Cultura e Società

In ricordo di Lydia Pallier di C. Busato Barbaglio

12/11/20
In ricordo di Lidya Pallier di C. Busato Barbaglio

Lydia Pallier  (1930-2020)

Dopo  aver acconsentito alla richiesta di scrivere un ricordo per Lydia Pallier, mi trovo ora nella difficoltà di  separare  tra le memorie della mia lunga analisi, l’amicizia, le confidenze, come se le parole per parlarne fossero improvvisamente tutte inadeguate e povere. Mi vengono in aiuto per definirla le parole di un candidato con lei in supervisione :‘Un cuore in continua ricerca’ e per questo utilizzerò il gruppo commosso che l’ha salutata nella mailing list o chi mi ha scritto per tentare di rendere  Lydia viva e vitale tra noi come lei era .

Partirò  da due scritti   dell’ultima generazione di candidati  in formazione con lei;  molto grande infatti  è stata la sua passione per l’insegnamento  fino all’ultimo.

 

“Mi spiace davvero tanto che non potrò farle leggere il lavoro sul quale mi ha seguito con grandissima serietà ed empatia fino a luglio.

Uno dei suoi grandi crucci era l’idea di non poter tornare allo studio di via Salaria a causa della pandemia. Io le facevo i complimenti per lo studiolo organizzatole dal figlio a casa, e lei mi diceva ‘ma qui sarei sola, a me piace parlare con i colleghi, sentire cosa succede, sarei troppo fuori dalla Società Psicoanalitica!’

Una persona di rara intelligenza, umanità ed empatia, e direi anche una donna ironica e per nulla superba. Dal primo incontro mi ha trattata con rispetto, facendomi sentire  una collega, nonostante l’enorme differenza di età ed esperienza.  Era una persona affettuosa e rispecchiante nel senso più profondo del termine. Tante volte mi ha impressionato la tranquillità e la simpatia con cui mi diceva : ‘lei l’ha detto meglio di come l’avrei detto io’. Forti sempre le sue convinzioni, ma anche dubbi e domande sul che cosa trovare di nuovo per aiutare il paziente”.

 

E ancora un’altra candidata. “La Pallier amava la psicoanalisi dedicando il suo pensiero alla formazione di generazioni di analisti. Ma prima di tutto amava la vita e questo amore per la vita era implicitamente trasmesso e vissuto nella relazione con lei. Attenta alla psiche e all’animo umano, ma anche molto attenta alla realtà e ai contesti che contribuiscono alla formazione della psiche stessa. Oggi sarebbe stata la prima seduta della settimana, e l’attacco terroristico in Austria sarebbe stato un argomento di analisi invitandomi a riflettere in modo analitico, ma non solo, sull’evento. La realtà in tutte le sue forme era parte integrante del percorso analitico con lei, non qualcosa che doveva essere tenuto fuori dalla stanza di analisi o necessariamente ricondotto ad un mero istinto di morte. Mi mancheranno le nostre conversazioni geopolitiche, economiche e sociali. La sua curiosità su dove sta andando l’umanità. Il suo interesse nel cercare di capire quello che per lei era il nucleo della sofferenza umana contemporanea: il non diritto alla vita.. Si rammaricava molto quando sentiva che non c’era abbastanza  condivisione  degli analisti su questi temi .  Esortava molto noi giovani allievi a dedicarci alla ricerca in questo senso. La sua libertà e onestà intellettuale e di idee, il suo buon senso applicato anche alla psicoanalisi, la sua umanità, l’ascolto attento e puntuale teso ad essere sempre vicino all’esperienza del paziente sono per me la sua più grande eredità. Una grande perdita per tutti noi che l’abbiamo conosciuta amata e apprezzata, ma anche per la Psicoanalisi Italiana”.

Le mail di partecipazione al lutto   comune la descrivono come una donna ‘libera’, ‘curiosa’, ‘estremamente acuta e intelligente con un luminoso stile personale e intellettuale una psicoanalista capace di grande vicinanza emozionale, e con una grande cultura storica della psicoanalisi che fluiva dai suoi pensieri e dalle sue parole con grande spessore, ma anche con limpida semplicità e signorile sapienza’.

Da molti è ricordata anche per un solo incontro ai colloqui di selezione:

“Lydia Pallier è stata una dei miei collocutori ai primi colloqui, insieme a Matte Blanco e Lussana. Dei giganti, ora come allora.   Ricordo ancora le domande che mi rivolse. Alcune le uso ancora oggi durante i colloqui di consultazione. Così come non dimenticherò mai la mia commozione  quando mi domandó : “qual è stato  il periodo più  felice della sua vita?  e quello in cui ha patito di più? “. Ero sicura di non aver superato il colloquio, ma poi, sulla porta, nel salutarmi mi strinse la mano, sorrise e mi fece gli auguri. Un grande insegnamento in un incontro di 40 minuti.”

 

Si, questa era Lydia che colpiva e rimaneva impressa, ricordata per la sua eleganza,   e per il suo occupare la scena con forte presenza ma anche con uno stile personalissimo. Mi è sembrato importante partire da queste testimonianze  che tracciano  tutto ciò che al di là della parola viene trasmesso.

Lydia arriva in Italia giovanissima , si laurea a Roma alla Sapienza  in medicina e  chirurgia e si specializza in clinica oculistica  e poi inizia il suo percorso di Analisi con  Nicola Perrotti  . Raccontava la fierezza di  averne nel tempo ereditato la stanza; in quello studio oltre a lei molti analisti della prima ora: Perrotti, Tagliacozzo, Soavi.

Dai molti racconti fatti a me,  come ad altri,  e in modo particolare a Maria Adelaide Palmieri,  che con lei ha per 25  ha anni condiviso lo studio, ricordiamo che Lydia è fuggita  da Praga  per via del regime comunista che aveva tentato di coinvolgerla in una sua partecipazione, dopo aver lei prima vissuto l’occupazione nazista . Tutto questo ha segnato il suo essere al mondo e l’occuparsene  in una perenne ricerca del ‘giusto’ avendo sviluppato uno spirito particolarmente attento    ai bisogni e alle istanze di libertà,  insieme ad una sua personale  originalità di pensiero.

Alcuni suoi testi sulla noia, la vergogna  e l’idealizzazione dell’analista oltre a quello suo più importante sulla fusionalità, testimoniano  la sua incessante  ricerca , curiosa  sull’attualità del pensiero psicoanalitico nel suo evolversi anche  nel confronto con le scienze limitrofe. Le bibliografie dei suoi articoli ne danno ampia testimonianza.

Centrale nella sua ricerca l’indagine sul tema della fusionalità  al quale   ha continuato a pensare elaborandone sempre  nuovi   elementi significativi . Nell’ ultimo convegno del marzo  2019 “Fusionalità storia del concetto e sviluppi attuali” ‘ripuntualizzava i suoi stessi concetti   e chiamata a intervenire, fuori programma,  quale esponente dello storico gruppo, Neri, Pallier ,Petacchi, Soavi, Tagliacozzo, emozionata ha ringraziato  Neri per avere descritto in modo toccante il loro lavoro di un tempo, in cui lo stesso funzionamento del gruppo, basato su un buon rispecchiamento nel rispetto delle individualità, ha favorito lo sviluppo del concetto di fusionalità da considerarsi fisiologica, diverso da quello di simbiosi per lei patologica, e come  qualcosa che comincia dall’inizio della vita e continua fino alla fine. (Dal report del convegno). Già dal suo primo scritto la fusionalità veniva da lei descritta come l’esperienza di “uno stare insieme  in un fiume, nel mare,…”

Il suo interesse per Kohut e per l’oggetto rispecchiante la portava a continuare a ri-pensare  lo stesso concetto di fusionalità nei termini dell’attualità.

Non è possibile finire il ricordo senza  nominare Giulio Cesare Soavi suo compagno di vita, di ricerca, di studio e di innovazione. I suoi figli e i nipoti. Una storia ricca di anni e… di ‘vita’.

Che aggiungere ? Sicuramente la gratitudine per ciò che è stata ed ha trasmesso oltre all’impegno che ci ha consegnato di essere continuamente in ricerca, liberi, nello studio e nella vita, nel condividere  e sperimentare possibilità nuove di lavoro per meglio rispondere  e stare con chi ci chiede aiuto e, come diceva lei , con chi  non sente diritto alla vita perché qualcosa all’inizio  e nel prosieguo non ha funzionato. Per chi non ha sperimentato e non risperimenta fusionalità in attesa però, e possibilmente, di una nuova esperienza che gliela faccia concepire e godere.

 

Grazie Lydia

 

Carla Busato Barbaglio

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