Cultura e Società

“Saltburn”di E. Fennell. Recensione di G.Mattei

25/01/24
“Saltburn”di E. Fennell. Recensione di G.Mattei

Parole chiave: perversione, distruttività, manipolazione, pulsione di morte. 

Autore: Giorgio Mattei

Titolo: “Saltburn”

Dati sul film: regia di Emerald Fennell, Regno Unito, Stati Uniti, 131’

 Genere: drammatico, thriller

https://www.youtube.com/watch?v=69rBeA2batQ

Oliver Quick è uno studente di Oxford che fatica a stringere nuove amicizie e a legare con i suoi coetanei, tutti di alta estrazione sociale, a causa del carattere chiuso e delle sue origini. Una mattina, mentre si sta recando al college, conosce Felix, giovane rampollo di una famiglia nobile, rimasto a piedi con la bici. Oliver si offre di aiutarlo, e da lì in poi la loro frequentazione sarà sempre più assidua, fino a diventare un’appassionata amicizia. Così, terminati gli esami, Felix si offre di ospitare il nuovo amico presso la tenuta di famiglia a Saltburn, per i mesi estivi.

Le prime associazioni che il film suscita indirizzano verso il pastiche. La narrazione, che ha il carattere dell’autoconfessione da parte del protagonista, ricorda quella di Nick ne “Il Grande Gatsby”, allo stesso modo i genitori di Felix da magnanimi filantropi si rivelano ben presto “careless people”, per dirla con Fitzgerald (1925). Ancora, l’amicizia tra Oliver e Felix ricalca quella tra Oliver e Elio nel romanzo “Chiamami col tuo nome” di André Aciman (2007), portato sul grande schermo dal regista Luca Guadagnino.

Queste associazioni indirizzano verso un carattere “composito” nella struttura del film, che richiama alla mente il concetto teorico di oggetto interno composito (Khan, 1979), essenziale per capire la perversione (Freud, 1905), vera protagonista di Saltburn

Il protagonista, Oliver, reso magistralmente dall’attore Barry Keoghan, appare come un Robin Hood al contrario. Mentre l’eroe della foresta di Sherwood ruba ai ricchi per dare ai poveri, Oliver ruba agli altri per dare unicamente a se stesso, ristabilendo una sorta di ordine da lui deciso. Si riconosce in questa modalità la costante necessità del perverso di “ristabilire l’ordine”, cioè di ricostruire la scena primaria a suo uso e consumo, senza esserne escluso, ma escludendo piuttosto il terzo paterno (“castrandolo”) e trionfando su di esso, mentre l’oggetto materno soggiace al volere dell’Io (McDougall, 1978). Le parole che Farleigh, cugino di Felix, rivolge a Oliver sono importanti per comprendere questo aspetto: “Oliver, tu non potrai mai capire. Questo posto, lo sai, non fa per te.” A questa affermazione farà seguito un’escalation di omicidi.

Il film ritrae la forma più estrema di perversione, intesa qui come “forma erotica dell’odio” (Stoller, 1975), in cui Eros è completamente al servizio della pulsione di morte. Le relazioni che il protagonista stabilisce di volta in volta suggeriscono un tipo di relazione di oggetto in cui quest’ultimo può essere solo distrutto e fatto a pezzi. Non dobbiamo quindi farci trarre in inganno quando parliamo di perversioni sessuali, perché queste di sessuale non hanno nulla, se consideriamo intrinseci alla sessualità aspetti relazionali, costruttivi, edonistici e generativi, anche in senso metaforico.

La regia di Emerald Fennell consente un’efficace rappresentazione della scissione dell’Io (Freud, 1929; Freud, 1938; Moscara, 2018); al riguardo, è significativo quello che accade quando Oliver viene confrontato con gli aspetti contradditori del suo comportamento, sottesi alla scissione della rappresentazione di Sé e dell’oggetto in diadi di relazioni oggettuali opposte: non si realizza alcun movimento integrativo, piuttosto una regressione a un funzionamento psicosomatico, rappresentato da un forte attacco di cefalea.

Saltburn cattura l’attenzione dello spettatore, estraniandolo dallo scorrere del tempo, e lasciando infine un senso profondo di turbamento, che del resto si avverte sempre quando si viene in contatto con il male: quello che abita ogni essere umano, e che, in alcuni casi, come in Oliver, può assumere una dimensione totalizzante. E una caratteristica del male, che il film ritrae efficacemente, sulla scia della lezione di Hanna Arendt (1964) e Cristoph Dejours (2021), non è solo la capacità di infiltrare la banalità quotidiana, fino al rischio di renderci complici. È anche quella di sedurre.

Riferimenti bibliografici

  • Aciman, A. (2008). Chiamami col tuo nome [2007]. Milano, Ugo Guanda Editore.
  • Arendt, H. (1964). La banalità del male. Milano, Feltrinelli.
  • Dejours, C. (2021) L’ingranagggio siamo noi. Lavoro e banalizazzione dell’ingiustizia sociale. Milano-Udine, Mimesis Edizioni,
  • Fitzgerald, F.S. (1925). Il Grande Gatsby. Milano, Mondadori.
  • Freud, S. (1905). Tre saggi sulla teoria sessuale, O.S.F., Vol. 4. Torino, Bollati Boringhieri, 1992
  • Freud, S. (1929). Feticismo, O.S.F., Vol. 10. Torino, Bollati Boringhieri, 1992
  • Freud, S. (1938). La Scissione dell’Io nel processo di difesa, O.S.F., Vol. 11. Torino, Bollati Boringhieri, 1992
  • Khan, M.M.R. (1993). Le figure della perversione [1979]. Torino, Bollati e Boringhieri.
  • McDougall, J. (1993). A favore di una certa anormalità [1978]. Roma, Borla.
  • Moscara M. (2018). La scissione dell’Io. SpiPedia.
  • Stoller, R.J. (1975). Perversion. The erotic form of hatred. New York, Routledge.

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