
Parole chiave: Sfinge, soggettivazione, tempo, memoria
Sfinge
di Gabriele Di Fronzo (Einaudi, 2025)
recensione di Daniela Federici
Se non dovessi tornare
sappiate che non sono mai partito.
Il mio viaggiare
è stato tutto un restare
qua, dove non fui mai.
Caproni
Matteo Lesables è un curier, incaricato di trasportare reperti preziosi da un capo all’altro del mondo per conto del Museo egizio di Torino. Una vita dedita, disciplinata, una precisione intransigente utile per un mestiere che movimenta opere d’arte inestimabili il cui più piccolo spostamento è motivo di massima allerta. Era bastata l’esperienza del primo viaggio per immaginare la sua intera esistenza come una lunga passeggiata nei musei silenziosamente deserti di tutto il mondo.
Smarrii la voglia di tornare fuori…
Un uomo il cui fascino, invecchiando, ha guadagnato in asprezza, che ha fatto della riservatezza e del mettersi da parte uno stile di vita, appagando il desiderio di scomparire, un dolce annullamento, che l’ha reso uno straniero di cui nessuno conosce niente.
Ogni viaggio equivale, per me, a un’amnesia. Almeno fino a questo viaggio in Cina.
Deve accompagnare la Sfinge, munifica capsula temporale della Storia. Siamo parte di un’umanità perpetua.
L’esposizione all’eternità ha un effetto calmante su di me – riflette il protagonista.
Viviamo un passato infinito. È reale ogni statua millenaria, solo che non è adesso. … Tutto è ormai accaduto e noi dobbiamo soltanto fare i conti con quanto è capitato. Il tempo, intanto, come sua abitudine è sul punto di scadere, e la letargia del suo veleno si insinua lentamente nei nostri corpi. È la grande cospirazione, il tempo. Un’insinuazione che esce dalle sabbie per rivelarci il vero volto del mondo.
Pensai che se le statue si valutano per come resistono al tempo che passa, un uomo invece per il modo in cui affronta il tempo che gli resta.
Sfinge è un romanzo brillante ispirato da una profonda riflessione sul tempo. Il suo protagonista è cesellato con acume e spessore: preso fra l’allusione all’eternità del monumento egizio e Shanghai, una città antichissima e costantemente demolita e ricostruita per risplendere di futuro, si trova a fare i conti con un’inaspettata epifania sulla propria esistenza, che lo porterà a una più piena soggettivazione dei vissuti che fino a quel momento aveva eluso.
Un matrimonio straordinariamente felice alle spalle eppure finito ordinariamente male, senza averne mai compreso il perché.
Credo che qualunque elemento esistente desideri un giorno diventare altro, e che anche le statue prima o dopo si trasformeranno. In un preciso momento la materia inorganica, che si decompone e muta costantemente, altererà anche la sfinge, e proprio in vista di quel momento devo tenere i miei occhi ben piantati su di lei, per essere presente quando diventerà ciò che da tre millenni desidera diventare: polvere.
Aveva colto l’istante preciso in cui qualcosa era cambiato con l’ex moglie: forse l’amore era finito tutto a un tratto, forse si era dissolto l’accadere che prima fluiva senza fatica, non sapeva dirne, aspettava che fosse Sara a parlarne, che piangeva e diceva di amarlo ancora.
Studiavo il modo in cui perdonarci, perché sentivo in cuor mio che dipendeva da me: se ci avessi perdonati, non avremmo più dovuto lasciarci. Il solo madrelingua del mio cuore sono io, mi rassicuravo quando non comprendevo quanto stavo provando, ma non immaginavo quale fosse la maniera più adeguata per affrontare quella circostanza. … Abbiamo sempre accettato le fragilità dei matrimoni dei nostri amici, ma quanto al nostro pretendevamo la perfezione. Fu la consapevolezza sconcertante della nostra fallacia a causare buona parte dell’infelicità.
Avevano divorziato senza parlarsi, incapaci di restaurare i danni di quell’improvviso disincanto e custodire la forza della loro promessa, come avessero smarrito il coraggio per l’impegno e il dolore; anche della sua malattia non aveva voluto sapere nulla.
Come se anche la loro relazione fosse stata un blocco di sabbia tenuto insieme dal tempo che da un giorno all’altro si era ridotto in polvere senza altra possibilità dall’impotente lasciarlo a disfarsi. Proprio lui, che aveva dedicato la vita alla conoscenza e alla cura delle migliori condizioni per proteggere quel che c’è di più prezioso, per ripararlo dopo un’esposizione.
Perché ripensa a Sara dopo tutto questo tempo? Forse Qi, la curatrice del museo, ha riacceso una qualche curiosità in lui, forse sarà l’occasione trasformativa di un pensiero diverso su se stesso e la propria vita.
“Non capita anche a te, mentre passeggi per le sale del tuo museo, di avere l’impressione di scomparire dalla vista del mondo, come quel proverbiale granello di polvere, quell’insetto che vagabonda in cerca del posto meno pericoloso in cui passare la notte? Tutte le volte che entro in un museo, vengo trascinato nell’enigma che è al centro del nostro mestiere: cosa siamo in grado di proteggere? Cosa possiamo promettere all’eternità?” – le chiede.
Qi gli racconterà del proverbio cinese per indicare chi non riconosce il valore di ciò che gli passa sotto gli occhi: «comprare un cofanetto e dare indietro le perle», qualcosa che Matteo Desables sente di aver fatto per tutta la vita. Il curier pensa a ciò che ha considerato una perfetta espressione della sua carriera: un tricottero allevato da Hubert Duprat, un minuscolo insetto dalla vita isolata, che crea il suo guscio utilizzando la seta secreta dalle sue ghiandole insieme ai sedimenti che trova nel suo ecosistema; l’artista lo alloggiò in un acquario sostituendo la sabbia con delle scaglie d’oro e un pavé di coralli e pietre preziose, e l’insetto si imbozzolò in una livrea degna di un imperatore. Anche Matteo aveva passato la vita in mezzo ai gioielli dell’antichità, una dimensione fra il silenzio e l’assenza, e lì in qualche modo si era protetto e nascosto.
Quando sono disperato cerco qualcosa di simile a un’interdizione dal mondo.
Qui dentro, il tempo si ferma.
Un museo, per me, è il più salutare esercizio di mortalità… eppure allo stesso tempo ti permette di vedere l’universo come potrebbe vederlo un dio.
Il tempo è la mia perversione.
Una storia colta e raffinata, piena di cura nell’intreccio, una scrittura elegante; nelle note conclusive del libro l’Autore scrive: “come ogni museo, anche sfinge è un luogo di incontri, un’opera intempestiva di confluenze, una parafrasi della vita e del mondo, una zona relazionale in cui convergono idee, verità storica, invenzioni ed esperimenti.”
Una fucina del preconscio, si potrebbe dire, sapienza dell’enigma sull’uomo.
Le cose vive e quelle morte, l’eternità e la solitudine, le infedeltà della memoria e le negazioni difensive, segni, profezie, frammenti che sciamano nella mente del protagonista in un avvincente scavo interiore, un flusso di coscienza capace di rendere meravigliosamente quanto il conoscere è intrecciato con l’essere, e questi, inevitabilmente, con il divenire.
Dedalo o labirinto? Si guarda alla vita come una commedia itinerante il cui senso prima avvisterai, poi perderai di vista, e quando sarà troppo tardi rivedrai.
Ma forse non è troppo tardi per il protagonista. È come se la protezione che lo ha tenuto al sicuro del non comprendere in profondità scoprisse il conflitto con ciò che in lui preme per arrischiarsi fuori dal bozzolo, per tentare la rinuncia al controllo: prepararsi al disastro è il momento più puro nella vita di un uomo, ma fa puntare più all’evitamento del dispiacere che alla ricerca della felicità, più al cofanetto che alle perle.
Ogni tanto ho pensato di aver finalmente trovato la casa della mia vita… Poi, però, è sempre stato sufficiente far passare un giorno per trovare ogni città che mi aveva folgorato banale e insignificante.
Finora in vita mia, con tutte le ombre di tutti i miei dubbi, credo di aver avuto a cuore ogni cosa e di non aver avuto a cuore nulla.
Sara gli parlava del libro L’art de ce rendre heureux par les songes, che prometteva esclusive ricette per procurarsi le «specie di sogni che si possono desiderare conformemente alle proprie declinazioni». Come si fa a fare sogni a misura della possibilità di realizzarli? I sogni sono confessioni camuffate, miraggi indecenti, collisioni di memorie e sgarbi lunari che andrebbero valutati come avvertimenti di un pericolo imminente…
Perché desiderio è anche possibilità di perdita o fallimento.
Si può rimandare la vita dal viverla fino in fondo con l’illusione di non consumarla? Si può pensare di condurre un’esistenza a tenuta stagna, riparata da ogni agente esterno che possa deteriorarla, fino all’inganno che lasciarla in sospeso dal realizzarsi possa annullare lo scorrere del tempo?
Un museo di antichità è un modo di pensare al passato con l’immaginazione.
Di Fronzo sviluppa una splendida metafora del ‘fare la storia’ come funzione psichica dell’umano per cui il passato non è mai definitivamente alle spalle ma continuamente attuale e condizionante, rimescolato dal reale e dalle riprese soggettive del presente che lo risignificano e ritrascrivono, alterandone la fissità conservativa, in una continua rielaborazione di rappresentazioni di noi stessi che acquistano profondità e complessità. La stratificazione non è solo quella delle civiltà che si susseguono ma anche dello psichico che smantella e riedifica con l’immaginazione l’ordine del narrabile, che tesse la realtà storica e quella psichica, i resti e gli orizzonti in giacenza, reti ideative e stati affettivi di un’arborescenza aperta a sviluppi futuri.
Il romanzo sembra cogliere il suo protagonista sulla soglia di un tempo di vita più riconosciuto e un Kairòs di opportunità che chiede di essere attraversato. Quel che nel finale del libro si dichiara non ancora concluso, sembra nominare una voce desiderante sospesa su possibilità ancora da giocare fuori dall’involucro che ha mirato a riparare il protagonista da un vero coinvolgimento nelle cose e dai cambiamenti.
La vita di un uomo, tra l’amore e la noia muta, il dolore fisico, la gioia, le linee del tempo che si biforcano e si riunificano, la cospirazione, lo scherno e la vendetta, le gelosie, la passione e il torpore compiaciuto, le insidie dell’orgoglio, i tentativi di interpretare le ombre su una soffitta di una camera da letto, i risentimenti, le bugie, un destino che a stento gli appartiene, la fiducia, il compendio delle trappole da cui è fuggito e da cui è rimasto inghiottito, l’imponderabilità delle cause che si ritiene determinino tutto questo, le disobbedienze, le premure inutili, il tradimento, la gratitudine sconfinata per una sorte ancora fatalmente misteriosa nel suo avverarsi, la vita di un uomo, direi, è decisamente un gran bel giardino con veduta in movimento.