Cultura e Società

Tutto su mia madre

22/02/11


Testo Teatrale di Samuel Adamson
Basato sul film di Pedro Almodovar
Regia di Leo Muscato
Produzione Fondazione Teatro DueTeatro Stabile del Veneto


Sinfonia per anime sole

La vicenda è tratta dell’ omonimo film di Pedro Almodovar, il testo è adattato per la scena teatrale da Samuel Adamson, la regia è opera di Leo Muscato.
Tre uomini per rappresentare un universo tutto al femminile in cui, anche gli uomini, sono donne, almeno a metà. Donne che ruotano intorno a due transessuali: Agrado, unico elemento di legame attuale tra le protagoniste, e Lola, il cui "sangue" è anche morte. Sette esistenze segnate dal continuo intrecciarsi di due spinte, Eros e Thanatos, che, insieme, caratterizzano le scelte individuali e l’ incontro con l’altro. Agli estremi della narrazione due Esteben, entrambi figli di quel primo Esteban che poi divenne Lola: uno muore all’ inizio, nel giorno del suo compleanno, l’ altro alla fine si salva.
Una trama complessa che rischierebbe di diventare complicata se l’ elemento della meta-teatralità che vi è incluso non rispecchiasse le stesse vicende: il teatro nel teatro (o nel cinema), la finzione che diviene realtà e la realtà della finzione. Temi questi che risultano già presenti nell’ idea originale di Almodovar che, sin da bambino, vide nella capacità di mentire delle donne la possibilità di evitare più di qualche tragedia: le donne, occultando e fingendo, permettono alla vita di scorrere.
Viene allora spontaneo domandarsi se sia questo il motivo per cui, in questa storia, alcuni uomini desiderano fingersi donne, fingere per continuare a vivere. A quel giovane uomo che decide di andare alla ricerca dell’altra parte di sé, quella maschile, accade infatti di andare incontro alla morte.
Quali strade percorrere quando manca la possibilità di far fronte alla realtà se non mentire, rimanere nell’ incertezza o morire? Su questo interrogativo – per noi psicoanalisti – potrebbero aprirsi numerose questioni di grande interesse ma, almeno per il momento e in questa sede, le tralasciamo consapevoli del fatto che quando Almodovar parla delle sue opere ama sottolineare che la storia ha avuto origine da un fatto reale: all’ artista il compito di trarne una storia, un film, un’ opera teatrale, alla psicoanalisi, se lo vorrà, quello di interrogarsi sui possibili significati.
In "Tutto su mia madre" i principali interrogativi sembrano articolarsi intorno a due grassi assi dialettici, da un lato il già accennato rapporto tra verità e finzione, dall’altro quello tra autentico e artificiale.
" Costa molto essere autentici ma non dobbiamo essere taccagni con la nostra apparenza. Una è tanto più autentica quanto più assomiglia al proprio ideale" afferma Agrado qui interpretato da una Eva Robbins capace di mettere autenticamente in scena se stessa e la sua fisicità artificiale. Una recitazione, la sua e quella di Elisabetta Pozzi/Manuela, in cui gli attori "sono" i personaggi piuttosto che rappresentarli.
Una scenografia essenziale ma capace di evocare anche la velocità con cui, dopo l’ iniziale presa di coscienza, gli eventi e i cambiamenti si susseguono. Ai diciotto anni caratterizzati dal silenzioso e tranquillo occultamento della realtà segue l’improvvisa morte di Esteban, la consapevolezza di una tragica solitudine, la fuga e il desiderio di rivelare l’ accaduto proprio a quell’essere misterioso fino ad allora volutamente ignorato. Da questo desiderio
di dire la verità nasce l’ incontro con altre figure e con altre solitudini.
"Sinfonia per anime sole" è infatti la definizione che Leo Muscato ha attribuito a quest’ opera teatrale. "Manuela, oramai priva del suo unico riferimento affettivo, si mette in viaggio e, in questo viaggio, incontra altre donne in bilico sul ciglio della vita, ognuna con il suo dolore che gli morde in petto, in una sorta di basso continuo in questa sinfonia per anime sole" (Leo Muscato,2010).
Anime sole ma, alla fine, capaci di riprendere vecchi legami e di costruirne altri al di là degli schemi della famiglia tradizionale.
"Chiunque lei sia, ho sempre confidato nella bontà degli sconosciuti" diceva Tennesee Williams per bocca di Blanche Dubois in "Un tram che si chiama desiderio". Qui la bontà sembra essere quella delle donne quando mentono ma anche quando, seppure alla fine, decidono che all’ultimo Esteban si potrà anche non nascondere la realtà di quell’altra parte di sé, quella maschile, che questa volta non si può incontrare perché è morta davvero.


Silvia Mondini
Febbraio 2011

 

 

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