Cultura e Società

E adesso? Quale futuro per le donne? di M. T. Palladino

7/03/25
E adesso? Quale futuro per le donne? M. T. Palladino

Parole chiave: Diritti delle donne, Identità di genere, Istruzione

E adesso? Quale futuro per le donne?

di Maria Teresa Palladino

Se solo due o tre anni fa mi fosse stato richiesto di scrivere qualcosa sull’8 marzo penso che avrei rifiutato di farlo. Mi sembrava una data ormai priva di un autentico significato e rientrante nelle cosiddette “feste comandate” non religiose ma laiche. Quest’anno però ho accolto l’invito perché mi pare che siamo in tempi molto diversi, tempi che ci confrontano con problemi che riemergono così da farci rischiare un arretramento globale.

Sicuramente molte delle conquiste delle donne negli ultimi anni sono attualmente sotto attacco, in parte sul piano culturale e in parte sul piano dell’organizzazione sociale.  Chi avrebbe immaginato fino a poco tempo fa di dovere di nuovo scendere in piazza per difendere il diritto all’aborto come è recentemente successo? O, ancora, chi avrebbe immaginato di doversi confrontare con dei modelli di femminilità tutta chiesa e famiglia proposti ora dallo stravincente paradigma trumpiano? Sembrano talvolta modelli lontani, anche se in Italia non sono forse mai stati del tutto abbandonati e riprendono ora vigore soprattutto al Sud, complice la penuria di lavoro femminile.

Certe conquiste erano date per definitive e, se mai, il problema era allargare la base di persone che ne potevano usufruire e ampliare le aree in cui le donne potevano essere riconosciute significative.

E invece… Invece si tratta prima di tutto di fare un lutto che certo non riguarda solo questi temi.

Come non citare il silenzio assordante che riguarda l’abbandono in cui abbiamo lasciato le donne afgane dopo le promesse di aiuto al raggiungimento di alcuni obbiettivi minimi di vita sociale? Forse, allora, è proprio questione di lutto: l’abbandono dell’idea del progresso come una caratteristica ineludibile dello scorrere del tempo.

Un’idea di progresso che naufraga di fronte ad una realtà in cui la schiavitù sessuale delle prostitute è tranquillamente tollerata e in cui lo stupro come arma di guerra è, se non accettato, considerato inevitabile. Forse più ragionevole è pensare alla storia come ad un periodo di corsi e ricorsi e considerare che ora siamo in un ciclo particolarmente oscurantista.

Certo, non è che in precedenza ignorassimo le condizioni delle donne in certe (la più parte) aree del mondo, ma ci siamo illuse che il rispetto e la considerazione generale che le donne stavano iniziando a riscuotere in Europa e in America, fossero un traino per quelle situazioni in cui pareva evidente che questi valori ancora non fossero presenti.  Preciso che non si tratta qui di confronto/scontro di culture sul femminile, ma di quelle situazioni di oggettivo sfavore per le donne presenti in ogni cultura, anche se in forme diverse.

D’altra parte dobbiamo mettere in conto che non è solo la pressione per un ritorno al passato che complica la situazione. A volte i cambiamenti sono semplicemente molto difficili da affrontare. A questo dobbiamo probabilmente attribuire l’aumento dei femminicidi che, se da un lato vengono ora rilevati mentre precedentemente erano taciuti, dall’altro sono da collegare ad una maggiore indipendenza femminile . Ora, invece di subire (vedi “C’e ancora domani”) le donne spesso cercano di uscire da situazioni difficili e per gli uomini si aprono ferite, probabili lasciti di più antichi abbandoni, che sembrano essere riparabili solo con il controllo totale dell’altro fino al punto di volerlo uccidere.

Rimane il fatto che l’insieme di questi pensieri sul femminile definisce per tutti un quadro di ulteriore incertezza intorno alle proprie coordinate di riferimento, che si assomma all’incertezza legata al venire meno di molti altri punti d’interpretazione della realtà sociale. Siamo in un mondo molto diverso da quello che tutti avevamo in mente fino a pochi mesi fa, e direi che il disorientamento è la cifra che tutti condividiamo in questa stagione.

Ma vediamo invece che cosa si muove nel nostro giardino psicoanalitico.

Il 2023 è stato il 25° anno dalla fondazione del Cowap l’organo dell’IPA che si occupa del femminile. Fondato durante la Presidenza Kernberg nel 1998 da un gruppo di analiste a New York, ha organizzato innumerevoli congressi in ogni parte del mondo e prodotto un gran numero di pubblicazioni. Nel 2001, Chair Maryam Alizade, la sua mission è stata allargato all’esplorazione del maschile e soprattutto alla relazione uomini/donne. Ricordo uno dei primi incontri del gruppo a Stoccolma nel 2002, in cui Joyce Mc Dougall aveva preso in esame la concezione freudiana del femminile. Sappiamo che Freud sul tema aveva espresso molte considerazioni, a volte contradditorie ma sicuramente in massima parte, inevitabilmente, legate al suo tempo. Aveva però, come è noto, riconosciuto di non aver capito granchè del femminile: il continente oscuro era per lui rimasto tale. Diceva allora la Mc Dougall che proprio perché lo rappresentava come un continente nero, inquietante e oscuro, impenetrabile allo guardo, mostrava di esserne insieme affascinato e spaventato. La Mc Dougall all’epoca criticava soprattutto la cosiddetta monosessualità di Freud, che sembrava prendere in considerazione solo l’invidia del pene come elemento motore della femminilità, mentre non ipotizzava l’invidia maschile per gli organi sessuali femminili e per la loro funzione riproduttiva. In quel contesto la Mc Dougall introduceva anche l’idea della perversione al femminile, idea del tutto originale, prendendo atto del fatto che esiste l’abuso delle donne nei confronti dei loro figli, talvolta sul piano fisico ma più spesso sul piano psichico.  Sono concetti con cui siamo oramai familiari, grazie anche agli studi  recenti sulla genitorialità, ma all’epoca decisamente alternativi.

Su questa scia moltissime sono state le riflessioni sul tema della specificità della costruzione dell’identità femminile, facendo tesoro delle riflessioni che avevano in precedenza fatto Melanie Klein, Anna Freud, Helene Deutsch e altre pioniere degli studi sul femminile. La lezione freudiana è stata più volte ripresa in esame nelle sue parti tuttora stimolanti e in quelle obsolete.

Gli studi sul femminile nel tempo si sono allargati a dimensioni diverse.

In primo luogo va segnalata l’importanza data al corpo.

Il corpo delle donne nelle sue varie declinazioni e specificità: l’anoressia, la bulimia, i disturbi del comportamento alimentare in genere, i comportamenti autolesionisti cosi frequenti nelle nostre adolescenti, sono stati oggetto di riflessione, spesso all’interno della relazione made/figlia, fondamentale nel processo di costituzione dell’identità femminile, come si vede nel famoso aforisma di freudiana memoria della civiltà micenea sottostante a quella greca.

Ma il corpo è al centro anche per l’approfondimento sulle  tematiche relative alla riproduzione e alla riproduzione assistita, oggetto di enormi progressi in campo medico. Molte riflessioni sono state fatte sulle implicazioni psichiche connesse con le varie tecniche di riproduzione assistita, la donazioni di gameti, l’adozione di embrioni e la maternità surrogata. Ricordiamo il bel libro di Paola Marion “Il disagio del desiderio“ che esplora le implicazioni psichiche connesse alla procreazione assistita. E ancora le riflessioni di Malde Vigneri su questi temi che si possono trovare in vari articoli della nostra Rivista. Sono considerazioni che sfidano le sistematizzazioni tradizionali psicoanalitiche e ci invitano a ripensare a queste aree con mente ancora più aperta, e a fare i conti con la realtà cercando di vederne le complicate, ineludibili implicazioni profonde.

Mi piace segnalare su questa area una serie comparsa su Netflix che si chiama “A body that works” prodotta in Israele in cui le complicate vicende legate alla maternità surrogata vengono illustrate senza censura e senza pregiudizi.

D’altra parte parlare del corpo ci porta inevitabilmente e prima di tutto al rapporto corpo e psiche. 

In questo tempo in cui il tema dell’identità di genere e della sua definizione è al centro di molte riflessioni ci si chiede se è ancora sottoscrivibile il concetto freudiano di anatomia come destino? E cosa voleva veramente dire Freud con questa affermazione? Che cosa definisce l’essere donna e l’essere uomo? E’ solo avere i genitali di un certo sesso o è questione che ha a che fare con qualcosa di mentale prima di tutto?

Non voglio aprire qui questo complesso tema, ma solo segnalare che il discorso sul femminile si articola in modo nuovo, tanto che anche  Cowap ha sta discutendo sull’opportunità di allargare la sua definizione a: Committee  on Femininity Masculinity and beyond.

Possiamo chiederci, a questo punto, che cosa augurare allora alle giovani donne in un momento in cui si intravvede poco la possibilità di movimenti collettivi di affermazione delle istanze femminili.

La messa al bando di ogni tematica woke in USA coinvolge le donne in modo potente e limita l’applicabilità delle politiche di inclusione che avevano favorito l’affermazione delle donne in molti ambiti.

In Europa eravamo ancora in attesa di vedere attuate certe politiche di valorizzazione e temo che, a questo punto, sarà difficile vederle realizzate, Con le abituali distinzioni tra Sud e Nord d’Europa

L’augurio che mi sento di rivolgere allora, se soluzione individuale deve essere, è di riuscire a scoprire e ad ascoltare e poi coltivare le proprie passioni. Non importa in quale ambito queste si manifestino: passioni per le scienze e la loro applicazione, passioni per fare le cose con le mani in tutte le varianti possibili e semplici passioni per fare bene con soddisfazioni il proprio lavoro, mettendo in gioco la propria creatività anche in ambiti in cui sembra latitare. Mi pare fondamentale imparare ad ascoltare e rispettare e fare rispettare i propri desideri profondi che riguardino  indifferentemente l’erotismo,  l’affermazione sociale, lo sviluppo di  nuove competenze, integrando la vita familiare e quella lavorativa, predisponendosi ad essere “folli e creative”( come spesso le donne sanno essere) nel declinare questi temi.

Rimane in ogni caso fondamentale, dove e quando è possibile, l’istruzione.

E’ vero che l’ascensore sociale, inteso come processo che agevola il cambiamento di stato sociale, risulta bloccato e non è più favorito come nelle generazioni precedenti dalla scuola ma l’istruzione continua a fare la differenza tanto più per le donne.

Non è un caso che una delle prime cose che i talebani hanno fatto arrivando al potere è stato impedire la frequentazione delle scuole alle donne.

E anche gli ultimi dati ONU evidenziano come la situazione delle donne sia in correlazione con il livello di istruzione: in quei paesi dove c’è accesso alla scolarizzazione la situazione delle donne è migliore.

Concludo così queste note che hanno forse uno sfondo amaro e risentono un po’ della malinconia che caratterizza questo tempo, ma che spero segnalino anche la fiducia che nutro nelle donne e nella loro capacità di tenere alta la testa anche nei momenti cupi della storia.

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

Diversità sessuale e di genere. Bruxelles 2019 report di A.D. Linciano e E. Reichelt

Leggi tutto

Corpo in psicoanalisi (Il) 2

Leggi tutto