Cultura e Società

Lubitz – 18 aprile 2015, IL GIORNALE, Karen Rubin

29/03/15

Per descrivere il suicidio-omicidio del pilota Andrea Lubitz costato la vita a 149 persone, quello di Marco Quarta che ha ammazzato sua moglie Carmela Morlino davanti ai loro bambini e la strage eseguita da Claudio Giardiello all’interno del tribunale di Milano, è stato fatto un uso sbagliato delle parole. Si è detto di gesti di folli causati da un raptus inspiegabile e incomprimibile. E invece in nessun caso si è trattato di delitti perpetrati da folli ma soltanto di uccisioni spietate, pensate e organizzate strategicamente alla luce di stati emotivi e passionali che non ledono le funzioni cognitive, i tre uomini erano in grado di capire in anticipo l’orrore e il dolore che stavano per procurare alle vittime. Il preciso intento era di eliminare altre vite per vendicare un narcisismo ferito. Gli assassini hanno pensato che se la vita per loro non aveva più senso era giusto che a pagarne le spese fossero anche altre persone, utilizzate come oggetti inanimati per vendicarsi di una società che non gli ha garantito la realizzazione di desideri e aspettative. Ogni volta che accade qualcosa che colpisce le coscienze per la crudeltà di chi l’ha compiuta si tira in ballo la follia, anche quando la malattia mentale non ha nulla a che fare con i comportamenti efferati che hanno determinato i fatti criminosi. Non esistono legami di necessità tra certi tipi di disturbi e certi reati, eppure la malattia psichiatrica sembra un capro espiatorio, il malato di mente è il cattivo mentre i sani sono i buoni che mai compierebbero certi atti sconsiderati. La correlazione tra malattia mentale e pericolosità sociale è scarsa, le statistiche dimostrano che i pazienti psichiatrici non compiono più reati dei sani e che spesso se ne compiono sono di modesto allarme sociale: oltraggi, ingiurie e danneggiamenti piuttosto che reati più gravi contro la persona di cui si macchiano più spesso individui sani di mente. E’ sufficiente una rapida disamina dei tre casi citati per capire che nei protagonisti non albergava nessuna psicopatologia che inficia la volontarietà. Lubitz immaginava il suo gesto da mesi, si era documentato sul web riguardo al funzionamento della porta di sicurezza di cui era dotato l’aereo e negli 8 minuti in cui l’ha pilotato contro la montagna ha conservato una respirazione normale, nessun segno di affanno e quindi di paura mentre conduceva verso la morte sicura persone di cui aveva la responsabilità e che come ben sapeva non volevano morire. La riduzione o l’assenza della paura si associa ai comportamenti antisociali propri delle personalità criminali. Non hanno timori e remore i mafiosi che coinvolgono i minori nelle loro attività delinquenziali e omicide, gli scafisti che portano gli immigrati a morire, i rapinatori che uccidono i poliziotti, gli spacciatori di droga e gli sfruttatori della prostituzione che agiscono per i loro interessi privi di ogni sentimento per l’altro di cui non riconoscono il valore, mentre ne ha uno imprescindibile il loro io. Claudio Giardiello si preparava con costanza al poligono e ha sparato come un professionista. L’esser passato da una condizione di ricco imprenditore, dalle notti brave con gli amici tra ristoranti di lusso e casinò al fallimento non era una cosa che intendeva tollerare. Anche Marco Quarta si era procurato un coltello diversi giorni prima del delitto. L’uxoricida ha raccontato agli inquirenti che era un regalo per un amico e una voce interiore gli avrebbe suggerito di usarlo per eliminare la madre dei suoi bambini che nelle intenzioni voleva soltanto minacciare. Gli psicotici e gli schizofrenici cui è data a volte la non imputabilità non hanno questa capacità organizzativa. Le loro funzioni cognitive ed esecutive sono compromesse, pensieri e azioni non seguono la successione logica necessaria a portare a termine un’azione tanto complessa. Se Lubitz, Giardiello e Quarta fossero stati malati di mente tutto questo non sarebbe accaduto. Ancora oggi, nonostante le terapie aiutino i pazienti gravi a ripristinare in parte il contatto con la realtà e l’integrazione sociale, è a loro precluso il lavoro e le relazioni che tessono sono scarse per lo stigma di cui sono vittime. Un soggetto non imputabile non fa l’imprenditore di successo o il pilota di una grande compagnia aerea perché deve fare i conti con la disorganizzazione del suo pensiero e un’aggressività che il più delle volte è autodiretta. La violenza eterodiretta cui assistiamo ogni giorno appartiene più ai sani, e loro consapevolmente dovremmo indicare e temere.

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