Cultura e Società

“Alcarràs” di C. Simòn. Recensione di A. Meneghini

6/06/22
"Alcarràs" di C. Simòn. Recensione di A. Meneghini

Autore: Alessandra Meneghini.

Titolo: Alcarràs.

Dati sul film: regia di Carla Simòn; Spagna, Italia, 2022, 120’.

Genere: drammatico

Film vincitore dell’Orso d’Oro alla settantaduesima Berlinale, “Alcarràs” è la seconda pellicola della giovane regista spagnola Carla Simòn, dopo “Estate 1993” del 2017.

Recitato da attori non professionisti e ambientato appunto ad Alcarràs, un piccolo centro rurale della Catalogna, il film ci conduce fin dentro le vicende dei Solé, una numerosa e affiatata famiglia, da generazioni dedita alla coltivazione degli alberi di pesco. La narrazione prende le fila dalla decisione dei proprietari dei terreni di abbattere il vasto frutteto, così da poter installare file di pannelli solari, attività dove “guadagni di più e lavori di meno”.

Quindi, il raccolto narrato nel film è, per la famiglia Solé, “l’ultimo”.

La notizia irrompe nel quieto ritmo delle attività familiari quotidiane: non si trova il contratto che il patriarca avrebbe dovuto sottoscrivere lustri addietro con il proprietario del terreno. Forse non c’è mai stato: l’accordo era basato sulla parola d’onore, ricordo di antichi favori fatti dal nonno Solé al vecchio latifondista.

Tutto sembra perdersi nella nebbia dei tempi.

Nel frattempo, la vita familiare torna a scorrere come sempre, tra il duro lavoro nel frutteto, qualche pausa rilassante e le incombenze quotidiane di ognuno. Iniziano però ad aprirsi delle crepe nelle relazioni tra gli adulti della famiglia, alcuni dei quali decidono di abbandonare l’attività agricola per dedicarsi al lavoro più redditizio di installatori di pannelli fotovoltaici. Gradualmente, i conflitti e le incomprensioni familiari si acuiscono, espressioni di un dolore collettivo rappresentato dalla minaccia incombente legata alla perdita dei riferimenti identitari connessi all’ambiente “non umano”, come direbbe Searles (1960).

Nonostante il dramma in atto, la narrazione filmica procede fluidamente: “Alcarràs” non è un film che sollecita un’emotività viscerale, che induce lo spettatore a prendere le parti degli usurpati. Lo sgretolamento delle certezze e dei rapporti interpersonali è messo in scena con delicatezza, in un sottile crescendo, mescolato a una quotidianità che rimane tutto sommato normale.

È attraverso lo sguardo dei bambini che si coglie la reale portata del cambiamento traumatico che sta per arrivare. Vediamo una gru — immagine quasi onirica — che, nelle prime scene, ghermisce e porta via la vecchia auto nella quale i piccoli inscenavano viaggi immaginari; assistiamo alla scena in cui il capofamiglia bruscamente sottrae loro un cassone di legno per la raccolta delle pesche trasformato in casetta per giocare e che poi si intromette con prepotenza durante l’orgogliosa scoperta di un nuovo avventuroso rifugio, stavolta scavato nella collina, da parte dei bambini.

È la perdita assordante di un “contenitore” (Bion, 1970), prima muto e silenzioso ancorché vitale, ad essere messa in scena. È la perdita della madre ambiente (Winnicott, 1962, p. 92), intesa come “provvidenza ambientale che allontana l’imprevedibile”, garante della continuità psichica e dell’identità.

Si liberano così le angosce primitive che si riverberano nei conflitti tra gli adulti della famiglia, sotto lo sguardo smarrito e disorientato dei bambini, espressione di un Eden perduto per sempre.

Non a caso, qua e là compaiono a più riprese carcasse di conigli morti, nella doppia valenza del persecutore odiato (distruggono la corteccia dei peschi e quindi vengono uccisi dai Solé) e di ricettacolo delle angosce catastrofiche di chi si sente letteralmente mancare la terra sotto i piedi, in un continuo rovesciamento dei ruoli da passivo in attivo, ultimo baluardo difensivo per non essere travolti dall’impotenza.

Carla Simòn è riuscita a tratteggiare tutto questo con tatto e levità, intrecciando le vicende filmiche con il proprio vissuto, avendo perso precocemente entrambi i genitori, in un’opera cinematografica che costituisce un’ulteriore tappa del suo personalissimo processo di elaborazione del lutto.

Bibliografia

Bion W.R. (1970). Attenzione e interpretazione. Roma, Armando, 1973.

Searles H. (1960). L’ambiente non umano. Torino, Einaudi, 2004.

Winnicott D.W. (1962). Lo sviluppo della capacità di preoccuparsi. In Sviluppo affettivo e ambiente. Roma, Armando, 1970.

Giugno 2022

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