Cultura e Società

“Rock Music and Psychoanalysis” di Aron, Ferguson… Recensione di G. Riefolo

1/06/20
"Rock Music and Psychoanalysis" di Aron, Ferguson... Recensione di G. Riefolo

“Rock Music and Psychoanalysis”

di L. Aron, H. Ferguson, J. LeDoux, G. Leo, R. Tweedy

(Frenis Zero, 2020)

Recensione a cura di Giuseppe Riefolo

In copertina  due chitarristi, una batterista ed un disegno-ritratto di David Bowie. Chi sono i musicisti ritratti? Forse rockstar? Dietro gli spessi occhiali scuri di quello in alto a sinistra si intravvede la fisionomia di Lewis Aron, famoso psicoanalista teorico della intersoggettività, recentemente scomparso, alla cui memoria è dedicato il libro e che è stato in Italia per una serie di seminari proprio lo scorso anno. L’altro chitarrista è Joseph LeDoux,  neuroscienziato famoso per due libri di successo, “Il Sé sinaptico”(2002) e “Ansia”(2015). Potrebbe essere lui il leader poiché da lui viene il nome del gruppo “The Amygdaloids” in onore dell’amigdala, da lui studiata come sede della memoria affettiva. La bella batterista in copertina è Heather Ferguson, psicoanalista newyorkese dell’Institute for the Psychoanalytic Study of Subjectivity.

 

Rock Music and Psychoanalysis” uscito in inglese a febbraio 2020 per le Edizioni Frenis Zero, è la sosta, particolare e leggera, di tre studiosi che coniugano la ricerca sulla mente con la passione per il rock. Dietro il ritratto di Bowie  è Giuseppe Leo, autore del disegno e  curatore del libro. Di Giuseppe Leo è l’introduzione in cui – sempre seguendo il filo della musicalità (del ritmo?) della psicoanalisi – si rintracciano le poche considerazioni di Freud sulla musica, per poi passare alle metafore musicali di Mauro Mancia e di Stein sull’ascolto psicoanalitico, fino ai contributi di Daniel Stern e di Trevarthen sul rapporto tra musica e sensi “embodied” del Sé. David Bowie è il soggetto di una coraggiosa “biografia psicoanalitica” scritta da Rod Tweedy che chiude libro.

Il capitolo a mio avviso più toccante è il secondo, quello scritto da Aron. Sapevo già di questo articolo di Aron perché, in occasione di un recente libro curato da me e da Giuseppe Leo sul tema dell’Enactment, (“Enactment in Psychoanalysis”, Frenis Zero, 2019), Aron, dopo contatti iniziali, aveva dovuto rinunciare a partecipare al progetto del libro, per le condizioni di salute, rapidamente ingravescenti.

Giuseppe Leo, che conosceva personalmente Aron, proprio nel momento in cui abbiamo commentato la sua scomparsa, mi aveva parlato del progetto di curare un libro sul rock in cui dare parola all’ “anima musicale” di quell’analista che si esibiva in jam session durante i congressi di psicoanalisi. L’associazione tra il rock e la psicoanalisi in quel momento di lutto mi era tornata come una immagine di leggerezza ed è questa immagine, fatta di curiosità e sorpresa, che ti guida  nella lettura del libro. Alla fine è quello che si chiede alla psicoanalisi quando si emancipa dall’essere una tecnica e diventa un metodo che cerca la vita. Nel capitolo “Race, Roots and Rhythm: Riffing on Rock ‘n’ Roll” Aron tocca questioni cruciali della psicoanalisi mediante parallelismi, apparentemente arditi, ma alla fine estremamente semplici, con i luoghi del rock. Ecco, quindi, il rapporto tra teoria e pratica analitica che si declina nel contributo di psicoanalisti come Paul Wachtel ed Irwin Hoffman da una parte, e  rockstar come Elvis Presley e Bruce Springsteen dall’altra. Nel contributo di Aron ricorrono i dialoghi con altri due antesignani tra questi analisti-musicisti, come Mannie Ghent e Donald Kaplan, amici personali di Aron: “Il posto della teoria non è dare dettami alla tua pratica ma di studiare e di porre domande ad essa” soleva dire Mannie Ghent. Il titolo del capitolo di Aron sottolinea poi l’importanza storica del rock nel coinvolgere sin dai suoi albori un pubblico in cui si superavano le discriminazioni di razza, di credo religioso, di orientamento sessuale. Little Richard, recentemente scomparso, sin dagli anni ’50, con gli occhi bistrati di nero e i testi inequivocabili, non faceva mistero della propria omosessualità, e la sessualità era, ed è, nel rock. Strana sincronia e coincidenza con gli esordi della psicoanalisi! Al rock, poi, dovremmo essere grati nell’aver dato il passo e l’accompagnamento ritmato ai movimenti sociali e culturali delle società del dopoguerra. Parliamo ancora di leggerezza, nel senso inteso da Calvino proprio nel suo ultimo testo.

Spero che il libro possa essere tradotto al più presto in italiano perché la psicoanalisi ha bisogno di leggerezza e di musica. Forse per questo, alla fine della lettura del libro, mi è arrivata in mente l’eco dell’ultimo libro di Fausto Petrella “L’ascolto e l’ostacolo. Psicoanalisi e musica”. A questo punto ti accorgi che hai usato un libro che parla di rock e di psicoanalisi per incontrare i maestri e per continuare a curare la loro musica.

 

Vedi anche in eventi Spiweb:

12 maggio 2012 PISA Psicoanalisi e Musica

Da qualche parte tra musica e psicoanalisi. Riccione, 23 febbraio 2018

28 gennaio, 10 febbraio e 1° aprile 2017 RICCIONE A che gioco giochiamo, Rassegna Da qualche parte tra Musica e Psicoanalisi

 

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