
Parole chiave: genitori, generazioni, cinema e psicoanalisi, 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
Autore: Simona Pesce
Titolo: “Father Mother Sister Brother”
Dati sul film: regia di Jim Jarmusch, Usa-Irlanda-Francia, 2025, 110′, in Concorso Venezia 82
Genere: drammatico
Dopo vent’anni da Coffee and Cigarettes (2003) ritorna al Lido in Concorso all’82esima Edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica l’atteso lungometraggio di Jim Jarmusch.
L’importanza di questo film sta nell’essere riuscito a rappresentare una incomunicabilità tra generazioni, quella dei genitori anziani e dei loro figli adulti, dovuta a storie di vita che l’autore lascia appena intravedere, ma sta ancora di più nel voler riportare l’attenzione su quei personaggi marginali ed erranti cari al regista americano che ha sempre sostenuto un cinema indipendente contrario alla retorica statunitense.
Il film è costruito in forma di trittico, ambientato in tre luoghi distanti tra loro in una piacevole gradualità che va dal panorama freddo e desolato dell’episodio “Father”, nel nord-est degli USA, verso una Dublino cittadina poco abitata scelta per “Mother” per approdare al cuore di una Parigi multietnica che ci lascia un sapore di fratellanza per “Sister Brother”. Il regista ha voluto che alcune scene e immagini riallacciassero tra loro i tre racconti brevi attraverso una serie di battute ripetute nei vari episodi ma con un valore affettivo sempre diverso. Uno stesso brindisi con bevande semplici e quotidiane, come l’acqua, il tè o il caffè, può rappresentare un gelido scambio di silenzi immodificabili, come in “Father”, oppure può mostrare l’imbarazzo e l’impaccio della dialettica tra madre e figlie dove emerge una competizione malcelata, nell’episodio “Mother”, per arrivare ad essere una scambio affettuoso e sincero senza alcun bisogno di aggiungere parole inutili come avviene tra i due infatuati gemelli di “Sister Brother”. Queste storie brevi rappresentano bene quanto l’incomunicabilità tra madri padri e figli non sia solo dovuta a un’assenza di trama affettiva o di esperienze comuni ma sia in parte costitutiva del legame sempre inconoscibile con le proprie origini. Quanto c’è di fantasmatico nell’idea che un giovane adulto ha della propria madre o del proprio padre? Quanto è complesso incontrare i propri figli adulti che sono persone reali con una propria storia che sfugge all’immaginario dei propri genitori? Del resto la sofisticata Charlotte Rampling, nell’interpretare la madre anziana, ha bisogno di un intervento dell’analista per avvicinare le proprie figlie adulte e Tom Waits, nell’eccellente recitazione di un padre eccentrico e bizzarro, vuole mantenere il segreto sulla sua vita e sottrarsi allo sguardo dei figli. Parte di questa incomunicabilità è quindi voluta, desiderata e necessaria per sopravvivere. I motivi profondi di questa scelta possono essere molteplici, ma va mantenuto il valore soggettivo dell’inconoscibile, perché “il famigliare” conserva sempre in sè una quota di perturbante da mantenere inconscia.
La narrazione di questo film intimo è descritta dallo stesso regista come “una sorta di anti-film d’azione il cui stile discreto e pacato è attentamente costruito per consentire l’accumularsi di piccoli dettagli, quasi come fiori disposti con cura in tre delicate composizioni”.
Jim Jarmusch all’interno dell’incomunicabilità che rappresenta lascia aperta una speranza, come a dire che se i padri e le madri non riescono nel difficile compito di mantenersi vicini ai propri figli adulti, come i primi due episodi raccontano, saranno allora i fratelli a fare questo passo attraverso il ricordo e la memoria della loro infanzia. In questo modo daranno senso e valore al legame famigliare accettando di poter sapere solo una piccola parte della storia di vita dei propri genitori rispettando l’enigma delle proprie radici.