Cultura e Società

“L’interpretatore dei sogni” di Stefano Massini. Recensione di Daniela Federici

12/03/18
"L’interpretatore dei sogni" di Stefano Massini. Recensione di Daniela Federici

L’interpretatore dei sogni

di Stefano Massini (Mondadori, 2017)

Recensione a cura di Daniela Federici

 

“Gli incubi non si fanno smettere,

gli incubi si trasformano in discorsi.”

L’interpretatore dei sogni

 

“Osservarli è tutto. Osservare i corpi, gli sguardi, osservare questa umanità sorpresa di se stessa che viene a svelarmi le voci che ha dentro, senza riconoscerle.”

L’invenzione letteraria di Massini è quella del diario tenuto da Freud, dove sono annotati passaggi delle sedute con i suoi pazienti o momenti di vita casalinga, riflessioni di un dialogo interiore alla ricerca del senso dei sogni.

 

Si autodefinisce un clamoroso falso letterario e lo diventa per le qualità del suo Autore, saggista e autore teatrale, che mostra la tessitura di uno studio approfondito sull’umbratile materia, la curiosità sapiente per dare forma immaginativa a un Freud ricercatore, ai suoi pensieri e all’incontro con gli altri che li ispirarono. Il piacere dell’indagine è probabilmente un punto di incontro con il suo personaggio, che traccia nel profilo di un’umanità arguta e protesa alla scoperta.

Complici forse i suoi studi di lettere antiche, la scrittura di Massini ambienta molto credibilmente il lavorio per “sciogliere la lingua del sogno, come fosse un geroglifico, decrittando la sua oscurità”. L’enigma dei segni e quello dei sogni. Il romanzo assume a tratti il respiro di un giallo, con Freud nei panni di un astuto investigatore che raccoglie scrupolosamente gli indizi per arrivare alla verità. Analitica condizione esistenziale dell’umano.

Per un drammaturgo, quale miglior pretesto narrativo del teatro del sogno per una mise en scene? Non a caso il romanzo è diventato anche una pièce teatrale.

 

Come scoccò la scintilla? Come lo incuriosì l’enigma: “Chi parla, in me, nei miei sogni?”

L’incipit è un sogno che il narratore attribuisce al Freud voce narrante: “quella notte vennero a rapinarmi: sognai di avere un sosia. Era a tutti gli effetti un altro me stesso, a cui tutti si rivolgevano. Io non esistevo più, c’era solo lui. Identico a me eppure altro da me, così da prendere il mio posto.”

Wo Ich war…?

I giochi si aprono sull’ascolto dell’alterità, fuori dallo spazio della coscienza di appartenerci e avere noi le chiavi, laddove si misura la crisi di ogni uomo quando perde se stesso, quando “cede parte di sé, e accetta di far parlare l’altro.”

Sarò l’altro che senza saperlo sono, scriveva Borges.

Massini immagina in quel senso di sottrazione l’origine della discesa nel labirinto dei sogni, il suo ombelico. La voce narrante di Freud intreccia poi quella scintilla con una riflessione sullo scoprirsi ladro a sua volta, avendo ri-sognato, rielaborandolo, il sogno di un collega.

Sono diversi il passaggi in cui il racconto si raccorda con il saggio freudiano, minuscolo unheimlich da addetti ai lavori.

Intrigante il gioco delle parti del romanziere, che disvela al Freud personaggio i tranelli di prestiti e ruberie per cui “siamo il nostro discorso. Solo in apparenza parliamo del mondo. L’unico mondo di cui parliamo porta la nostra faccia.”

Così il ritorno dal parco di Martha con i bambini, permette a un Freud domestico di osservare come nel racconto di un medesimo episodio, ciascuno di loro conferisca all’esperienza una propria veste narrativa: “appena si è trattato di raccontare, ecco che immediatamente il vero oggetto del racconto è stato il proprio essere, il proprio sentire, il proprio vibrare. Nella nostra disperata sete di conoscerci, noi in realtà scaviamo di continuo in fondo al pozzo di noi stessi.” Mettiamo in forma qualcosa di vitale e profondo di noi.

 

Con una cifra stilistica che coniuga linguaggio di ricerca e racconto autobiografico come nel saggio cui si ispira, Massini inventa il diario della scoperta, dell’elaborazione del metodo per comprendere l’idioma dei sogni.

“Interpretare un sogno è cercare dentro chi lo ha fatto il senso di ogni sua minima parte, perché il sogno non procede per pensieri ma per immagini.”

La trama manifesta da smontare, la minuziosa esplorazione di ogni elemento nella disamina di impressioni che si espande come cerchi nell’acqua, i tempi di gestazione necessari al libero flusso di coscienza fra associazioni, emozioni, ricordi, la ricombinatoria di un nuovo ordine di significati che svela una filigrana sotto la superficie. Rapinoso gioco dell’immaginario.

“Ogni sogno inizia dove qualcosa in noi dice di lasciar perdere”.

Veniamo calati capitolo dopo capitolo nel procedere di domande e risposte: perché si sogna? I sogni sono una necessità, appigli che impediscono di cadere. Cosa li alimenta? Perché il ricordo è labile?

Il loro ri-velare e la trama delle resistenze, quelle altrui e le proprie, che la tenacia dello scopritore non si esime mai dal mantenere oggetto di indagine. “Si muovono, dentro ognuno di noi, consapevolezze inaudite. Nascoste perlopiù nell’ombra, esse talvolta emergono in superficie…” L’osservazione minuta dei sogni lungo piccole tappe di scoperta: il filo del desiderio e la raffigurabilità, la drammatizzazione, il non conoscere negazione, il servirsi del passato per raccontare il presente, il nascondimento dietro gli elementi secondari.

Massini intona l’inesausto bisogno di comprendere le ragioni del caleidoscopico universo d’alterità che ci abita, la sua spinta a liberarsi dalla propria reclusione e la battaglia che vi infuria contro, il negoziato artistico dei suoi camuffamenti.

Ne emerge un Freud prometeico, che porta luce sulle procedure di significazione simbolica della mente e sul suo continuo creare elaborativo, sullo sfondo di un inconscio tutt’altro che irrazionale, fine tessitore di materiali di scarto in retoriche raffinate.

Massini ha sognato il padre della psicoanalisi e ne ha tratto un libro acuto e coinvolgente, che vien voglia di andare a vedere in teatro.

 

Alla fine, fuori dalla finzione letteraria, il romanziere si fa interprete dell’interpretatore.

Colpito dal ricorrere dell’immagine di una montagna in molti sogni dei suoi pazienti, Freud si convinse che ciò fosse dovuto a una stampa del Grossglockner che faceva bella mostra in corridoio. E la rimosse. Ma ciò nonostante nei pazienti permase la metafora fino ad attribuirgli il soprannome di “medico delle alte vette”. Per Freud restò un enigma.

Gli sfuggì l’associazione che riceveva i suoi pazienti al 19 della Berggasse e Berg, in tedesco, significa montagna.

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