Cultura e Società

“Riflessioni psicoanalitiche su scrittura, cinema e arte” di P. Golinelli. Recensione di E. Marchiori

21/12/21
“Riflessioni psicoanalitiche su scrittura, cinema e arte” di P. Golinelli. Recensione di E. Marchiori

“Riflessioni psicoanalitiche su scrittura, cinema e arte. Di fronte alla bellezza e alla perdita” di Paola Golinelli

FrancoAngeli, 2021


Recensione di Elisabetta Marchiori


Quando ho visto la copertina del libro di Paola Golinelli, rosa intenso, con il disegno di un fiore dello stesso colore che si staglia su un cielo notturno, si è subito fatto sentire il desiderio di leggerlo. Nello stesso momento, mi è venuto in mente il famoso e enigmatico verso di Gertrude Stein “Una rosa è una rosa è una rosa”. Un verso magico che, nella ripetizione di un’unica parola, ne lascia intendere i molteplici significati cui da sola può alludere, lasciando al lettore la libertà di riempirla con quelli che più gli appartengono e più gli sono vicini.
Quello che voglio dire è che i colori, l’immagine del fiore, le parole del titolo che risuonano così intonate, poetiche ed evocative, inducono emotivamente il potenziale lettore ad esperire un precoce “brillio” di quei sentimenti universali di bellezza e di perdita che la lettura di questo libro riesce a far vivere, così come quel verso. Sentimenti universali, certo, ma anche strettamente personali – lo sappiamo anche dal Piccolo Principe di Saint- Exupéry che non c’è una rosa uguale alle altre! – che prendono in causa ciascuno di noi in modo diverso, in relazione alle nostre personalità, alle nostre conoscenze, alle nostre passioni.
Così questo si presenta come un libro cui è difficile dare una collocazione precisa, come s’addice a tutto quello che appartiene all’ambito della creatività e delle opere d’arte: raccolta di saggi di psicoanalisi applicata ma anche memoir, testo da studiare ma anche da godere come una raccolta di racconti, interessante per addetti ai lavori ma anche
fruibile da qualsiasi lettore.
Chi conosce Paola Golinelli sa del suo rigore come psicoanalista e delle sue competenze in ambito culturale e in particolare riguardo il cinema, che questo volume mette in evidenza. Ricordo solo che è stata, dalla sua prima edizione nel 2001 fino alla settima (l’ultima, la decima, si è svolta nel 2019), consulente italiana nel Board del Psychoanalytic European Film Festival e membro del International Psychoanalytic Association “In Culture Commettee” e che ha al suo attivo innumerevoli presentazioni di film a convegni nazionali e internazionali, oltre che pubblicazioni in riviste prestigiose e in diversi volumi collettanei.
Un ulteriore – e sorprendente – merito di questo libro è quello di mettere in luce anche altri aspetti dell’autrice, che riguardano la sua storia e rivelano l’origine precoce della sua passione per il cinema e per tutto quello che riguarda l’arte. Fa scoprire le sue capacità di narratrice, oltre che di raffinata, attenta studiosa e psicoanalista con grande capacità clinica.
Alla fine del libro, il lettore ha l’impressione non solo di sentirsi riconosciuto, ma anche di essere riuscito a fare con lei un percorso di elaborazione rispetto ai vissuti di perdita, di mancanza, di nostalgia, insiti nella bellezza della vitalità e della creatività.
E questo grazie soprattutto all’incipit del libro, una commovente dedica al “bellissimo” padre, che Golinelli ricorda con affetto e gratitudine per averle offerto “il dono di incantarmi di fronte a un’opera d’arte”. È lui per primo a portarla al cinema, e io mi sono immaginata una bimba dai capelli rossi innamorata del proprio papà entrare in quelle sale – allora piene sicuramente di fumo e con le sedie di legno – dove la portava forse per rendere più “amichevole e vivibile ciò che lo circondava”. Un padre che “aveva dovuto troppo in fretta assumersi la responsabilità di adulto” e che al cinema tornava bambino con la figlia a riempire la sala di “risate inconfondibili per la loro sonorità e freschezza infantile”. Ma i padri – e non solo loro – vengono a mancare, si percepisce il vuoto, l’assenza … come è facile identificarsi!
Sono queste scene un esempio della capacità di mantenere viva l’immagine mentale di quella esperienza fondante di bellezza che è l’incontro con l’oggetto che ama e da cui si è amati, e che consente di sopravvivere alla sua perdita. Un’esperienza che ha molti punti in comune con la talking cure e con quella dell’incontro/incanto con l’opera d’arte e al distacco da essa, come spiega in termini poeticamente psicoanalitici l’autrice nell’introduzione, creando un fil-rouge che si dipana lungo i diversi capitoli che compongono il libro.
Golinelli sceglie di lasciare la clinica in senso stretto per entrare nella “psicoanalisi applicata”, intesa come “un’esplorazione psicoanalitica nel vasto campo della cultura”, seguendo le orme tracciate da Freud e ribadendo il primato della psicoanalisi come “modello polivalente di lettura e interpretazione del mondo interno ed esterno, una lente fornita da un obbiettivo che fa intuire e intravvedere verità nascoste, occultate, che non hanno un’unica chiave interpretativa”.
Tutto questo indubbiamente esce dal setting della stanza d’analisi ma, si sa, quello che esce dalla porta rientra dalla finestra. Attraverso i racconti di scene, trame di film e serie televisive, di quadri, di canzoni, di libri, i pazienti parlano di loro stessi, facendo emergere e scoprendo parti ancora invisibili e inconsce che la condivisione con l’analista permette di trasformare in insight. Oppure, con le loro parole toccano qualcosa nell’analista di così intimo e profondo da suscitare la necessità di scrivere legata “al dinamismo interno e al lavoro di elaborazione del lutto”. Attorno a questo tema ruota il primo capitolo del volume dal titolo “Perché scriviamo? Scrittura psicoanalitica e finzione”. Ad esso segue “Sull’idea di bellezza. Di fronte alla Venere di Milo”, uno scritto in cui l’autrice mette a confronto l’arte contemporanea e l’arte antica, spiegando come mai quella Venere di epoca ellenistica esposta al Louvre, proprio perché monca delle braccia, continui ad incantare.
Nei quattro capitoli successivi, “Stati traumatici del Sè”, “Alla ricerca del padre perduto”, “Rappresentazioni del femminile sullo schermo”, “L’amore e internet” Golinelli porta il lettore a vivere con lei reazioni ed emozioni di fronte alla visione di una serie di film attraverso cui è possibile, in après-coup, offrire significati ed elaborare pensiero attorno a questioni psicoanalitiche di grande rilievo. L’autrice considera il cinema la forma d’arte a lei più consona e la più adatta, “per le sue caratteristiche iconiche così vicine alla dimensione onirica”, ad essere usata come uno strumento per esplorare una vasta gamma di esperienze, modalità relazionali, dinamiche psichiche profonde.
Di seguito il lettore viene accompagnato in “Una breve incursione a teatro: Freud e l’interpretazione dei sogni”, dove racconta della messa in scena da parte di Federico Tiezzi dell’omonimo romanzo di Stefano Massini. Interpretata da uno straordinario Fabrizio Gifuni, è un’opera che condensa la storia della psicoanalisi dalle scoperte del suo
fondatore alla contemporaneità, disvelando l’uomo Freud da quella che ne è la sua narrazione mitica. Uno spettacolo che consente a tutti di avvicinarsi al cuore autentico della psicoanalisi e “riconferma nella contemporaneità il suo essere un mezzo straordinario, capace di misurare la potenza e l’oscurità della mente”.
Il volume si conclude con “Omaggio a Bernardo Bertolucci”, un’altra dedica, scritta con affetto e profonda gratitudine, verso una persona che all’autrice ha dato molto, e non c’è più. Il tema del rapporto tra padri e figli/figlie riconduce la conclusione del libro al suo inizio, attraverso l’addentrarsi dei ricordi dell’autrice non più bambina ma adolescente.
Golinelli ci pone ancora di fronte la bellezza e la perdita, l’incontro e il distacco, la necessità di esplorare gli affetti che suscitano queste esperienze, elaborarli attraverso percorsi psicoanalitici, aiutandoci con gli strumenti che l’arte ci mette a disposizione, tutti protesi a “trovare vie di libertà”.

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