Cultura e Società

“Loro 2” di Paolo Sorrentino. Recensione di Rossella Valdrè

14/05/18

Autore: Rossella Valdrè

Titolo: Loro 2

Dati sul film: regia di Paolo Sorrentino, Italia, 2018, 100’

Genere: Commedia/Drammatico

“La miglior forma di altruismo è l’egoismo”

(Toni Servillo/Berlusconi)

 

“Sei triste, Silvio?”. Glielo chiedono in due, il compagno d’affari di Mediolanum all’inizio, il vecchio e ormai inutile Mike Buongiorno che, pur ‘ingiustamente’ respinto non manca di volergli bene: “Sei triste, Silvio”.

Se in “Loro 1” avevamo lasciato Berlusconi isolato con Veronica nella sua Sardegna a meditare il ritorno in politica di fronte ad un orizzonte vuoto, assediato dal popolo delle ‘olgettine’ che i mille Tarantini di turno fanno a gara per portare alla vista compiaciuta del sultano, in “Loro 2” ritroviamo soprattutto l’uomo, quel Berlusconi immaginifico e reale, despota fragile e decadente a cui Sorrentino, nell’accentuare questo declino, dedica la cifra insolita, per Berlusconi, della tristezza. Tristezza è il sentimento circolante in tutta la seconda parte del magnifico, occorre dire, dittico nato dalla fantasia artistica del nostro regista più felliniano-americano, come lo definisce il critico Niola, dedicato a Berlusconi e allo squallido, opulento impero che ha creato, nutrito, e in cui sembra essere rimasto prigioniero inconsapevole.

Tristezza è parola che mal si addice a Silvio, che invoca continuamente, assillantemente l’allegria alle ragazze, tutte invitate alla grande festa in villa (“ventotto non bastano, di più”), agli “amici”, a una Veronica che, pur nata come potenziale velina tanti anni prima, ha poi saputo crescere e ora guarda desolata il vecchio bambino che sta per lasciare. Allegria, è la sua parola d’ordine, chiuso in un mondo irreale eppure esistito, misero eppure ricco, isolato ma circondato da sudditi, ballerine, questuanti di turno: tutti, come ben traspare negli sguardi annoiati delle ragazze, tutti sono tristi.

Ma Silvio nega la tristezza, uomo che vive del mito e del ricordo narcisistico di se stesso, si impedisce ogni accesso, potremmo dire psicoanaliticamente, a parti di sé che pure il regista ci fa immaginare esistano, sommerse e deformate dalle difese. C’è un’anima, in quest’uomo a suo modo impenetrabile, come gli dice Veronica, che non si lascia raggiungere, spinto da quella compulsione al godere – qui intesa come vera pulsione di morte, la “jouissance” – che ne oscura l’intelligenza, gli fa perdere il senso della realtà (un Paese cambiato di cui non si accorge), l’affetto critico della moglie, il senso del limite.

Smanioso di tornare in politica, da vero venditore “compra” sei senatori; ma sembra tardi. Il ritorno al Colle non gli garantisce più il credito di un tempo, ci sono state defezioni (la fedele Bonaiuti/Santanché), l’Italia che crolla sotto il terremoto dell’Aquila, l’ex brillante venditore di case non riesce più a vendere sogni, illusioni, quelle a cui gli italiani hanno creduto, identificati con l’uomo che le ha incarnate, dal successo facile e straordinario, dal sorriso violento e dalla fasulla sicurezza di un Padre cui delegare ogni scelta.

Ma quello che “Loro 2” mette in scena non è un partito politico, pur corrotto come altri in questo Paese, è lo spaccato di un mondo che solo Sorrentino, tra i registi italiani, a me pare, sa rappresentare così bene: una sorta di ridicola, patetica, nobiltà della volgarità e del lusso inutile, dello spreco e del vizio, un circo di ragazze, canzoni, feste da fine dell’Impero, la cui Grande Bellezza è ormai lontanissima, come il breve flash di Veronica giovane. Terrorizzato dalla vecchiaia (“alito dei vecchi che puzza”), l’uomo Berlusconi rincorre l’oscenamente giovane, le minorenni, con cui forse si identifica, da cui cerca non tanto sesso, come l’immaginario collettivo ha creduto, i media divulgato e i Tribunali condannato, quanto dimenticanza, oblio, quel nirvanico, ottuso godimento che risulta cinematograficamente triste perché cosi contiguo alla morte. Vera contraddizione in Berlusconi, e cuore geniale del film, sono l’apparente ed insistita esaltazione della vita e della vitalità ma, agendo contemporaneamente, sul piano profondo, quella spinta al godimento che abita invece il terreno della pulsione di morte, la alimenta continuamente. È morte in senso freudiano, non aggressività, ma spinta al godere piuttosto che al bene, alla soddisfazione pulsionale senza pensiero, senza remora, senza colpa. Da questa contraddizione, così umana e resa grottesca dalla scelta stilistica del regista, il fascino ambiguo del personaggio, la ‘pietas’ inattesa verso un uomo e un ambiente abitato da giullari, bambini e folli, che inquadrature iper-realistiche rendono come sospese nel nulla: l’enorme casa bianca, l’enorme tavolata delle ragazze, un girotondo sicuramente debitore a “8 e 1/2” di Fellini, ma carico di una sua personalissima e “televisiva” originalità.

Sono i momenti migliori del film, sprazzi di grottesca poesia, le scene in cui Lui, incarnato in un Servillo di cui il solo movimento degli occhi rivela qualche emozione, maschera bloccata in un sorriso dipinto ed estraniante, guarda la giostra che gioca ai suoi piedi, ragazze inutilmente seminude, canzoni napoletane, malfattori indebitati che si aggirano come fantasmi nella villa dai vuoti surreali, una Versailles postmoderna che non suscita invidia, né desiderio di farvi parte, ma patetica pena.

Sorrentino non giudica né conduce lo spettatore a giudicare (operazione fallace, con Berlusconi, che sa che “quando parlano male di me non serve a niente”), lasciando sullo sfondo le vicende giudiziarie ancor più che nella prima parte: qui domina la solitudine immensa di un uomo bambino, che la moglie definisce “malato”, segnato da un’intelligenza che non sa guardare dentro se stesso, ma proprio per questo così umano, che finisce, Lui con Loro, per suscitare nello spettatore una paradossale simpatia, una ‘pietas’, appunto, una sottile immedesimazione.

Voyeurismo, scopofilia, sembra la pulsione dominante: guardare. Silvio vuole guardare. Guardare la giostra messa in scena per lui lo eccita. Non si droga, non fa sesso: guarda.

È in questa lettura psicologica e cifra narratologica, la chiave magica di un film pur non perfetto (e forse volutamente imperfetto e inconcluso), ma che ci cala con rapita immedesimazione in un mondo che, incredibilmente, ci ha governati.

Leader assediati da pulsioni mortifere non sono nuovi nella Storia.Sappiamo da Freud (1921) che nella figura del leader ogni individuo rinuncia al suo “ideale dell’Io” per trasferirlo in Lui: identificazione narcisistica attraverso cui una parte di sé, il proprio Ideale dell’Io, viene sostituito dall’Ideale dell’Io del leader, a prezzo della riduzione dell’individualità e dello spirito critico, l’appiattimento delle differenze e le sirene della gregarietà. Come in uno stato ipnotico, il suddito è legato al Capo da un legame d’amore e si aspetta che anche il Capo lo ricambi con lo stesso amore. Nella negazione dell’ambivalenza che questa massiccia operazione narcisistica richiede, l’idealizzazione del Capo in realtà maschera odio, invidia, aggressività, in parte proiettati nei nemici (i “comunisti, i giudizi della sinistra”), ma in parte bollono nelle viscere del gruppo stesso. È davvero amato, infatti, Berlusconi? La corte e i fedelissimi chiedono sempre qualcosa in cambio, sono pronti a tradire, ad abbandonare quando il vento cambia.

È la solitudine del venditore, dice Silvio. Il venditore è solo col suo prodotto, con la sua creatura oggi idolatrata e domani già vecchia, già sostituita.

“Loro” è un bellissimo, dolente e surreale film su un’epoca, lo abbiamo detto nella prima parte, e soprattutto su un uomo che, non importa quanto aderente alla realtà, l’artista ci restituisce attraverso il suo sguardo, tutto estetico ed insieme interiore, ma mai cronachistico: un uomo di cartone, venditore di sogni, vorace e insaziabile, malinconico e inconsapevole, intelligente e bambino. Sullo sfondo, la perfetta sequenza finale del Paese reale, quella povera gente che l’uomo più ricco del Paese guarda con simpatia, a cui vorrebbe regalare l’allegria nella metafora concreta di una dentiera a una donna terremotata che ha perso tutto.

Sotto le macerie reali e simboliche del terremoto, il leader che non sopporta la tristezza si muove come un fantasma: sarà reale, sembra domandarsi, tutto questo? Che esista il dolore, la povertà, la perdita?

Allegria! Ha fatto recitare all’amico Mike per tanti anni. Ridere, bisogna ridere, divertirsi: “Perché sei triste, Silvio?”.

 

Maggio 2018

 

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