Cultura e Società

“La sala professori” di I. Catak. Recensione di E. Berardi.

9/04/24
"La sala professori" di I. Catak. Recensione di E. Berardi.

Parole chiave: Scuola, Tolleranza zero, Verità

Autrice: Elisabetta Berardi

Titolo del film: “La sala professori” (Das Lehererzimmer)

Dati sul film: regia di Iler Catak, Germania, 2023, 98’

Genere: drammatico

Ilek Catak, scrittore e regista tedesco, attraverso il suo secondo lungometraggio, “La sala professori”, candidato al 73esimo Festival del cinema di Berlino nel 2023 e successivamente all’Oscar al miglior film in lingua straniera nel 2024, presenta il deflagrare di un conflitto inarrestabile all’interno di un’istituzione scolastica, microcosmo dal grande potere metaforico. Vengono in mente personaggi iconici come il professor Keating de “L’attimo fuggente” (Peter Weir, 1989) e atmosfere che spaziano da “Sister Act” (Emile Ardolino, 1992) a “Elephant” (Gus Van San, 2003), traghettando il pensiero verso saggi del calibro di “Sorvegliare e Punire” (Foucault, 1975) e “Asylums” (Goffman, 1961). Riferimenti molto differenti e testimoni della poliedricità del film, che spesso dà l’impressione di prendere direzioni opposte, verso la tragedia o, al contrario, il lieto fine.

L’intero film è ambientato all’interno di una scuola media che spicca per la sua “normalità”, non si tratta di un luogo particolarmente degradato o problematico e nemmeno di un luogo elitario. Colpisce dall’inizio lo sguardo umano della protagonista, la giovane insegnante Carla Nowak, idealista, empatica, preparata. Un personaggio che diventa il centro intorno al quale si sviluppa la trama del film, inerente la verità, la possibilità di conoscerla e l’opportunità di costruirvi intorno una coesione sociale. Nowak è capace di creare una connessione emotiva con gli alunni, tuttavia l’atmosfera è presto guastata dal presentarsi di piccoli e svariati furti, sia fra i ragazzi, nelle aule, sia nelle sale dei docenti. Furti che renderanno necessario intervenire. Inizia così un movimento paradossale ed inarrestabile per cui la soluzione sembra sempre più lontana quanto più si discute e si cerca di affrontare l’accaduto.

Come da tradizione psicoanalitica, “la verità” sfugge quanto più si cerca di afferrarla attraverso uno sforzo conoscitivo, che sia una verità soggettiva, fondata nei miti individuali e collettivi, come Freud (1937) la intendeva, che sia una verità assoluta, la “O” di Bion (1970), la verità pare poter resistere come tale solo se ci si dispone ad accoglierla, senza tormentarla.

A tal proposito qualcosa di prezioso emerge dalle prime scene, crescendo e confermandosi fino all’ultimo istante del film: la capacità del regista di mantenere una narrazione profondamente insatura, che mai, se non per brevissimi istanti, si presta a letture manicheiste o a qualche rassicurante certezza. 

Il primo intervento di risposta ai furti avviene in presenza dello sguardo inquieto e preoccupato della protagonista che, mossa da una tensione etica e morale, leggibile nei movimenti e negli sguardi più che nelle parole, pare denunciare una prima forzatura, se non un abuso. Di fatto due ragazzini vengono interrogati in presenza di due professori e della dirigente dell’istituto e viene loro chiesto di dire quello che sanno, ovvero di tradire i loro compagni. I due oppongono resistenza, ma gli adulti non si fermano e in nome di una “politica di tolleranza zero”, che la direttrice non si stanca di proclamare per tutta la durata del film, cercano escamotage per far sì che i due preadolescenti dicano. L’impressione è che da qual momento comincino a circolare correnti schizo-paranoidi inarrestabili. Ogni azione o pensiero sono passibili di essere fraintesi o di mostrarsi portatori di una molteplicità di significati ed effetti che sempre di più sfuggono al controllo di chi quei gesti li compie. La tensione verso la verità, che sia messa in atto dalla protagonista, dalla preside o dai ragazzi, sconfina spesso in una sorta di “delirio di chiarezza” (Meltzer, 1992).

Riguardo ai furti nella sala professori la protagonista, in seguito a quel primo “interrogatorio”, come presa da una sorta di impeto giustizialista, incurante delle lesioni della privacy e della dimensione degli eventi, replica in un certo modo quanto appena visto subire e lascia volutamente la telecamera del suo computer accesa e focalizzata sulla propria giacca. Il video che ne deriva innesca l’ennesima e sproporzionata cascata giustizialista e paradossale, per cui proprio l’intento di applicare la “tolleranza zero” conduce alla trasgressione dei principi di verità e rispetto che avevano mosso l’azione. Il tutto reso ancora più complesso dal fatto che il figlio della sospettata è uno degli allievi della scuola, un ragazzino particolarmente brillante. Da quel momento anche i ragazzi stessi prenderanno a loro modo ad applicare la “tolleranza zero”, cercando la verità anche attraverso svariate menzogne. Se la prenderanno in particolare con Nowak, additandola come traditrice perché non dice loro tutto, mantenendo un’asimmetria di rapporto che, se infranta, darebbe forse luogo ad ennesimi abusi protratti per amore di verità. Proprio l’intrecciarsi di aspetti relazionali simmetrici e asimmetrici che consentivano a Nowak di avere un buon ruolo di ponte e creatrice di spazi transizionali, diventa ciò che conduce verso bivi e trincee.

Epica è l’immagine in cui il ragazzo, figlio della sospettata, sceglie di restare seduto mentre dovrebbe andarsene perché espulso, opponendo una resistenza talmente tenace che sono due poliziotti a doverlo portare fuori sollevando la sedia ed innalzandolo per aria. Appare come un piccolo re sul trono sostenuto da due figure paterne in uniforme. Un’uscita trionfale e sprezzante, ma di fatto sostenuta da due adulti che rappresentano la legge, quella stessa legge alla quale il ragazzo, deluso, non era più disposto a sottostare.

Concludendo, ogni singolo frammento narrativo del film porta la mente all’Antigone di Sofocle in quanto rappresenta, per tramite di vari personaggi e situazioni, una costante lacerazione (intrapsichica e interpersonale) tra la spinta a trasgredire regole sentite come profondamente ingiuste e il desiderio di prendere parte all’istituzione rispettandone le regole stesse, in questo caso la “tolleranza zero”. Il bisticcio fra le due posizioni è talmente acceso che in una scena molto drammaticala professoressa si chiude in bagno per ritrovare la possibilità di respirare.

Riferimenti bibliografici

Bion W. R. (1970), Attenzione e interpretazione, Roma, Armando, 1982.

Goffman E. (1961), Asylums. Torino, Einaudi, 1993.

Foucault M., (1975), Sorvegliare e Punire. Torino, Einaudi, 1993.

Freud S. (1937), Costruzioni nell’analisi, OSF 11, Torino, Boringhieri, 1979.

Meltzer D., (1992), Claustrum. Uno studio dei fenomeni claustrofobici. Milano, Raffaello Cortina, 1993.

Klein M., (1957), Invidia e gratitudine. Firenze, Giunti, 2012.

Steiner G. (1984), Le Antigoni, Milano, Garzanti, 2003.

Winnicott W., (1984), Il bambino deprivato. Le origini della tendenza antisociale. Milano,Raffaello Cortina, 1986.

Vedi anche:

“Il bambino e la scuola…” di M. Stangalino e F. Mittino. Recensione di R. Pagano

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