Cultura e Società

Il tuo partner ti trascura per il cellulare? Soffre di “phubbing”, LA REPUBBLICA, 22 ottobre 2015

29/10/15

LA REPUBBLICA 22 ottobre 2015

Il tuo partner ti trascura per il cellulare? Soffre di “phubbing”

Subìto dal compagno di chi preferisce guardare lo smartphone, spesso anche durante una cena romantica. Un “mobbing” di coppia il cui colpevole, oggetto diventato indispensabile e insostituibile, si infila anche sotto le lenzuola, come rivela uno studio dell’Università texana di Baylor 

INTRODUZIONE:  Un  particolare terzo incomodo tra amanti, “l’egofono” (dall’ultimo libro di Michele Serra), è oggi al centro di uno studio, pubblicato su Computers in Human behavior , in cui i ricercatori della Baylor University, David Meredith e Robert James hanno delineato una nuova forma di dipendenza. Si tratta del “phubbing”. Dice un intervistato “La mia vita è diventata una distrazione dal mio cellulare”.

Roberto Goisis, membro della Società Psicoanalitica Italiana, analizza quanto Internet  e i cellulari stiano cambiando la nostra vita di relazione, producendo nuove patologie. Commenta le immagini del fotografo Eric Pickersgill che ha tolto il cellulare dalle mani dei suoi soggetti, e sottolinea quanta solitudine e straniamento dalla vita rivelino dei soggetti ritratti . (Silvia Vessella

LA REPUBBLICA 22 ottobre 2015

ALESSANDRA BORELLA

Partner “phubbing”: tu guardi il cellulare e io mi sento solo

phubbing

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

Uno degli scatti di Erik Pickersgill: come appare la vita senza smartphone 

Il fotografo rimuove gli smartphone e smaschera l’ossessione per cellulari e tablet

“QUANDO Agnese spegne l’egòfono è perché il momento è significativo. Nel bene o nel male. Lo spegne mentre facciamo sesso, almeno nelle fasi non interlocutorie, o quando ha voglia di litigare, o quando ritiene che la conversazione richieda una dedizione straordinaria, e addirittura la necessità, davvero solenne, di guardarsi negli occhi”. Il protagonista dell’ultimo romanzo di Michele Serra, il 36enne Giulio Maria, ha qualche attimo di respiro. C’è chi invece deve sopportare l'”egòfono” del compagno anche nell’intimità. Un terzo incomodo mette in crisi le coppie. Non un amante in carne e ossa. È sottile, leggero, spesso colorato e tanto piccolo da poterlo nascondere in borsa, o in tasca. Così discreto, che non lo si crederebbe capace di rovinare una relazione d’amore. Invece il cellulare è diventato un “altro” ingombrante, che anche quando non squilla si fa sentire. E, soprattutto, guardare senza sosta.

Una notifica su Facebook, un follower in più su Twitter, un messaggino, una email troppo importante, la dobbiamo controllare anche se sono le due di notte. L’impulso di vedere chi ha scritto è più forte di tutto il resto. Anche dell’interlocutore che abbiamo di fronte, il cui volto rimane sullo sfondo, offuscato dallo schermo. Si chiama “partner phubbing”, da “snubbing” (snobbare) e “phone” (telefono): lo fa chi trascura, in modo assai poco educato, la persona con cui si è impegnati, non importa dove e in quale occasione, per controllare compulsivamente lo smartphone. In uno studio pubblicato su Computers in Human behavior quasi la metà degli intervistati dai ricercatori della Baylor University, in Texas, ha dichiarato di essere vittima di questo atteggiamento. Più del 30% non riceve le giuste attenzioni dal partner e nel 20% dei casi sì, è proprio il telefono perennemente in mano ad aver incrinato il rapporto con il compagno. E non tanto per gelosia dovuta ai sospetti su chissà cosa nasconda dentro quell’aggeggio, ma proprio per la sensazione di tristezza e inquietudine che deriva dal sentirsi trascurati e lasciati soli. Non tanto per un like messo sotto la foto della ragazza sbagliata, ma perché appena la conversazione langue, una chat o una ricerca su internet ci strappa letteralmente via il partner, che preferisce lo smartphone a noi. Questo perché ci si illude di possedere una rete di relazioni, più ampia di quella effettiva e reale, fatta di ammiratori virtuali, seguaci (followers) e likers che sanno gratificarci come si deve.

L’impatto che il phubbing ha sulla relazione di coppia merita una definizione a se stante, anche secondo i due ricercatori della Baylor, David Meredith e Robert James: non è dipendenza da connessione, non è ansia, non è insonnia da social. È proprio un ‘altro’ problema che si misura in ‘visibilità del telefono’: “Il mio partner mette il suo cellulare in un posto visibile quando siamo insieme”, oppure “il mio partner tiene il suo cellulare in mano quando è con me”, o ancora “se c’è una pausa nella conversazione, il mio partner controlla il suo cellulare”. Al punto che sembra essere la conversazione reale a interrompere quella che avviene in chat, e non viceversa. La prospettiva è rovesciata, infatti, anche nel titolo che i due studiosi americani danno alla ricerca: “La mia vita è diventata una distrazione dal mio cellulare (“My life has become a major distraction from my cell phone: Partner phubbing and relationship satisfaction among romantic partners”).  

Anche senza arrivare all’estremo dell’Internet addiction disorder (Iad in inglese, disordine da dipendenza da Internet) o della sindrome da disconnessione (o Nomofobia, dall’inglese No-mobile) che negli Stati Uniti affligge, secondo gli esperti, addirittura una persona su tre e i cui sintomi sono gli stessi di una vera dipendenza come ansia e impossibilità di staccarsi dallo schermo, il cellulare sempre più onnisciente sta modificando in maniera profonda le abitudini della nostra vita, influenzandone ogni aspetto. Dall’impossibilità di staccare dal lavoro, ai brutti voti a scuola per gli adolescenti, al rapporto di coppia dei loro genitori, inevitabilmente incrinato dal terzo incomodo, come ha dimostrato Meredith e James. Secondo una ricerca di Meredith’s Parents Network, il 12% delle donne utilizza il telefono mentre si scambia effusioni con il partner e il 21% confessa di usarlo anche in bagno. Una indagine di Harris Interactive, fatta su 2mila utenti statunitensi, invece, dice che al termine dell’amplesso una persona su cinque si butta fra le braccia (si tuffa nella tastiera touch) del proprio telefonino intelligente. Il 40% degli utenti si porta lo smartphone anche in bagno, il 30% lo utilizza a pranzo o cena con altre persone e per il 58% non passa ora senza dare una controllatina al display.

Siamo talmente incollati allo schermo che le immagini del fotografo Eric Pickersgill che ha tolto il cellulare dalle mani dei suoi soggetti, poi immortalati come se lo avessero ancora davanti agli occhi, sono diventate virali restituendoci, in pochi scatti e pochi sguardi, tutta la solitudine dei nostri tempi. “Fotografie che mi hanno fatto molto effetto”, dice Roberto Goisis, psicanalista e psicoterapeuta della società psicoanalitica italiana, “perché ho pensato a quanto i cellulari siano diventati delle vere e proprie protesi. Non più strumenti tecnologici di utilità, ma prolungamenti fisici del nostro corpo, un pezzo di noi stessi. Non possiamo farne a meno perché significa farci mancare un pezzetto di noi. Nella coppia non è nemmeno più questione di tradimento, ma proprio di trascuratezza. È come essere trasparenti. Non c’è l’altro in campo, manca proprio un giocatore”. Dunque, è difficile essere gelosi di un cellulare. “Ci sono due aspetti convergenti, da un punto di vista piscologico: quello che succede nella testa di chi ha la necessità di guardare prima lo schermo che il volto del suo interlocutore”, aggiunge Goisis, “e la sensazione di abbandono che invece subisce chi sta a fianco a una persona che non si stacca mai dal dispositivo. Io non chiedo mai ai miei pazienti di spegnerlo durante la seduta e assisto a scene grottesche di persone che si nascondono per scrivere o leggere sms anche davanti a me. Sono felice quando noto la loro capacità di distacco autonoma, soprattutto quando sono ragazzi. Magari rispondono alle chiamate, ma per dire che sono dallo psicologo e non possono parlare al telefono”, conclude. 

Qualcuno rimpiange il terzo incomodo in carne e ossa. Quello che non sta in una borsa. Ai tempi nostalgici del telefono che telefonava e basta. Senza chat, senza connessione a internet perenne, alla portata di tutti i portafogli. Gli sms costavano, uno a uno, e andavano centellinati. E per sentire qualcuno bisognava averne necessità, o comunque volerlo parecchio. Oggi c’è da scegliere tra il Messenger di Facebook e WhatsApp che, guarda caso, è di proprietà di Facebook, tanto per dirne due, ma le possibilità di comunicare istantaneamente sono infinite. E poi c’è sempre una foto che vale la pena di essere scattata e postata su Instagram, Pinterest o Tumblr, ancor prima di aver visto quello che abbiamo inquadrato. La mano stringe lo smartphone, non quella della persona a fianco a noi. Se la batteria muore, abbandonandoci allo schermo nero e muto, forse non è poi così male. 

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