Cultura e Società

“La terra delle donne” di M. Vallone. Recensione di P. Santinon 

29/03/24
"La terra delle donne” di M. Vallone. Recensione di P. Santinon 

Parole chiave: femminile, transgenerazionale, natura, cultura. 

Autrice: Patrizia Santinon 

Titolo: “La terra delle donne” 

Dati sul film: regia di Marisa Vallone, Italia, 104’ 

Genere: drammatico 

Fidela, l’ultima di sette figlie, viene ripudiata dalla famiglia d’origine: qualcosa non va nella sfortunata coincidenza della nascita di un’altra femmina, cui viene attribuita la natura demoniaca di coga, strega in sardo. 

Paola Sini, sceneggiatrice e protagonista della pellicola nei panni di Fidela, racconta (questo è un intervento inedito della sceneggiatrice Paola Sini che ha così salutato la sala con un collegamento telefonico prima della proiezione del film al Circolo del Cinema Adelio Ferrero in collaborazione con il Circolo Sardo Su Nuraghe di Alessandria) che per esprimere se stessi bisogna partire, lasciare l’isola e patire la nostalgia, senza la quale le memorie affettive e relazionali andrebbero perdute: lei stessa si racconta come una giovane ragazza che, a Bologna, nel tentativo di diluire la sua “sardità” come quadro culturale interno, rischiava di soffocare in un iperadattamento mutilante la sua identità. 

Fidela dai lunghi capelli di medusa, con la sua veste viola e sempre scalza come una trovatella, è narratrice della sua storia a partire da una personale esperienza del mondo piccolo e persecutorio che la circonda: nel suo resoconto rapsodico e incantato di bambina di fronte agli eventi del quotidiano non è sostenuta da uno sguardo amorevole e materno. Non esiste perchè non è percepita. 

Il suo rapporto con la natura è forte e immersivo, una sorta di sentimento oceanico in cui si rievoca il legame simbolico con la madre terra nutrice. La sua immersione nelle acque fino ad una sorta di pre-morienza estatica ricorda iconograficamente l’Ophelia preraffaellita di Millais: muore Fidela e nasce la coga, che ha un ruolo sociale riconosciuto dalla comunità di appartenenza, ma non esaudisce ancora il sentimento d’identità della protagonista nei cambiamenti che sperimenterà nello scorrere del tempo. 

Marianna, la sorella migrata in Belgio per provare cure sperimentali per l’infertilità, si incaglia nell’impossibilità di diventare moglie e madre, con il peso di un destino radioso disposto per lei come una gabbia dalla famiglia d’origine. 

L’erotizzazione della tristezza paralizza Marianna così come il desiderio frustrato di ritorno alla madre di James, straniero che arriva con lei sull’isola. La natura sessuale del suo desiderio nostalgico diventa una sorta di “Capgras rovesciato”: là dove nella sindrome psichiatrica (Sindrome di Capgras) che porta questo nome il familiare – ad esempio la moglie, il marito, il figlio – è sostituito, nel delirio, dall’impostore, dal sosia, qui è Fidela a sostituirsi alla madre che per sempre lo ha abbandonato e di cui egli si riappropria, ricostruendo nella violenza una filiazione corpo a corpo.  

Fidela si ribella al destino che altri hanno scritto per lei, diventa a suo modo madre accogliendo con sé Bastiana, figlia di una relazione meticcia e clandestina tra una donna sarda e un soldato, proprio come Bonaria Urrai, l’accabadora, “colei che finisce” e Maria, sua figlia adottiva o “fill’e anima” ovvero “figlia dell’anima”, le protagoniste dell’omonimo romanzo di Michela Murgia (2009). 

Il titolo “La terra delle donne” è un omaggio “al potere ancestrale legato al mondo del femminino” afferma la regista Marisa Vallone nel 2023 nel corso di un’intervista per la  Fondazione Sardegna Film Commission “da qui però scaturiscono altre riflessioni di tipo socio-culturale sulla definizione del ruolo della donna, tutt’oggi martoriato dalle aspettative degli altri, dalla misoginia e dalla violenza più o meno esplicita”[1] . L’intervista inserita nel sito del film, non più consultabile, per la sua promozione è stata poi ripresa da vari siti che raccontano il film e nasce per la sua promozione, non si può meglio datare ma è sul sito della Fondazione). 

I destini di Fidela e di Bastiana si intrecciano nei luoghi incantati di una Sardegna a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, in cui nuovi arrivi e nuove ibridazioni contribuiscono alla trasformazione dell’identità culturale dell’isola. 

L’arrivo del fotografo che cattura le immagini che rubano l’anima delle donne del luogo, così viene vissuta la fotografia, del medico Mamoto che studia la longevità e la fecondità della popolazione locale tra scienza e medicina tradizionale, producono contaminazioni che

l linguaggio del film, così come la musica di Vittorio Giampietro e Luis Siciliano, autori della colonna sonora del film, colgono il sedimento profondo di una situazione sociale che sembra chiusa, impenetrabile e, al contempo, la sua natura contaminata e mutevole. 

Fidela come la papessa Giovanna (capo della Chiesa nel biennio 853-855 quando, in realtà, sul trono di Pietro sedeva Leone IV) si dedica all’apprendimento e agli altri, diventa madre, e in un qualche modo fa paura perché alimenta il timore della sovversione al femminile. A questo proposito, Franco Cardini (1986, 59) osserva che“le streghe non hanno né scrittoio, né biblioteca, ma le loro conoscenze, come l’insegnamento a Roma di Giovanna dimostra, era diffuso mediante una tradizione verbale” che certo metteva in scacco la societas christiana. 

Così Bastiana, novella Giovanna d’Arco, figura storica stavolta ed eroina della riscossa francese durante l’ultimo periodo della Guerra dei Cent’Anni contro l’Inghilterra, appropriandosi di prerogative esclusivamente maschili come indossare la corazza e imbracciare le armi, indossa il pantalone per fotografare meglio e si ribella alla veste viola da femmina propria della coga, che se penso al latino cogo (che significa costringere, obbligare, indurre ma anche ridurre, restringere) rimanda proprio alla costrizione, all’intrusione di identificazioni alienanti.   

Il film racconta la capacità delle donne di spezzare la catena transgenerazionale dell’inquisizione e della punizione, di costruire un sapere connotato al femminile e messo a disposizione di tutte: ricordiamo la romana Finicella, bruciata sul rogo per aver aiutato molte sue contemporanee a interrompere gravidanze indesiderate. 

Si tratta qui di un “saper fare” tramandato in maniera pressoché invisibile, non affidato alla tracciabilità della parola scritta: una pratica femminile considerata pericolosa e da perseguitare con ogni mezzo per la pulsione epistemofilica che insidia il monopolio maschile della cultura, non sempre al servizio dei bisognosi ma molto spesso forma di potere e negazione di confronto. 

Parafrasando Freud (1932, 241) se volete saperne di più sulla femminilità rivolgetevi alla poesia di questo film. 

 Riferimenti Bibliografici 

 Cardini F. (1986). Magia, stregoneria, superstizioni. Firenze, La Nuova Italia Editrice

Freud S. (1932), Femminilità in Introduzione alla psicoanalisi O.S.F., 11.

Murgia M. (2009).Accabadora. Torino, Giulio Einaudi Editore 

Le parole della regista Vallone sono tratte da un’intervista della Fondazione Sardegna Film Commission del 2023 consultabile al link  La terra delle donne – Sardegna Film Commission


[1]Intervista alla regista Marisa Vallone: https://www.sardegnafilmcommission.it/wpfilm_movie/la-terra-delle-donne

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