Cultura e Società

“La ragazza che ero, la riconosco” a cura di Silvia Neonato. Recensione di Renata Rizzitelli

17/04/18
“La ragazza che ero, la riconosco” a cura di Silvia Neonato. Recensione di Renata Rizzitelli

La ragazza che ero, la riconosco

a cura di Silvia Neonato

Iacobelli Editore, Roma

2018

Recensione di Renata Rizzitelli

 

Il bellissimo titolo: “La ragazza che ero, la riconosco”, oltre a rispecchiare il senso di questo libro, emoziona profondamente  chi ha partecipato e vissuto in quei mitici anni e chi invece ne ha soltanto sentito parlare;  perché esso racchiude in sé l’intima essenza di chi riesce a raggiungere l’armonia fra il passato ed il presente, metabolizzando dentro di sé lo scorrere del tempo. Mantenere vive e vitali le varie tappe della vita, rimanendo in contatto con i diversi modi di essere, è un traguardo non sempre facile da raggiungere e  rendere costante nel tempo.

All’inizio degli anni ’70,  Maria Alacevich,  Marta Baiardi,  Rossana Cirillo,  Maria Pia Conte  (collega ordinaria della S.P.I.), Silvia Neonato (curatrice anche della pubblicazione), Marina Olivari, Giulia Richebuono, Giovanna Sissa, si incontrano nella città dove vivono, Genova, facendo parte del nascente collettivo femminista legato al Manifesto.

In seguito il collettivo diverrà pienamente autonomo e, al suo interno, in tutta Italia, nasceranno gruppi più piccoli. Le autrici si erano  incontrate proprio in questo contesto, condividendo una situazione molto importante per il movimento femminista: l’autocoscienza. Sarà proprio questa esperienza, così intima ed importante, che le porterà, dopo tantissimi anni, quasi l’intera vita, a cercarsi e ritrovarsi. Dopo decenni, trascorsi lontane le une dalle altre, riscoprono il filo conduttore che le ha accomunate, cercando i cambiamenti fra il prima e il dopo generati dal movimento del quale hanno fatto parte così intensamente,  confrontandosi a posteriori sulle differenze dei punti di partenza fra di loro. Un conto è stato partire da culture familiari dove un certo pensiero era presente, un altro invece doversi opporre a sistemi culturalmente ed ideologicamente molto lontani dalla possibilità di equiparare i diritti fra uomini e donne.

Il lavoro svolto in quegli anni, non solo nelle manifestazioni e nei cortei, ma proprio in questi piccoli gruppi di autocoscienza, ha lasciato una tangibile eredità a tutte le donne: si trattava di una vera e propria pratica politica. Quel sedersi in cerchio parlando ognuna delle proprie esperienze ha consentito di mettere a fuoco moltissimi problemi inerenti la condizione della donna in ambito familiare ma anche in quello politico e lavorativo.

Ebbene, questo libro ci consente di partecipare a quelle riunioni fra donne perché rispecchia appieno il clima e lo svolgersi di pensieri e condivisione, con l’intento che accomuna le partecipanti: “il raccontarsi alle altre”, oggi anche attraverso l’idea di pubblicare questa esperienza, raccontarsi al mondo, ritrovando quasi magicamente la possibilità di: “parlare come allora in cerchio, quasi subito riprendendo senza quasi accorgercene le posture e l’intensità comunicativa del nostro giovanile collettivo”. L’esperienza delle partecipanti è stata ed è profonda e pregnante ed è molto coinvolgente anche per il lettore che, prescindendo dalla piacevolezza della lettura, viene catturato, soprattutto se donna, entrando direttamente e potentemente nella sfera di ciò che ognuna delle scrittrici descrive della propria vita, come aprendo un cassetto sconosciuto ma nel quale ci sono cose che ci rimandano alla nostra vita, alle nostre cose. Il comune denominatore che accomuna é  la condizione della donna, i cambiamenti e le conquiste che in quegli anni, pieni di energia e potenza, hanno di fatto cambiato le nostre esistenze.

I mondi che le scrittrici descrivono, attraverso l’autocoscienza fra loro, consentono un’introspezione intima e feconda, una sorta di ricognizione storica di noi stessi. Leggendo questo originale libro-testimonianza non si può fare a meno di chiedersi chi e come saremmo stati senza il ’68, ritrovandosi a pensare a quante e quali trasformazioni del nostro modo di essere ma anche della società si siano verificate attraverso quel periodo. Per questo il libro può essere altrettanto coinvolgente anche per gli uomini.

 

«Quegli anni nel collettivo femminista sono stati fatali, hanno messo dentro di me i semi delle scelte e degli accadimenti futuri (…) un seme che comincerà a fiorire più tardi, quando le condizioni saranno favorevoli, proprio come i semini del deserto che aspettano a lungo la pioggia».

 

«Quando, a distanza di tempo, rimetto insieme persone, luoghi e date, mi rendo conto che la mia esperienza femminista è durata appena quattro anni. Quattro anni però che hanno segnato la mia vita sotto molti aspetti, che hanno demarcato un ‘prima’ e un ‘dopo’».

 

Attraverso la lettura, si delineano i rapporti difficili con la figura materna, con la genealogia

femminile, con il mondo maschile, l’aver potuto trovare o no un “modo” ma anche riconoscendo  il filo conduttore trans-generazionale :

 

«Il mio rapporto con mia madre e mia nonna non è sempre stato pieno di gratitudine. Per un lungo tempo della mia vita mi sono concentrata su ciò che mi pareva mi avessero tolto piuttosto che su ciò che mi avevano effettivamente dato. E’ in questo stato d’animo che ho cominciato a partecipare al movimento femminista nel 1973».

 

Esiste nel libro anche un’autocritica, una valutazione dei punti critici, a volte degli errori:

 

«Per molte di noi – per me di sicuro – il collettivo di autocoscienza e il femminismo, le cose inedite che evocavamo, gli incontri sorprendenti di quegli anni, quel che ci siamo dette e che abbiamo ascoltato dalle altre, quel che abbiamo vissuto, imparato, sofferto, amato e le singolari modalità subliminali in cui tutto questo veniva elaborato e assorbito, l’eterno presente in cui vivevamo, disegnavano un tempo e uno spazio fuori dell’ordinario, ricreato, fatto di passaggi veloci e imprevisti di ambienti e persone…».

 

Ed infine, la realtà odierna, gli anni che sono passati:

 

«Mi dispiace invecchiare, spesso ho un senso di smarrimento, di vulnerabilità mai sperimentata prima e qualche mese fa, mentre guardavo una partita di pallanuoto, ho invidiato la forza tranquilla di quei giovani che parevano avere il mondo in mano. Eppure devo ammettere che non sono mai stata serena come oggi, libera dallo sguardo maschile e dalle troppe inquietudini della giovinezza».

 

Il rapido sguardo alla depressione fisiologica creata dall’invecchiamento può essere ricondotto al lavoro di confronto e riflessione su di sé e sulle compagne di avventura, alla

condivisione di emozioni e storie? Probabilmente questo è un altro dono del femminismo.

 

“Anche le poche convinzioni che mi animano oggi (…) mi pare che derivino da lì, da quegli anni in cui non ho fatto la rivoluzione, ma sicuramente ho rivoluzionato il mio punto di vista sul mondo».

 

 

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