Cultura e Società

Come le pietre gli alberi. Di Domenico Chianese (2015). Recensione di Olimpia Sartorelli

9/07/15
Come le pietre gli alberi. Di Domenico Chianese (2015). Recensione di Olimpia Sartorelli

Domenico Chianese (2015)

Come le pietre e gli alberi

Alpes

Tutto comincia con una palla di stoffa colorata su cui una madre e il suo bambino convergono gli sguardi, inventando un gioco e acquisendo così, attraverso la condivisione dell’esperienza vissuta, il “mondo non umano” nell’interiore.

Da questo dialogo di movenze, parole minime e sensi rivolti all’ambiente umano e non, prenderanno forma nell’infante le prime tracce psichiche, destinate a diventare l’aurora di senso a partire dalla quale si svilupperà la soggettivazione, il pensiero di sé, inscindibile dal pensiero del mondo. Analogamente all’alba dell’umanità, i primi ominidi portarono con sé ciottoli in cui ravvisarono un volto, il loro.

 

Gli inizi della storia umana e in parallelo di ogni soggetto aprono il nuovo libro di Domenico Chianese evidenziando quanto il mondo psichico non possa esistere né essere rappresentato al di fuori del mondo naturale a cui l’uomo appartiene.

Richiamandosi al pensiero tardivo di Harold Searles, Chianese ci ricorda come il mondo naturale e più in generale il mondo delle cose, per quanto di necessità parzialmente rimosso dal soggetto alla ricerca incessante di una definizione di sé che lo distingua dal caos oggettuale a cui è destinato nascendo, non possa essere denegato, pena l’alienazione dell’uomo dai suoi stessi costituenti psichici.

Il viaggio in cui ogni individuo è immerso vivendo è innanzitutto un viaggio sensoriale nel mondo esterno, forma prima alla quale lo psichico si rivolge per rappresentarsi e poter fare ritorno, trasformato, all’interiore in forma di immagine vissuta e simbolo, a loro volta chiamati poi a modellare quanto dal fuori verrà in funzione soggettiva.

La perdita del ricordo, che affligge spesso le stesse teorie psicoanalitiche, di quanto l’esistenza psichica dell’individuo debba al non umano fuori da sé, può condurre a cecità patologiche e disagi esistenziali profondi che si diradano quando è possibile riaprire gli occhi sul mondo.

Come accadde a Fechner, il giorno in cui, riemergendo da un ritiro depressivo che lo costrinse a chiudersi gli occhi con monete di piombo, scese in giardino riscoprendo nella vividezza dei colori della natura quel sentimento di vitalità immanente, che poi chiamò, prima di Freud, principio di piacere.

Nell’orizzonte delineato la relianza (secondo la definizione di Morin) o colleganza (nelle parole di Searles) imprescindibile tra dimensione umana e non umana prende forma facendosi psiche attraverso l’esperienza estetica, intesa come modalità specifica dell’uomo di fruire il mondo, sperimentando vissuti di piacere/dispiacere, armonia/disarmonia, prima ancora che di necessità o utilità.

Un’estetica erede della riflessione psicoanalitica a partire dal concetto stesso di pulsione, fonte dello psichico e materia prima dell’inconscio che ha secondo Freud per “caratteristica fondamentale il radicamento nel corpo: Natura, dunque ” (Chianese, 123).

In questo movimento, in cui psichico e fisico si inanellano senza soluzione di continuità, le parole, sostanza prima della psicoanalisi, hanno corpo e quindi funzione di cura, solo se non viene dimenticato il loro legame originario e strutturale con l’esperienza delle cose, legame che garantisce loro un senso di verità.

Accanto ad esse e prima di esse nel processo creativo di appropriazione individuale del mondo, le immagini, rappresentazioni necessarie e complementari al discorso, svolgono una funzione essenziale, favorendo nel processo analitico la costruzione di senso condiviso che lega paziente e analista.

Dalla riflessione teorica al vissuto, quasi a seguire il fluire psichico incessante tra forme interiori e paesaggi, il testo di Chianese si articola alternando capitoli dedicati a “Immagini” e “Parole” a capitoli destinati ai “Sensi”, alle “Cose” e ai “Rumori della vita”, per proseguire nella seconda parte del libro con pagine dedicate a “Terre”, “Mari”, “Città”, dove brani di racconto clinico si intrecciano in modo evocativo all’esperienza vissuta dell’analista, ravvivando le prospettive teoriche di partenza.

Molti e preziosi i riferimenti alla cultura filosofica, scientifica, artistica, letteraria e psicoanalitica italiana e internazionale, come l’uso nel testo di brani poetici che delineano un operare psicoanalitico in grado di superare l’annosa dicotomia tra arte e scienza, come auspicato esplicitamente nelle parti conclusive del volume.

Di particolare bellezza la parte dedicata a profili e veli come rappresentazione, a partire da documenti artistici, delle sfaccettature strutturali dello psichico in particolare in riferimento alle dimensioni inconsce del doppio/ombra e del perturbante.

Come fine del viaggio, la parte conclusiva del libro è dedicata a temi inerenti il limite che ritaglia il vivente, contribuendo al suo significato: la neotenia, la morte, il senso del tempo nello spazio vengono affrontati a partire dal pensiero di Freud e Jankélévitch.

Con loro Chianese intende il limite primo della morte come consustanziale all’esistenza e al servizio della vita nella preparazione del futuro. La fine della vita diviene così un rifarsi terra di coltura dell’avvenire, aperta alla speranza e alla meraviglia del mondo.

In questa prospettiva l’avvenire della psicoanalisi, al pari di ogni esperienza analitica, si auspica intriso di rinnovato stupore per l’esperienza e animato da immaginazione e creatività, poste come garanti della possibilità di aprire al futuro simbolo, sogno e vissuto, alla base del lavoro analitico.

Nell’insieme il testo di Chianese è testimonianza ispirata di un sapere psicoanalitico del sentire, in cui immagini, parole, corpo e spazi concorrono nel dar senso all’istante pure eterno di ogni individualità vivente.

L’originalità del volume nell’elaborazione unitaria di un materiale vasto quanto essenziale al sapere e alla pratica psicoanalitica, conserva radici nella memoria della tradizione.

Quando, riflettendo sul valore del ricordo di un paziente, Freud percepì che il giallo acceso dei fiori di campo e un pane nero “veramente squisito” erano la strada per avvicinarsi alla comprensione viva dell’esperienza soggettiva. Alla psicoanalisi e così alla vita occorrono i fiori e il pane, come le pietre e gli alberi.

Olimpia Sartorelli

Luglio 2015

 

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

Come le pietre e gli alberi, Domenico Chianese, Alpes (2015)

Leggi tutto