claudio D’Aurizio (DiSU) che, sullo sfondo della riflessione filosofica francese contemporanea, ha affrontato il problema della scientificità della psicoanalisi a partire dalla nozione di “concetto”. Infatti, se la specificità della psicoanalisi, rispetto
ad altri saperi, è costituita dall’originalità dei suoi concetti allora la chiave teorica più corretta da adottare sarebbe quella di un’epistemologia storica dei suoi concetti.
Riteniamo che la scuola estiva abbia ribadito l’importanza dell’insegnamento delle teorie psicoanalitiche nell’Università e, in particolare, nei corsi di laurea a carattere umanistico. Per questo, ci sia consentito di completare questo nostro rapsodico resoconto ricordando alcune riflessioni che abbiamo dedicato ai
nostri studenti universitari o comunque ai partecipanti più giovani alla conclusione della scuola.
Nella teoria dell’interpretazione spesso si ricorre all’espressione di “urto ermeneutico” quando, per così dire, capiamo di non capire. Ciò significa che è importante non solo quanto si comprende ma anche quello che non si capisce. Il rendersi conto di non comprendere, da un lato, ci sfida e ci sollecita ad allargare i nostri orizzonti e, dall’altro, il riproporsi di simili situazioni nel corso della nostra esistenza ci consente di misurare la nostra crescita. Queste considerazioni sono servite per esortare i partecipanti
più giovani non solo a far tesoro di quanto hanno imparato in queste tre giornate ma anche di quanto ancora resta loro enigmatico. L’enigma non è solo la porta d’accesso a un percorso analitico ma anche uno stimolo per alimentare il desiderio di comprendere e di crescere intellettualmente.
Con questo augurio diamo a tutti l’appuntamento per il prossimo anno.