Cultura e Società

“L’Eletto” di T. Mann. Recensione di A. A. Semi

31/01/24
"L’Eletto" di T. Mann. Recensione di A. A. Semi

Parole chiave: Edipo, Psicoanalisi, T. Mann, Inconscio

L’ELETTO di T.Mann

Recensione di A.A. SEMI

Volete leggere qualcosa di strano, sorprendente, inquietante e anche divertente?

L’Eletto di Thomas Mann (1951) fa per voi. È disponibile nel Meridiano, che comprende anche Charlotte a Weimar e le Confessioni dell’impostore Felix Krull, a cura di Luca Crescenzi (Thomas Mann, Romanzi, Vol.II, Mondadori, Milano, 2021).

Si tratta di una storia molto psicoanalitica, quasi una riformulazione della vicenda di Edipo ma con esiti e vicende molto diversi da quelli cui siamo abituati. E proprio perciò con una dimensione interrogativa, che non può lasciare indifferenti, nei confronti del lettore. Chi si è familiarizzato con la prosa di Mann attraverso i Buddenbrook o anche La montagna magica all’inizio si troverà spiazzato. Qui, le note francamente umoristiche, l’ironia e a volte il sarcasmo dominano il testo, salvo poi spingere – come proprio di ogni vera ironia – a chiedersi se di ironia si tratti oppure di affermazioni nude e crude, limitate a quel che dicono apparentemente. Insomma, a chiedersi di quale realtà umana stiamo leggendo e se “per caso” non si tratti della nostra realtà interiore. O invece della realtà esterna, del mondo in cui stiamo vivendo, più specificamente della nostra Europa. Qui Kulturarbeit eriflessioni sull’inconscio individuale si embricano, fino a delineare una trama che dall’impersonalità dell’Es e delle sue pulsioni comuni a tutti, a poco a poco diventa una narrazione del dramma della soggettività possibile o impossibile e comunque intrisa di colpa ma anche una descrizione di una possibilità, rara, forse eccezionale, forse solo episodica eppure felice di assumere la responsabilità di sentimenti e sensazioni che, pur travolgenti, diventano basi fortissime, costitutive dell’Io.

La storia dell’Eletto, destinato a divenire papa col nome di Gregorio, è una storia di incesti e delle loro conseguenze, cioè di amore sconfinato – il primo tra fratelli e il secondo tra madre e figlio, frutto del primo incesto – perché supera appunto i confini culturalmente ed eticamente stabiliti ma anche storia di colpa non suscettibile di remissione e di assoluzione. Però è anche una storia scritta da Clemens, scrivano di un prestigioso monastero (quello di S. Gallo, in Svizzera) in una lingua che è intrisa di antico-alto tedesco, di elementi lessicali presi dal tedesco-svizzero, dal bretone, dal latino, insomma in una lingua non-lingua che pone il problema della nascita del linguaggio e della sua differenziazione in lingue date, singole, che tuttavia spingono a ritornare alla loro comune (comune?) origine o alla loro possibile confluenza. Per di più, questa scritta da Clemens d’Irlanda è una storia ripresa dalla Vie du pape Grégoire (del XII secolo) a sua volta ripresa da Hartmann von Aue, sulla fine di quel secolo, ne Il buon peccatore e poi ancora diffusa (in latino) in tutta Europa, come utilmente ci insegna Elisabeth Galvan, autrice della notevole introduzione al romanzo. È dunque anche una storia d’Europa? Una storia radicata in un passato remoto ma ancora da giungere ad un suo felice compimento?

Si sa in che secolo scrive Clemens? Bella domanda, si direbbe, sennonché lui stesso ci risponde che, poiché lui è lo spirito del racconto personificato, non c’è assolutamente nulla da sapere, anzi lui stesso – spirito del racconto – si rallegra di questa astrattezza. Perciò in tutto il romanzo una storia è quella dei protagonisti apparenti, oggetto della narrazione, un’altra e non secondaria è quella di Clemens e dell’interrogativo relativo alla sua identità. Chi è Clemens? Un monaco, uno scrivano del tutto mancante di esperienze personali simili a quelle di Wiligis e Sybilla e poi del futuro Gregorio, o è appunto lo spirito (del racconto, sì, ma anche lo Spirito in assoluto, lo Spirito Santo mai nominato se non attraverso i miracoli oppure l’apparato psichico in toto) o uno che chiede a ciascuno di noi lettori di accorgerci che lui è un’incarnazione del nostro pensiero? Incarnazione, già! Perché il corpo, qui, ha tutta una propria presenza che Clemens deve intravvedere e psichicamente sperimentare mentre i protagonisti lo sperimentano e debbono progressivamente farlo accedere al pensiero.

Tralascio qui – ma leggendo l’introduzione e le note al testo lo scoprirete – l’attualità dell’Eletto e le implicazioni di questo romanzo con la storia del Novecento e particolarmente con la storia degli intellettuali tedeschi durante e dopo il nazismo. Mi basta solo indicare come, quasi profeticamente, Mann scriva un romanzo che indica un progetto europeo come solo possibile progetto civile e viceversa tratteggi la continua possibilità dell’Europa di cadere nella barbarie. Quanto la soluzione del conflitto edipico abbia a che fare con queste macrodinamiche è il quesito che – mi sembra – Thomas Mann ci obbliga a considerare. E per il quale proviamo gratitudine nei suoi confronti.

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