Cultura e Società

“Il piccolo corpo” di L. Samani. Recensione di C. Rosso

23/02/22
"Il piccolo corpo" di L. Samani. Recensione di C. Rosso

Parole chiave: maternità, lutto, soggettivazione

Autore: Chiara Rosso

Titolo: “Il piccolo corpo”

Dati sul film: regia di Laura Samani, Italia, 2021,93

Genere: drammatico

Quest’opera d’esordio di Laura Samani ci delizia e ci stupisce. Ci delizia per la grazia e la delicatezza con cui la giovane regista triestina tratta i temi fondamentali della nascita e della morte attraverso la storia di un corpo al femminile. Di un corpo di madre, di un corpicino di neonata e dei corpi di un gruppo di donne solidali appartenenti alla cultura friulana. L’ambientazione del film è sospesa e conserva un tocco di atemporalità, anche se sappiamo che si svolge in un piccola comunità all’inizio del ‘900.

Agata, la protagonista, appartiene al microcosmo marino di un popolo che si nutre di pesca e che vive tra dune e canneti sulle rive del mare al riparo di semplici tendi di paglia. Eleganza e povertà si intrecciano abilmente: vi è un’innegabile bellezza nelle donne che portano incisi sui loro volti i segni delle fatiche quotidiane, il vento muove le loro vesti mentre incedono in gruppo. La scena d’apertura le ritrae ai bordi dell’accampamento con, in primo piano, Agata incinta e in procinto di partorire. Il clima è solenne, una delle donne anziane le bagna il ventre e d’emblée siamo proiettati nel rito propiziatorio di un “battesimo” marino. Ma l’atmosfera festosa è presto destinata a volgersi in tragedia quando Agata partorisce una neonata morta. Nottetempo il marito la seppellisce lontano dagli occhi della moglie senza che questa si possa accomiatare dalla figlioletta. Il film è dunque il lungo racconto di un tentativo di elaborazione del lutto, poiché gli strumenti religiosi e culturali del microcosmo di Agata non le offrono speranza. Il prete è categorico: la bimba non può essere battezzata perché nata morta e destinata a vivere in un limbo perpetuo.

Questo film ci stupisce per la capacità di mettere in scena il travaglio psicologico della protagonista e il suo disperato tentativo di dare un nome alla bimba, di poter “nominare” la perdita in modo da renderla affrontabile. Il disorientamento di Agata appare legato all’impossibile condivisione di un lutto e cioè di una presenza che si è fatta simultaneamente assenza. “Farai altri bambini” le dice l’entourage per incoraggiarla, spingendola però sulla via del diniego, ma ciò non è consolatorio poiché glissare sulla perdita significa liquidarne la pensabilità e trascurarne la rappresentabilità, come invece accadrebbe se si avviasse un rito collettivo che ne permettesse la successiva interiorizzazione personale. Il dolore di Agata sembra destinato a restare nascosto consegnandola ad una insopportabile solitudine.

Il pregio della pellicola è di mettere in luce un problema poco affrontato: il vissuto emotivo delle donne che interrompono la gravidanza o sperimentano la morte del figlio neonato. Sono situazioni che hanno la necessità di essere affrontate come veri e propri lutti.

Sul piano psicoanalitico Racamier ha esplorato lo straordinario impatto, anche transgenerazionale, dei lutti non riconosciuti nel suo capitolo “Lutti congelati, depressioni espulse” ne Il genio delle origini (1992). Il lutto passato sotto silenzio, non condiviso e che rimane segreto è anche uno degli ingredienti per la formazione della cripta così bene esplorata da Abraham e Torok (1987) di una inclusione nell’io di qualcosa di morto e nel contempo di vivo ma che rimane inelaborabile e tiene in ostaggio l’individuo.

Tornando al film si profila una via d’uscita per Agata, come spesso accade proprio ai margini della “cultura ufficiale” del gruppo di appartenenza, attraverso i consigli sussurrati da una sorta di saggio che le viene indicato. Si tratta di imboccare una via difficile e irta di ostacoli verso un fantomatico santuario situato in una valle lontana dove — si narra — i neonati morti vengano “risvegliati” per il tempo di un breve respiro, in modo che sia loro concesso il battesimo salvifico.

“Piccolo corpo” narra di un viaggio pieno di colpi di scena, che Agata affronta da sola caricandosi sulle spalle la cassetta di legno dove giace il corpicino della bimba da lei disseppellita. I personaggi che incontra sul suo cammino rivelano volti mutevoli, talvolta amichevoli e di supporto oppure traditori e semplicemente indifferenti al suo sforzo. L’amico/amica Lince, un personaggio ambiguo che potrebbe essere maschio o femmina, “in transizione” come Agata, l’accompagna, l’aiuta, la tradisce, rivelandosi però leale al termine del percorso.

Potremmo aggiungere che questo viaggio metaforico nell’assegnare un posto ai vivi e ai morti sigli anche il processo di soggettivazione (Cahn, 1998) di alcuni dei personaggi coinvolti nella storia. Si può estendere tale concetto al di là del periodo adolescenziale, perchè, come ha detto Paola Marion (2013), evoca il lungo cammino che accompagna l’individuo dalla culla alla tomba. Nel film la madre dà cittadinanza al suo lutto pagando un alto prezzo mentre la bimba trova una soggettività di bambina defunta non essendo più solo un piccolo corpo trasportato segretamente. La cassetta di legno, quale piccola bara, non si fa “cripta”proprio grazie alla tenacia della madre che la protegge strenuamente dall’altrui curiosità e rapacità fino a quando è possibile disvelarne il contenuto. Anche Lince subisce un’evoluzione, confrontandosi con i propri conflitti famigliari a contatto con Agata, mentre il dolore condiviso con l’amica ne dischiude una vena materna. Infine, il tema del corpo, che ho evocato all’inizio, si accompagna a una sensorialità avvolgente che non è solo visiva. È acustica, grazie al dialetto friulano tinto di durezza e musicalità, è anche olfattiva e gustativa, con i profumi e i sapori di luoghi che da marini si fanno “terragni”, che accompagnano Agata lungo il suo peregrinare: tutto concorre a sollecitare i sensi dello spettatore, legando la sinfonia della natura a una spiritualità ancestrale.

Riferimenti bibliografici

Abraham N.,Torok A. (1987). La scorza e il nocciolo. Roma: Borla, 1993.

Cahn R.(1998). La subjectivation: un nouveau point de vue en psychanalyse?Paris: Journées du 2 et 3 avril 2005.

Marion P. (2013). La sessualità infantile nel processo di soggettivazione. Presentato al Centro psicoanalitico di Bologna il 24 ottobre 2013.

Racamier P.C. (1992). Il genio delle origini. Milano: Raffaello Cortina, 1996.

Febbraio 2022

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