Cultura e Società

“Perchè non possiamo non dirci Freudiani”, LA REPUBBLICA, 7 gennaio 2013

7/01/13

INTRODUZIONE: la polemica “Freud sì/Freud no” o anche “solo Freud/niente Freud”, come dice Stefano Bolognini  (Presidente uscente della Società Psicoanalitica Italiana – SPI), interpellato da Luciana Sica, si evidenzia in tutte le sue ramificazioni in questo articolo in cui trovano voce le opinioni a confronto di Alberto Semi, Antonino Ferro (Presidente neo-eletto),  Stefano Bolognini, Sarantis Thanopulos, Alberto Luchetti. (Silvia Vessella)

La Repubblica LUNEDÌ 7 GENNAIO 2013  

 

“PERCHÉ NON POSSIAMO NON DIRCI FREUDIANI”

Polemiche/ Dopo l’articolo di “Repubblica” le reazioni del mondo analitico

di LUCIANA SICA

 

«Questa idea che esistano preti freudiani è un’invenzione polemica di Nino Ferro, ma la sua è una logica politica che scivola nella mediocrità sul piano teorico… Siamo tutti post-freudiani: basta leggere i più grandi autori ancorati alla psicoanalisi classica – da Laplanche a Green, ma anche allo stesso Winnicott – per rendersi conto che davvero non c’è il rischio di un culto religioso». Alberto Semi, sconfitto da Nino Ferro nella corsa alla guida della Società psicoanalitica italiana, non ha gradito l’intervista che il neopresidente ha rilasciato a Repubblica (il 18 dicembre scorso) è caduta come una bomba nel mondo analitico, ma non ne fa una questione di beghe interne. Tutt’altro: «Ben venga un dibattito libero e pubblico, per la sua funzione civile, perché anche all’esterno si possano assaporare almeno le grandi linee di una questione culturale fondamentale, e cioè chi sia l’essere umano e come possiamo pensarlo».  Semi non enfatizza le tensioni personali con Ferro, ma è un uomo che ama la polemica: «Che senso ha parlare di “psicoanalisi italiana? Da noi non c’è mai stata una monocultura analitica, ma piuttosto una “psicoanalisi in Italia” con la presenza da sempre di correnti diverse – isolata in passato, questo è vero – mai provinciale però. Soprattutto non esistono idee vecchie e nuove, ma idee valide e non valide: ipotesi diverse per spiegare gli stessi fenomeni. Bisogna discuterne, sapendo che oggi ci sono nel mondo più psicoanalisi che pensano e lavorano, che la collaborazione è possibile a patto di chiarire quali sono le differenze. E senza mai avere paura del conflitto, perché il conflitto è il sale della vita. Ferro è più legato alla professione clinica, nel senso stretto del termine, mentre io considero importante che la psicoanalisi possa dire qualcosa sulla cultura in cui viviamo, anche in senso antropologico: dallo sgretolamento della famiglia ai nuovi modi di procreazione, dalla considerazione dei generi sessuali alla fine della vita…».

Ma qual è il vero oggetto del contendere? Prova a spiegarlo Stefano Bolognini, in qualche modo super partes nel suo ruolo di primo italiano al vertice dell’International Psychoanalytical Association: «Certamente il dilemma non è “Freud sì/Freud no” o anche “solo Freud/niente Freud”, ma piuttosto se sono più importanti le pulsioni – quelle spinte aggressive e sessuali dovute a fattori biologici e a processi inconsci – o se invece a prevalere è la relazione tra analista e paziente. In altre parole, cambia di più la vita ricordare, abbattendo i meccanismi difensivi della rimozione, oppure arricchire il pensiero? La cura analitica è solo un recupero della consapevolezza o un fattore trasformativo della mente? Il punto è dove cade l’accento, anche se in realtà la psicoanalisi è come un albero, il cui tronco (Freud) è importante quanto i rami e le foglie (gli sviluppi post-freudiani degli ultimi cinquant’anni): questo Ferro e Semi lo sanno benissimo, e la loro querelle insaporisce lo scenario di una psicoanalisi ormai irrimediabilmente pluralista. Unita però dall’irrinunciabilità, per qualsiasi albero, di avere radici, tronco, rami e foglie – anche se ognuno ha le sue preferenze, un suo modello teorico e clinico che non andrebbe comunque mai assolutizzato».

Sarebbe però un’ingenuità credere che la psicoanalisi in Italia si riduca a un duello a distanza tra Ferro e Semi, con una qualche mediazione di Bolognini. C’è tutto un mondo analitico in subbuglio e posizioni per niente faziose di tutto rispetto. Come quella di Sarantis Thanopulos, collaboratore del manifesto– con una rubrica che esce il sabato – e autore di libri non solo raffinati, ma innovativi: s’intitola Ipotesi gay il volume a più voci sull’omosessualità, curato con Olga Pozzi per Borla. Non procede per semplificazioni quest’analista di origini greche, che rifiuta di schierarsi nella contrapposizione tra psicoanalisi classica e contemporanea, giudicandola ideologica e di scarsa consistenza culturale. Thanopulos non esita ad ammettere che «il pericolo di un uso esegetico del pensiero di Freud esiste davvero», ma esclude sia questa la tendenza dominante: «Piuttosto il rischio è che prevalga l’idea di considerare l’opera freudiana come un ferro vecchio e inutilizzabile, da archiviare sbrigativamente. Il pensiero di Freud va innanzitutto conosciuto a fondo e poi magari smontato dov’è necessario, anche radicalmente trasformato, ma sapendo che resta ancora vivo in tante sue intuizioni e soprattutto in certe sue impasse e contraddizioni. Ha ragione Ferro quando invita a non arroccarsi sul già noto e a non demonizzare altri modelli, compresi quelli americani, basta però che il rigetto di Freud non somigli a una via di fuga dall’obbligo del rigore a cui gli analisti sono comunque tenuti, qualunque cosa pensino del fondatore della loro disciplina».

Molto più “indignato” è Alberto Luchetti, che ha scritto una lettera furente al nostro giornale. Precisa di essere ancora lui il direttore della Rivista di Psicoanalisi ( fino a marzo, quando gli succederà Giuseppe Civitarese) e soprattutto difende il suo lavoro e gli articoli scritti in questi anni da analisti di altri Paesi. Secondo la sua versione, «la Rivista non ha bisogno di una “apertura ai contatti e agli scambi internazionali”, per il semplice motivo che c’è già, ma evidentemente i nomi dei nostri articolisti, non essendo stati scelti da Ferro, non contano… ». Peccato che – trattandosi di un trimestrale molto di nicchia – sia impossibile dare conto ai nostri lettori di una polemica, questa sì, decisamente interna.

 

 

 

 

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